Intravitreali

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Intravitreali

Cosa sono?

Intravitreale

Le iniezioni intravitreali permettono di introdurre direttamente nell’occhio un determinato farmaco attraverso la sclera (la parte bianca dell’occhio), iniettandolo nel liquido gelatinoso che riempie l’occhio (corpo vitreo), il quale è a contatto con la retina: il principio attivo viene assorbito da quest’ultima.

Da chi possono essere effettuate?

Vengono praticate da un oculista qualificato. I farmaci attualmente approvati ed utilizzati per uso intraoculare sono gli anti-VEGF (inibitori della formazione di nuovi vasi sanguigni retinici anomali) e cortisonici.

In quali casi specifici possono essere utili?

Gli anti-VEGF sono utilizzati nel trattamento della degenerazione maculare legata all’età (forma umida o essudativa), nell’edema maculare diabetico e nell’edema causato da trombosi dei vasi retinici.
I cortisonici sono approvati ed utilizzati per il trattamento dell’edema maculare dovuto a una trombosi dei vasi retinici, per l’edema maculare diabetico  e per patologie infiammatorie dell’occhio (ad esempio l’uveite).

Come si effettuano?

L’iniezione viene eseguita in ambiente controllato (sala operatoria), in condizioni di sterilità. E’ eseguita in anestesia topica, cioè mediante istillazione di colliri anestetici. Il tempo d’iniezione è molto veloce, circa un minuto, e la sensazione avvertita è minima e della durata di pochi secondi. Dopo l’iniezione è possibile vedere delle mosche volanti (corpi mobili) all’interno del campo visivo che scompaiono, in genere, dopo qualche ora e nel punto d’iniezione potrà comparire una piccola emorragia. Una volta ricevuta l’iniezione, quindi, si può tornare a casa accompagnati. La terapia successiva è a base di colliri antibiotici e cortisonici (per controllare l’infiammazione  e prevenire le infezioni). Il primo controllo viene eseguito in ambulatorio il giorno successivo. A distanza di circa 2-3 settimane e, in base ai casi, sarà eseguito un ulteriore controllo.

Che efficacia hanno?

L’efficacia delle iniezioni intravitreali dipende dal tipo di malattia trattata e dal grado di avanzamento della malattia stessa.

Quanto durano gli effetti?

Edema maculare diabetico (fondo oculare)Nella degenerazione maculare essudativa viene praticata un’iniezione al mese per i primi tre mesi; in seguito l’oculista controlla mensilmente la vista e il quadro clinico somministrando ulteriori iniezioni in caso di peggioramento della vista. Nell’edema maculare diabetico o dovuto a trombosi dei vasi retinici viene praticata un’iniezione al mese sino al raggiungimento di una visione che si mantenga stabile per tre mesi consecutivi. La durata degli effetti è dunque variabile.

Quali sono i possibili rischi delle intravitreali?

I rischi si dividono in generali ed oculari.

Complicanze generali: ogni farmaco è potenzialmente in grado di determinare una reazione allergica in una ridotta percentuale della popolazione. I sintomi della reazione allergica sono rappresentati da: reazione cutanea, orticaria, prurito, insufficienza respiratoria e raramente morte. Ogni forma di allergia, sospetta o conclamata, deve essere riferita al proprio oculista.

Complicanze oculari: si distinguono in intraoperatorie e postoperatorie.

  • Complicanze intraoperatorie: lacerazione della congiuntiva, lesione del cristallino, emorragia vitreale, emorragia coroideale.
  • Complicanze postoperatorie: lacerazione della retina, distacco di retina, distacco di coroide, endoftalmite (infezione del globo oculare), alterazioni della macula, emorragia retinica e/o vitreale (sanguinamento della parte posteriore dell’occhio), cataratta, rottura della scleraglaucoma.

A quali esami è necessario sottoporsi?

Prima dell’iniezione intravitreale e per monitorare nel tempo gli effetti di tale terapia è necessario sottoporsi ad esame della vista, tonometria, fondo o culare,  OCT (esame non invasivo che consente di visualizzare i singoli strati della retina) e, quando necessario, alla fluorangiografia.

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Fluorangiografia

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Fluorangiografia

retinografo

Cosa è la fluorangiografia?

La fluorangiografia è un esame fondamentale per lo studio della circolazione della retina e coroide. Serve anche come guida per il trattamento delle patologie retiniche mediante laser argon. Infatti tale esame consente di mettere in evidenza aree non irrorate dal sangue (aree ischemiche) e lesioni provocate da nuovi vasi che si sviluppano a causa della carenza di ossigeno. In sostanza si può realizzare una sorta di “mappa retinica”, la quale consente al medico oculista di colpire poi col raggio laser e con maggiore precisione le zone malate.

Come funziona?

Viene iniettato con una siringa un colorante in vena che, sciogliendosi nel sangue, consente di visualizzare eventuali anomalie della retina. La tipologia di tale colorante varia a seconda della patologia da studiare (può essere la fluoresceina o il verde d’indocianina). Dopo la dilatazione delle pupille in seguito a instillazione di uno speciale collirio (midriatico), ci si siede di fronte al retinografo; quindi viene iniettato il colorante e vengono scattate una serie di foto che saranno studiate dal medico per evidenziare eventuali anomalie.

La fluorescina verrà smaltita dal corpo tramite l’urina che, nelle ore successive, assumerà un colore diverso (giallastro fluorescente); il verde di indocianina, invece, è smaltito attraverso il fegato.

Cosa bisogna fare prima dell’esame?

La fluorangiografia è un esame di routine, ma è invasivo; dovrà, quindi, essere valutata la funzionalità cardiaca e quella renale e, soprattutto, andrà accertato se si sia allergici al colorante. L’esame viene effettuato a digiuno, ma si consiglia di effettuare una colazione molto leggera, evitando sia i latticini (latte, yogurt, formaggi) che la frutta.

Per quali patologie viene richiesto?

La fluorangiografia trova applicazione in tutte le malattie della macula, comprese quelle che coinvolgono il nervo ottico e i vasi della retina (diabete, emorragie, trombosi, ecc.), patologie infiammatorie, infettive, tumorali, causate da farmaci, patologie traumatiche e retinopatia sierosa centrale.

L’esame viene effettuato prima di iniziare il trattamento laser. Dopo l’introduzione della tomografia a coerenza ottica (OCT), la fluorangiografia è stata impiegata sempre meno per le patologie maculari. L’OCT e la fluorangiografia vanno, comunque, considerati esami complementari: l’uno non esclude l’altro perché, mediante il secondo esame, si mette in evidenza la dinamica del flusso sanguigno, mentre col primo si analizza esclusivamente lo stato della macula e del nervo ottico attraverso una ricostruzione al computer degli strati retinici. Va, tuttavia, detto che recentemente è stato introdotto l’angio-OCT o angiografia senza iniezione di colorante (OCTA), che consente di studiare la vascolarizzazione retinica senza l’uso di un mezzo di contrasto.fluorangiografia

Che effetti collaterali può avere la fluorangiografia?

Eventuali effetti collaterali sono legati all’uso del colorante che viene iniettato in vena. Potrebbero verificarsi, ad esempio, problemi ai reni; ma per prevenirli può essere sufficiente ricorrere all’idratazione salina o al bicarbonato di sodio[[Am J Kidney Dis online 2009 (pubblicato il 6/4/2009) ]]. Inoltre, va evitato l’uso del colorante (mezzo di contrasto) in persone colpite da gravi problemi al fegato.

In linea di massima, comunque, né il verde di indocianina né la fluorescina presentano effetti collaterali significativi (a meno che non si sia allergici a queste sostanze [[in questo caso si possono verificare difficoltà respiratorie, battito cardiaco irregolare, convulsioni, perdita di coscienza]]). Infine possono raramente verificarsi effetti collaterali minori, quali nausea, tosse, starnuti, colorazione giallastra della pelle e malessere generale.

Leggi anche: Consenso informato sulla fluorangiografia

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Pagina pubblicata il 10 aprile 2009. Ultimo aggiornamento: 5 febbraio 2018. 

Ultima revisione scientifica: 4 agosto 2014.

Elettrofisiologia oculare

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Elettrofisiologia oculare

Cos’è?

È una disciplina diagnostica che utilizza test non invasivi per studiare i fenomeni elettrici associati a processi fisiologici come la visione e l’attività cerebrale. Esplorando la funzionalità delle strutture visive e le eventuali patologie, è per l’occhio ciò che l’elettroencefalogramma rappresenta relativamente al cervello o l’elettrocardiogramma per il cuore.

A cosa serve?

Lo studio elettrofisiologico valuta diverse funzioni visive avvalendosi di esami specifici. È molto utile per differenziare l’origine delle patologie visive: è possibile, con questo esame, individuare difetti della retina, delle vie ottiche o del cervello. La principale applicazione clinica è rappresentata dall’identificazione delle malattie del nervo ottico e dalla localizzazione di eventuali alterazioni. Inoltre, il loro utilizzo è indispensabile per monitorare lo sviluppo delle vie ottiche nei prematuri e nei pazienti con disturbi cerebrali.

Quali esami si utilizzano?

Gli esami che vengono effettuati sono: elettroculogramma (EOG), elettroretinogramma (ERG), potenziali evocati visivi (PEV) e l’elettroretinogramma da pattern (PERG).

Cos’è l’EOG?

L’elettroculogramma (EOG) è un esame elettrofisiologico che viene eseguito per valutare la funzionalità dell’epitelio pigmentato retinico (ossia il primo dei dieci strati che formano la retina). Viene eseguito in 40 minuti circa. Si ricorre all’applicazione di elettrodi cutanei che registrano l’attività elettrica dell’epitelio pigmentato retinico come effetto dei movimenti oculari provocati da una mira luminosa (che si accende e si spegne da un lato all’altro del campo visivo). In questo modo vengono misurate le variazioni del potenziale elettrico corneo-retinico (ossia della cornea e della retina): passando da condizioni di illuminazione a quelle di oscurità la retina viene stimolata di più o di meno e, dunque, la sua attività bioelettrica può essere monitorata.

Cos’e l’ERG?

L’elettroretinogramma (ERG) è un esame elettrofisiologico con cui si misura l’attività della retina dopo la stimolazione con flash luminosi. Viene eseguito dopo dilatazione delle pupille e ha una durata indicativa di 40 minuti; ma bisogna rimanere in un luogo buio almeno 20 minuti affinché le cellule retiniche si adattino a una condizione di bassissima luminosità. Si utilizzano elettrodi posti sulla cute e sulla superficie dell’occhio dopo aver instillato un collirio anestetico locale. Gli elettrodi registrano l’attività elettrica della retina in seguito alla percezione di flash di diversa frequenza e intensità.

Cosa permette di misurare?

L’esame permette al medico di valutare se il difetto è nei coni (fotorecettori retinici che permettono la visione centrale a colori), nei bastoncelli (fotorecettori attivi specialmente ai margini del campo visivo e a bassi livelli di luminosità) oppure nelle cellule di Müller (che hanno funzioni nutritive per la retina) nonché nelle cellule bipolari (che connettono i coni e i bastoncelli con le cellule gangliari che formano il nervo ottico).
L’ERG focale (FERG) è eseguito dopo la dilatazione farmacologica delle pupille. L’esame ha una durata di un’ora. Vengono posti degli elettrodi cutanei sulla cute e sulla superficie dell’occhio dopo aver instillato un collirio anestetico; essi registrano l’attività centrale della retina indotta da stimoli visivi, quali barre verticali bianche e nere nonché flash luminosi di varia intensità e frequenza.

Cosa sono i PEV e PERG?

I due esami vengono eseguiti contemporaneamente e hanno una durata di circa 30 minuti. Vengono applicati degli elettrodi cutanei e corneali. Con i potenziali evocati visivi (PEV) e l’elettroretinogramma da pattern si effettua una registrazione computerizzata dell’attività elettrica nella corteccia cerebrale. La retina viene stimolata con flash luminosi che possono essere piccoli e multifocali o un solo flash grande (a tutto campo). Viene registrata l’attività elettrica delle cellule gangliari retiniche e delle vie ottiche indotta da stimoli visivi quali una scacchiera, delle barre verticali bianche e nere e flash luminosi. Con questo esame si possono, quindi, studiare i difetti presenti nel tratto nervoso che va dalla retina al cervello.

Quando sono richiesti?

Gli esami elettrofisiologici sono considerati dei test che permettono una diagnosi obiettiva. Possono anche essere utilizzati proficuamente nei pazienti in età infantile per studiare lo sviluppo dell’apparato visivo.

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Pagina pubblicata il 31 marzo 2009. Ultimo aggiornamento: 31 agosto 2016. 

Ultima revisione scientifica: 4 agosto 2014.


Ecografia bulbare e orbitaria

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Ecografia bulbare e orbitaria

Cos’è l’ecografia bulbare?

ecografia bulbare L’ecografia bulbare esplora le strutture interne dell’occhio (corpo vitreo, cristallino, retina, ecc.).

Cos’è, invece, l’ecografia orbitaria?

L’ecografia orbitaria esplora i tessuti presenti nella cavità orbitaria (muscoli extraoculari, grasso orbitario).

Su quale principio si basa?

Si avvale di ultrasuoni ossia della trasmissione di onde acustiche ad alta frequenza nell’occhio, che poi vengono riflesse dai tessuti oculari e, infine, osservate su uno schermo. Con un meccanismo simile all’eco acustico e dei radar si riescono così a rendere visibili le strutture oculari interne senza danneggiarle in alcun modo.

Quando serve?

L’ecografia è molto utile soprattutto in presenza di opacità della cornea, del cristallino e del corpo vitreo.
Viene eseguita quando il normale esame non può essere effettuato per l’impossibilità del passaggio di luce all’interno dell’occhio, nei distacchi di retina, per la ricerca di corpi estranei e per lo studio di nuove formazioni benigne o maligne (tumori).
L’ecografia è l’esame fondamentale per lo studio della patologia orbitaria che, insieme alla tomografia computerizzata (TC) e alla risonanza magnetica (RM), sono le uniche che permettono di visualizzare il contenuto orbitario.

Come si effettua l’esame?

L’esame viene effettuato mettendo del gel tra le palpebre e la sonda (per migliorare il passaggio del segnale degli ultrasuoni). Quindi, con una sonda si ‘esplorano’ i tessuti molli all’interno del bulbo oculare o dell’orbita.
L’ecografia A-scan viene utilizzata per misurare la lunghezza del bulbo oculare (lunghezza assiale) ed è utile per distinguere il tessuto oculare anomalo da quello normale.
L’ecografia B-scan, invece, mostra un’immagine a due dimensioni: permette l’esplorazione dei piani assiale, longitudinale e trasverso. L’immagine è molto simile a una sezione anatomica (vedi l’immagine più in alto).
Si ha, oltretutto, la possibilità di misurare la grandezza delle strutture oculari e delle formazioni patologiche potendole confrontare nel tempo.

Può comportare effetti indesiderati?

L’ecografia bulbare e orbitaria è un esame che non comporta rischi. Può essere ripetuta più volte, anche a distanza di pochi giorni, in modo da monitorare efficacemente l’evoluzione della patologia in esame.

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Pagina pubblicata il 16 dicembre 2008. Ultimo aggiornamento: 31 agosto 2016. 

Ultima revisione scientifica: 30 luglio 2014.


Aberrometria

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Aberrometria

Mappa della cornea ottenuta con aberrometro: la colorazione varia a seconda del grado di diffusione della luce

Cos’è?

L’aberrometria è un esame diagnostico che consente di valutare oggettivamente la qualità della vista e di studiare la presenza di aberrazioni oculari.

Cosa sono le aberrazioni oculari?

Sono imperfezioni che, nel percorso ottico dei fotoni [[onde/particelle da cui è costituita la luce (quanti o ‘pacchetti’ di energia capaci di stimolare la retina).]] provenienti dall’esterno dell’occhio, producono una distorsione e un’errata messa a fuoco delle immagini sulla retina. Possono essere provocate da irregolarità o da un’alterata trasparenza della superficie anteriore o posteriore della cornea, del cristallino, dell’umor acqueo [[è un liquido salino che si trova tra la cornea e il cristallino.]] , del corpo vitreo o del piano retinico. Anche difetti refrattivi (ipermetropia, astigmatismo e miopia) possono causare aberrazioni oculari che si possono sommare alle precedenti.

Come si correggono le aberrazioni?

Vengono corrette mediante occhiali, lenti a contatto o grazie a tecniche di chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri.

Quando si esegue l’aberrometria?

Cornea (superficie oculare trasparente a forma di calotta, posta davanti alla iride)Quando si riscontra un’alterazione della qualità della visione (persino se si vedono 10/10) causata da un’anomala deviazione o dispersione dei raggi luminosi. Ovviamente sarà il medico oculista a dover stabilire se l’esame è necessario.

Le informazioni ottenute con l’aberrometria vengono utilizzate in chirurgia refrattiva al fine di ottenere un’ottimale acuità visiva (sia quantitativamente che qualitativamente). Tuttavia, a livello sperimentale viene impiegata anche per altri fini. Un’équipe spagnola dell’Università di Granada, ad esempio, ha condotto uno studio che ha inteso dimostrare come l’esame possa essere utilizzato persino per diagnosticare precocemente malattie come la cheratite e l’AMD. Infatti, riscontrando anomalie nella diffusione della luce si possono individuare tempestivamente alterazioni morfologiche della cornea e della retina.

Si può sapere dove si verifica l’aberrazione?

No, un limite delle tecniche aberrometriche è proprio l’impossibilità di definire la sede anatomica d’origine senza il supporto di altri strumenti (quali l’OCT e il topografo).
Infatti, l’aberrometro fornisce una mappa che permette di valutare la conformazione del fronte d’onda che proviene dall’occhio, ma non di ottenere informazioni sulla struttura oculare che causa le eventuali distorsioni.

Quando si può dire se è presente un’aberrazione?

L’aberrazione è assente quando un fascio ideale di raggi luminosi, proveniente da una sorgente luminosa posta all’infinito, è costituito da onde rettilinee e parallele, il cui fronte d’onda (la superficie in fase di avanzamento del fascio) è idealmente piano e perpendicolare alla direzione dei raggi. Quando, invece, sono presenti aberrazioni ottiche la superficie del fronte d’onda presenta delle distorsioni rispetto al piano di riferimento. Chiaramente le linee appariranno distorte in corrispondenza dell’aberrazione.

Come si esegue?

Mappe ottenute con aberrometria (confronto tra diversi occhi)L’esame viene normalmente eseguito senza dilatazione della pupilla (miosi). Quando, al contrario, viene effettuato con pupilla dilatata (midriasi pupillare) si possono ottenere informazioni sulle zone paracentrali e periferiche della retina. Inoltre il diametro pupillare, nelle varie condizioni di luminosità, influisce sulle aberrazioni oculari che vengono esaminate. La dilatazione pupillare, infatti, provoca un minimo aumento (comunque significativo) delle aberrazioni totali.

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Pagina pubblicata il 27 novembre 2009. Ultimo aggiornamento: 31 agosto 2016. 

Ultima revisione scientifica: 27 novembre 2009.

Acuità visiva

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Difetti e disturbi

Acuità visiva

Cos’è l’acuità visiva?

occhialini_di_prova-umo.jpgL’acuità visiva misura quanto si vede ossia con quale livello di definizione dell’immagine. Si tratta della capacità che ha il nostro apparato visivo di distinguere due punti vicini come separati: con quanto più si percepiscono distinti, maggiore sarà l’acuità visiva. Complicando un po’ le cose possiamo dire che l’acuità visiva è la misurazione dell’angolo minimo sotto cui devono essere visti due punti separati. L’angolo minimo preso in considerazione è un primo ossia un sessantesimo di grado[[permette di far corrispondere le immagini a due recettori retinici non contigui (5 mm) e, quindi, di osservare 2 immagini distinte.]].

Come si misura?

Viene misurata mediante gli ottotipi, ossia lettere e/o simboli con grandezza progressivamente decrescente. L’ottotipo deve essere posizionato a un distanza minima di tre metri. Il tabellone su cui sono stampate le lettere/simboli si definisce tavola o tabella ottotipica.

Qual è l’acuità visiva normale?

L’acuità visiva considerata normale è di 10/10 (Monoyer), 20/20 (Snellen), 1.0 (Decimale) o 0.0 (logMAR). Questo valore si ottiene quando l’angolo minimo che si apprezza almeno da tre metri è, appunto, un primo. Però l’acuità visiva può essere superiore a 16/10 od oltre. E’ importante sottolineare che l’acuità visiva non esprime né il difetto visivo né la sua entità. Infatti possiamo avere un visus corretto di 10/10 anche con un difetto di vista. La misurazione dell’acuità deve essere effettuata sia ‘naturale’, cioè senza correzioni con lenti, e sia con correzione. Si distingue, quindi, un visus naturale e uno corretto. Ad esempio, in un soggetto che ha 7/10 (con una correzione di 5 diottrie di miopia) la massima acuità visiva gli consente, portando gli occhiali, di leggere a 7 metri quello che una persona che non li porta (ossia un emmetrope) legge a una distanza di 10 metri. Per capire come veda un miope basta usare una macchina fotografica con l’obiettivo e metterla fuori fuoco.

Trovando la lente giusta si arriva sempre a 10/10?

Ottotipo per lontano Non sempre. In ogni caso, quello che si deve ricercare è la lente del giusto potere: per far sì che i raggi luminosi cadano a fuoco sulla retina si ottiene cosi quello che gli anglosassoni definiscono la BCVA (Best Corrected Visual Acuity), cioè la massima acuità visiva corretta che l’occhio può esprimere. Questo dipende da molti fattori: grado di trasparenza dei mezzi diottrici (cornea, cristallino, corpo vitreo), aberrazioni ottiche dei mezzi stessi, funzione foveale (corretto funzionamento della zona centrale della retina), integrità delle vie ottiche e corretto sviluppo della funzione della corteccia cerebrale deputata alla visione (circa un terzo della superficie corticale, soprattutto a livello occipitale).

Perché è importante la misurazione dell’acuità visiva?

Perché si può capire quali vizi refrattivi siano presenti (ipermetropia, miopia e astigmatismo), se ci sia una presbiopia oppure se siano presenti patologie oculari in senso stretto (cataratta, maculopatie, ecc.).

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Pagina pubblicata il 12 dicembre 2012. Ultimo aggiornamento: 1 febbraio 2019. 

Ultima revisione scientifica: 12 dicembre 2012.

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Diplopia

I tuoi occhi

Difetti e disturbi

Diplopia

Cos’è?

Per “diplopia” s’intende la visione doppia di uno stesso oggetto. Si verifica quando si è in presenza di strabismo: essendo deviati gli assi visivi, un oggetto stimola due punti della retina non corrispondenti nei due occhi, dando luogo alla formazione di due immagini distinte. Questo avviene perché nel cervello le due immagini non si “fondono”.

Riguarda entrambi gli occhi?

La diplopia può essere distinta in due tipologie:

  • binoculare, la visione doppia è presente solo quando entrambi gli occhi sono aperti e scompare se viene chiuso uno dei due;
  • monoculare, la visione doppia persiste anche dopo aver chiuso uno dei due occhi e in questo caso riguarda l’occhio che rimane aperto.

La causa della diplopia binoculare è generalmente una malattia neurologica, una malattia sistemica, oppure una disfunzione dei muscoli oculari o dei nervi oculomotori.

La diplopia monoculare è invece di solito dovuta ad un problema oculare, quale ad esempio l’astigmatismo, il cheratocono, le distrofie corneali, la cataratta, la lussazione del cristallino, la degenerazione maculare, ecc.

Inoltre, la diplopia può essere distinta in:

  • costante, quando persiste nel tempo;
  • intermittente, quando compare e scompare alternativamente;
  • transitoria, quando si manifesta a seguito di un evento traumatico o per stanchezza eccessiva (fisica e/o lavorativa), per poi risolversi.

Quando si presenta?

La diplopia può presentarsi con uno strabismo concomitante quando la deviazione oculare non varia la sua ampiezza nelle varie posizioni di sguardo.

Si tratta di forme presenti spesso sin dalla nascita, in cui la diplopia può manifestarsi in seguito alla comparsa di eventi che alterano i meccanismi di compensazione che il nostro sistema visivo è in grado di attivare.

Lo strabismo detto invece incomitante si verifica quando l’ampiezza della deviazione oculare varia con il movimento degli occhi; è determinato da una paresi o da un’alterazione della motilità di uno o più muscoli extraoculari. Non si deve per forza vedere sempre l’immagine doppia, ma molto spesso la diplopia compare soltanto guardando in alcune direzioni, poiché l’alterazione del movimento coinvolge soltanto uno dei muscoli che muovono l’occhio.


Quali sono le cause dello strabismo inconcomitante?

Le cause di strabismi inconcomitanti sono molteplici:

  • malattie dell’orbita, che impediscono il movimento meccanico dei muscoli, spesso associate a proptosi (il bulbo oculare sporge al di fuori dell’orbita in maniera anomala);
  • malattie muscolari (miastenia gravis);
  • paralisi di uno dei nervi cranici (in particolare il III, il IV e o il VI), che possono essere causate a loro volta da una delle seguenti malattie: diabete, aterosclerosi, ipertensione, aneurismi, tumori e incremento della pressione intracranica. In questo caso sarà importante sottoporre il paziente ad accurate indagini (come la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica) per scoprire la causa;
  • indebolimento dell’attività di uno o più muscoli: in questo caso possono essere responsabili disturbi cerebrali (lesioni del seno cavernoso, masse della fossa posteriore e paralisi progressive sopranucleari), per cui è importantissimo rivolgersi a un neurologo.

Come si cura la diplopia?

La cura della diplopia è, quindi, dipendente dalla causa. Nelle forme concomitanti si può ricorrere all’uso di lenti prismatiche o, in maniera più efficace, alla chirurgia, con cui è possibile riposizionare i muscoli extraoculari in maniera tale da poter fornire una compensazione. Quando è presente una paralisi del muscolo è, ovviamente, più difficile fornire una terapia adeguata. Essendo bloccata la motilità anche la chirurgia risulta spesso non completamente efficace e, ovviamente, il primo passo è la risoluzione della causa primaria, soprattutto nel caso di problemi legati all’orbita. Nelle forme di miastenia gravis la terapia farmacologica permette di ripristinare spesso una condizione di motilità oculare valida.

Più complicato è il discorso riguardante le paralisi dei nervi cranici. Infatti, bisogna attendere un periodo di tempo variabile (indicativamente tra un mese e gli otto mesi) durante il quale è possibile una risoluzione spontanea del problema. Questo avviene nella maggioranza dei casi; quando, invece, il deficit dovesse persistere sarà probabilmente necessario un intervento chirurgico sui muscoli extraoculari.

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Pagina pubblicata il 25 luglio 2007. Ultimo aggiornamento: 17 ottobre 2022. 

Ultima revisione scientifica: 17 ottobre 2022. 

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Occlusioni vascolari retiniche

I tuoi occhi

Malattie oculari

Occlusioni vascolari retiniche

 

Che cos’è?

Per occlusione vascolare retiniche si intende un insieme di quadri patologici caratterizzati dall’ occlusione di uno o più vasi (arteriosi o venosi) che irrorano e nutrono la retina.     A seconda del distretto vasale interessato, distinguiamo le occlusioni vascolari retiniche in arteriose e venose, in particolare possiamo avere lo sviluppo delle seguenti condizioni:

– occlusione dell’arteria centrale retinica (OACR);

–  occlusione arteriosa retinica di branca;

– occlusione della vena centrale retinica (OVCR);

– occlusione venosa retinica di branca.

occlusioni retiniche

Quali sono i sintomi e le cause?

Il sintomo principale è la riduzione brusca e improvvisa della vista; generalmente la perdita del visus non è associata ad alcun dolore e colpisce un solo occhio.

Le cause riconoscono una natura embolica o trombotica. Per embolo si intende una massa formata da sangue coagulato o materiale cellulare aggregato circolante ed interessa principalmente i rami arteriosi, per trombo, invece, si intende una massa solida formatasi  per coagulazione del sangue ed interessa principalmente i rami venosi. In seguito alla formazione di emboli o trombi, si determina dunque una ostruzione al flusso sanguigno con successiva mancanza di apporto di ossigeno al tessuto nervoso retinico.

Le principali cause delle occlusioni arteriose retiniche, possono essere:

  • arteriosclerosi (l’occlusione dell’arteria centrale della retina spesso è provocata da un embolo che si stacca da placche aterosclerotiche, situate a livello di arterie di calibro più grosso, ad esempio le arterie carotidi);
  • malattie collageno-vascolari;
  • arterite a cellule giganti;
  • alterazioni della coagulazione.

Fattori di rischio per le occlusioni venose retiniche possono essere:

  • l’ipertensione arteriosa;
  • il diabete;
  • l’abitudine al fumo;
  • età superiore ai 50 anni;
  • patologie ematologiche;
  • il glaucoma.

Cosa accade?

Con l’interruzione dell’apporto di sangue (ischemia) non viene più nutrita e ossigenata localmente la retina, per cui si possono verificare gravi danni.

In particolare, a seguito del processo ischemico (sia arterioso che venoso), si mettono in atto tutta una serie di processi riparativi da parte del tessuto retinico volti a fronteggiare la mancanza di sangue e di sostanze nutritive. Le cellule danneggiate iniziano a rilasciare mediatori infiammatori e fattori di crescita che stimoleranno la formazione di neovasi (fase della neovascolarizzazione).

Quali sono i segni ?

In caso di occlusione dell’arteria centrale retinica (OACR), le arterie appariranno marcatamente assottigliate;edema maculare la retina apparirà pallida, ad eccezione della macula (zona centrale della retina adibita alla visione distinta), col suo tipico aspetto rosso ciliegia. Nel caso, invece, che si sia verificata un’occlusione a livello della vena centrale retinica, le vene appariranno notevolmente congestionate; l’aspetto della retina sarà edematoso (edema maculare)  e caratterizzato dalla presenza di emorragie.

Come si effettua la diagnosi?

La diagnosi si fa innanzitutto con l’esame del fondo oculare. Inoltre potrebbe essere utile la fluorangiografia che, mediante il mezzo di contrasto, potrà fornire all’oculista dati preziosi ai fini di una diagnosi completa; si potrà quindi capire il punto esatto dove si è bloccato il flusso sanguigno. 

Per identificare la causa dell’occlusione vanno poi eseguite tutte una serie di indagini a livello sistemico: misurazione della pressione arteriosa, glicemia, profilo lipidico, VES (per confermare o escludere una arterite a cellule giganti), esami della coagulazione, anticorpi antifosfolipidi, ecocolordoppler dei tronchi sovraortici (eco-TSA), valutazione cardiologica.

Qual è la terapia?

Non esistono protocolli terapeutici standard nel trattamento dell’occlusione arteriosa/venosa centrale retinica; è comunque importante capire se ci siano anomalie di coagulazione ricorrendo anche agli esami del sangue.

Di solito vengono impiegati anticoagulanti e fibrinolitici per via sistemica, corticosteroidi ad alto dosaggio, se si sospetta un’arterite a cellule giganti.Nel caso di un’occlusione venosa la fotocoagulazione laser (Argon), è unanimamente riconosciuta come fondamentale per il trattamento e la prevenzione delle complicanze ossia la comparsa di nuovi vasi (neovascolarizzazione) che   può portare allo sviluppo del cosiddetto  glaucoma neovascolare. Per il trattamento dell’edema maculare si può inoltre ricorrere alla somministrazione intravitreale di farmaci anti-vegf.

Scheda informativa a cura dell’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità-IAPB Italia onlus 
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Pagina pubblicata il 5 giugno 2008. Ultimo aggiornamento: 10 luglio 2023.  

Ultima revisione scientifica: 10 luglio 2023. 

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Ulcera corneale

I tuoi occhi

Malattie oculari

Ulcera corneale

Cos’è?

Occhio illuminato dalla lampada a fessura L’ulcera corneale consiste in una lesione particolarmente importante che si sviluppa a livello della cornea (membrana trasparente che ricopre la parte anteriore dell’occhio): è un’emergenza medica che deve essere trattata tempestivamente per evitare gravi danni oculari. Si tratta di una patologia che solitamente avviene in seguito a un processo infettivo: assume l’aspetto di un cratere, con perdita di tessuto, se trascurata si può ampliare e divenire più profonda. È caratterizzata da una difficoltà nella cicatrizzazione, che tuttavia si riduce con adatto trattamento farmacologico. 

Quali sono le cause?

Le cause dell’ ulcera corneale possono essere numerose, ma quelle più frequenti sono di natura infettiva: batteri, virus, funghi o protozoi.

  • Batteri: le ulcere si sviluppano in fase iniziale come infiammazione superficiale della cornea (cheratite), dopo la rottura dell’epitelio, gli agenti patogeni penetrano nella parte più interna. Tra i batteri più frequentemente coinvolti nel processo infettivo abbiamo lo Stafilococco, lo Pseudomonase lo Streptococcus pneumoniae. L’infezione è generalmente favorita dall’utilizzo improprio e prolungato delle lenti a contatto (LAC), da abrasioni della cornea o altri traumi oculari. Sono inoltre più esposti a rischio di sviluppare ulcera corneale i soggetti diabetici, chi si è sottoposto a precedenti interventi chirurgici agli occhi, pazienti che hanno utilizzato farmaci cortisonici per lunghi periodi.
  • Virus: Herpes simplex virus (HSV), Varicella zoster virus (VZV) e citomegalovirus sono gli agenti virali più frequentemente coinvolti nello sviluppo dell’ulcera corneale, anche se la loro incidenza rimane comunque inferiore rispetto a quella delle forme batteriche.
  • Funghi: sono gli agenti che meno frequentemente causano ulcere corneali (meno del 5% delle infezioni totali) e le specie maggiormente coinvolte sono Aspergillus, Fusarium e Candida albicans.
  • Protozoi: l’Acanthamoeba è un’amebaunicellulare presente soprattutto nel suolo e nelle acque reflue, è il parassita maggiormente responsabile di cheratiti e ulcere corneali. L’infezione si verifica soprattutto nei portatori di lenti a contatto, più comunemente a causa dell’esposizione ad acqua contaminata.

L’ulcera corneale può inoltre essere indotta da anomalie palpebrali tipo l’entropion (rotazione verso l’interno del margine palpebrale), dalla trichiasi (ciglia che sono rivolte verso la cornea e la graffiano), esposizione corneale da incompleta chiusura delle palpebre (lagoftalmo). Si può presentare anche in caso di carenza di vitamina A (vedi xeroftalmia) o di malnutrizione proteica, deficienze che inducono un alterato trofismo (nutrimento) della cornea, in soggetti particolarmente a rischio per malnutrizione, alcolismo, diabete, immunodepressione e in associazione a malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide, la granulomatosi di Wegener, la poliarterite nodosa, ecc. 

 

Quali sono i sintomi?

I sintomi principali sono: 

  • dolore oculare;
  • sensibilità alla luce (fotofobia);
  • sensazione di corpo estraneo (come se ci fossero sabbia o sassolini nell’occhio);
  • lacrimazione;
  • arrossamento oculare;
  • visione offuscata, soprattutto se l’ulcera si trova nella zona centrale della cornea;
  • gonfiore palpebrale;
  • ipopion, che corrisponde alla raccolta di liquido purulento nella parte inferiore della camera anteriore (si verifica nelle forme più gravi).

I portatori di lenti a contatto che notano la presenza dei suddetti sintomi devono sospenderne immediatamente l’uso: è consigliabile buttare le LAC, il contenitore in cui sono state riposte e il liquido di conservazione, perché potrebbero essere anch’essi contaminati. 

Quali sono le complicanze?

Ulcera della cornea (evidenziata in verde con la fluorescina)

A seconda della profondità dell’ulcera corneale si possono verificare complicanze più o meno gravi. Infatti, il processo di riparazione della lesione comporta la formazione di tessuto cicatriziale (fibroso), che rende opaca la cornea, con diminuzione della capacità visiva (soprattutto se la cicatrice si forma nella nella zona corneale centrale, in corrispondenza della pupilla). Inoltre, alla lesione corneale, si possono associare:

  • irite (infiammazione dell’ iride );
  • iridociclite (infiammazione che colpisce sia l’iride che i corpi ciliari);
  • perforazione del tessuto corneale (con eventuale prolasso dell’iride);
  • ipopion (raccolta di pus in camera anteriore, lo spazio compreso tra cornea e iride, a cui abbiamo accennato nel paragrafo precedente);
  • panoftalmite (infiammazione dell’intero bulbo oculare, con elevato rischio di perdita dell’occhio).

Vi è anche l’eventualità si formino nuovi vasi sanguigni che si infiltrano nel tessuto corneale a partire dal limbus (zona di confine tra cornea e sclera) fino alla sede dell’ulcera: ciò comporta una diminuzione della trasparenza corneale che si protrae anche al termine del processo infiammatorio. 

Come si esegue la diagnosi?

Graffio corneale evidenziato con fluorescinaL’ulcera corneale può essere diagnosticata con l’esame obiettivo eseguito alla lampada a fessura e può richiedere il ricovero. In ogni caso, la lesione viene resa più evidente con l’utilizzo della luce blu-cobalto e l’applicazione di fluoresceina. Dopodiché è necessario eseguire un tampone corneale, che permette di individuare il possibile agente patogeno, eseguendo una coltura batterica mirata con antibiogramma, per valutare le eventuali resistenze agli antibiotici. L’analisi infettivologica può essere anche effettuata sui liquidi di conservazione delle lenti a contatto. Si possono, inoltre, eseguire analisi del sangue per evidenziare l’eventuale presenza di malattie infiammatorie o altri fattori predisponenti, come ad esempio l’immunodeficienza e il diabete mellito. Eseguire una diagnosi corretta consente di impostare una terapia mirata ed una gestione ottimale della malattia.

Come si può curare?

Occhio di profilo con cornea sana: la superficie trasparente di fronte alla iride è perfettamente integra Il trattamento dell’ulcera corneale dipende fondamentalmente dalla causa che l’ha determinata. In caso di infezione batterica, è previsto l’utilizzo di un antibiotico a largo  spettro in collirio (più comunemente un fluorochinolonico come la ciprofloxacina oppure l’ofloxacina) al quale si associa un collirio cicloplegico per alleviare il dolore. Nei casi gravi è consigliabile recarsi al pronto soccorso oftalmico. Spesso va usato un collirio definito ‘rinforzato’, che ha una percentuale di principio attivo maggiore rispetto a quella normalmente in commercio; può essere necessario ricorrere agli antidolorifici per bocca. A causa della crescente resistenza agli antibiotici da parte dei comuni microrganismi 

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Pagina pubblicata il 16 novembre 2009. Ultimo aggiornamento: 24 aprile 2025

Ultima revisione scientifica: 24 aprile 2025

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Scotoma

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Scotoma

Cos’è?

Scotoma centrale Lo “scotoma” (dal greco skótos, “oscurità”) è un difetto lacunare del campo visivo. E’ correlato a una riduzione della sensibilità retinica (scotoma relativo) o a una scomparsa completa della sensibilità stessa (scotoma assoluto) in alcune aree della retina, dove l’immagine non risulta più percepibile oppure se ne ha una percezione sbiadita.

Infatti, con uno scotoma assoluto in certe aree del campo visivo la percezione visiva è perduta (si presentano zone scure anche a macchia di leopardo), mentre con uno scotoma relativo in alcune aree non si ha più la percezione cromatica (non si percepiscono più alcuni colori oppure tutti ad eccezione del bianco). Gli scotomi possono avere diverse forme, che variano in base alla patologia di base che li ha determinati. In particolare possono essere: tondeggianti, anulari, ovali, a mosaico.

Come si manifesta?

All’esame del campo visivo (mappa campimetrica) lo scotoma viene rappresentato graficamente come un’area nera che può avere diverse localizzazioni (periferiche o centrali).

Solitamente non viene notato da chi ne è colpito, a meno che ciò non influenzi la visione centrale o non interferisca con l’acuità visiva. Viene definito “negativo” quando non si percepiscono, del tutto o in parte, gli oggetti fissati a causa di una macchia scura. Al contrario è detto “positivo” quando si percepisce una macchia a luminosità intermittente e di colore variabile che si proietta sugli oggetti fissati.

Quali sono le cause?

Le cause sono varie e coinvolgono diverse strutture dell’occhio. Le ragioni principali per cui può presentarsi uno scotoma sono:

Quali sono i sintomi?

Scotoma In linea di massima lo scotoma non comporta disturbi importanti (a meno che non sia di dimensioni notevoli o localizzato nella zona centrale), tanto che in alcune patologie (tipo il glaucoma) ci si rende conto della sua presenza solo quando il campo visivo è già danneggiato e si è, quindi, ristretto. Per scongiurare quest’eventualità è consigliabile sottoporsi periodicamente a un controllo oculistico.

Come si classifica?

Scotoma arciforme (Fonte: www.ncbi.nlm.nih.gov) Si può classificare in:

  1. scotoma fisiologico (o macchia cieca di Mariotte): zona di non visione che corrisponde al punto in cui emerge il nervo ottico dalla retina (macchia cieca) che, in alcune patologie (tipo il glaucoma e l’edema della papilla), può ampliarsi;
  2. scotoma centrale: coinvolge la zona centrale del campo visivo (entro i 5°) ossia quella che si usa per fissare gli oggetti. Si manifesta quand’è presente un’alterazione funzionale della macula: chi ne è affetto lamenta la visione di una macchia scura al centro. Lo scotoma centrale si può presentare sia a causa di una degenerazione maculare legata all’età (AMD) sia per situazioni infettive tipo toxoplasmosi o focolai di corioretinite oppure, ancora, in caso di alterazioni della conduzione nervosa (otticopatie);
  3. scotoma paracentrale: area di riduzione parziale o totale della sensibilità luminosa che coinvolge l’area paracentrale di fissazione (zona intorno alla macula). Si riscontra nella patologia maculare o del nervo ottico;
  4. scotoma centrocecale: è uno scotoma centrale inizialmente piccolo che lentamente si allarga, coinvolgendo sia il punto di fissazione centrale (macula) sia la macchia cieca. Si può manifestare nelle patologie del nervo ottico e nelle patologie metaboliche da accumulo;
  5. scotoma anulare: area cieca del campo visivo di forma circolare, generalmente localizzato fra 20° e 40° dal punto di fissazione. Si può manifestare in alcune degenerazioni retiniche tipo la retinite pigmentosa;
  6. scotoma arciforme o di Bjerrum: area cieca del campo visivo di forma arcuata o a semiluna suggestivo di una sofferenza del nervo ottico (glaucoma e otticopatie varie); a partenza dalla macchia cieca, presenta una forma di “C” maiuscola nella media periferia del campo visivo;
  7. scotoma scintillante: presenza di una macchiolina scura davanti agli occhi dalla quale si originano piccole strisce scintillanti e colorate (associato molto spesso ad emicrania);
  8. scotomi periferici: sono in genere legati a retinopatie e corioretinopatie.

Come si diagnostica?

L’esame strumentale che permette di effettuare una diagnosi di scotoma è il campo visivo, che dà informazioni sulla visione centrale e sulla visione periferica. Quest’ultima è indispensabile all’uomo ancor più della visione centrale, in quanto gli consente di apprezzare l’esistenza e la morfologia degli oggetti mobili e immobili che lo circondano, consentendogli l’orientamento spaziale. Inoltre è importante eseguire una valutazione neurologica.

Si può curare?

Se le lesioni sono permanenti (ad esempio alle vie ottiche o al tessuto retinico) non esiste una terapia risolutiva; infatti, quando la causa riguarda danni alle cellule nervose (ad esempio in caso di glaucoma od otticopatie) allo stato attuale delle conoscenze scientifiche non si può fare nulla (anche se varie sperimentazioni sono in corso). In ogni caso, si potrebbe recuperare parte della funzionalità retinica residua mediante un efficace processo riabilitativo.

E’ opportuno però fare prevenzione mediante visite oculistiche di screening per capire quando sia necessario instaurare una terapia che tenga sotto controllo la situazione oculare (ad esempio, nel glaucoma l’utilizzo di colliri ipotonizzanti che abbassano la pressione dell’occhio e prevengono danni al nervo ottico).

Quando, invece, la causa riguarda, ad esempio, il cristallino (presenza di una cataratta) è sufficiente un intervento chirurgico per asportarlo e sostituirlo con una lente artificiale intraoculare (IOL).

Per quanto riguarda le patologie vascolari retiniche, tipo le occlusioni vascolari (arteriosa o venosa), è importante identificare la causa precisa per poi instaurare la terapia farmacologica idonea (farmaci anticoagulanti, antiaggreganti e trombolitici) e l’eventuale terapia laser per prevenire le complicanze.

Nelle patologie retiniche come la degenerazione maculare legata all’età (AMD) è importante stabilire la forma di maculopatia (secca o umida) per instaurare eventualmente una terapia opportuna: nelle forma essudativa le iniezioni intravitreali e la terapia fotodinamica, mentre nella forma atrofica ci si limita all’utilizzo di integratori (a base di luteina, zeaxantina, acidi grassi polinsaturi omega-3 e vitamine) che possono migliorare l’apporto nutritivo al centro della retina (trofismo maculare), anche se attualmente non esistono trattamenti farmacologici efficaci.

Nel distacco di retina l’approccio è di tipo chirurgico, volto a riposizionare il tessuto retinico nella sua sede originaria.

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Pagina pubblicata il 25 novembre 2010. Ultimo aggiornamento: 5 aprile 2023 

Ultima revisione scientifica: 5 aprile 2023 

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