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Infezioni oculari

Quali infezioni possono colpire gli occhi?

L’occhio umano, come tutte le altre strutture dell’organismo che sono in contatto con l’ambiente esterno, è spesso soggetto all’attacco di microrganismi ad azione patogena (batteri, virus, protozoi, ecc.), responsabili d’infezioni più o meno importanti ed estese. In tal senso risulta fondamentale l’azione protettiva contro le minacce ambientali (agenti esogeni pericolosi), svolta normalmente dalle palpebre e dal film lacrimale.

Gli agenti responsabili delle infezioni oculari possono provenire non solo dall’ambiente esterno, ma giungere anche al bulbo oculare attraverso il sangue. Nel neonato il contagio può avvenire soprattutto durante il parto per la presenza di batteri nel canale del parto materno (gonococco, Chlamydia Trachomatis).

A cosa sono dovute le infezioni?

La variabilità delle infezioni oculari può essere legata a condizioni fisiologiche (età, attività lavorativa e/o sportiva), a patologie del singolo paziente (condizione di immunodepressione ovvero indebolimento delle difese immunitarie, alterazioni metaboliche, patologie dei vasi sanguigni, deficit neurologici centrali e periferici) o all’utilizzo di lenti a contatto contaminate. Infine vanno ricordate le infezioni oculari derivanti da lesioni gravi e di difficile risoluzione terapeutica, quali quelle post-traumatiche e postoperatorie.

Quali sono le infezioni “esterne”?

Le infezioni oculari “esterne” (che riguardano la parte anteriore del bulbo oculare), a seconda della struttura primariamente coinvolta, sono le seguenti:

  1. calazio (infiammazione di una ghiandola sebacea localizzata a livello palpebrale);
  2. orzaiolo (infiammazione con sovrapposto processo infettivo batterico a carico di una ghiandola palpebrale);
  3. blefarite o blefarocongiuntivite (coinvolgente il bordo palpebrale e la congiuntiva);
  4. dacriocistite e/o canaliculite (interessamento delle vie lacrimali, più precisamente del sacco lacrimale e/o dei canalini lacrimali);
  5. congiuntivite (localizzata a carico della mucosa congiuntivale);
  6. cheratite (interessamento corneale) o cheratocongiuntivite.

Quali sono le infezioni interne?

Le infezioni oculari “interne” (che riguardano la parte posteriore del bulbo oculare) osservate più spesso sono le seguenti:

  • uveiti (che coinvolgono la membrana vascolare dell’occhio);
  • endoftalmiti (consistono in un grave processo infettivo che si verifica all’interno del bulbo oculare).

Come si manifestano ?

La sintomatologia delle infezioni oculari è chiaramente strettamente collegata alle strutture oculari coinvolte e al grado di estensione del processo patologico. I primi sintomi che si manifestano sono un gonfiore palpebrale più o meno evidente, iperemia congiuntivale (ossia arrossamento della congiuntiva), bruciore, lacrimazione o secrezione e fotofobia (intolleranza alla luce). Nei casi più gravi ai suddetti sintomi, si associa dolore oculare e ipertono (aumento della pressione oculare). Qualora si avverta uno qualsiasi di questi sintomi è consigliata subito una visita oculistica specialistica in grado di diagnosticare il processo infettivo da cui si è eventualmente affetti.

Si può soffrire di un calo della vista?

Sì, ma generalmente ha carattere transitorio. Nelle maggior parte delle infezioni oculari non gravi, tuttavia, si assiste a un peggioramento qualitativo della vista più che a un suo calo effettivo di tipo quantitativo. Infatti la lacrimazione, il bruciore o la fotofobia, la secrezione e le opacità della cornea possono provocare uno perdita del fuoco delle immagini, oltre a una riduzione della vividezza dei colori. Quando, invece, il processo infettivo è più grave (ed esteso alla parte interna dell’occhio) si assiste, nella maggior parte dei casi, ad un vero e proprio calo del visus, provocato sia dalla presenza di cellule infiammatorie presenti nel corpo vitreo, la sostanza gelatinosa che riempie il bulbo oculare (leggi anche uveiti), e sia dal coinvolgimento della retina.

Cosa si può fare?

In generale anche in perfette condizioni di salute è sempre buona norma seguire corrette norme igieniche: non toccare o strofinare gli occhi con le mani sporche, evitare – se possibile – gli ambienti pieni di polvere, fumo o smog; se si è portatori di lenti a contatto è consigliato non indossarle troppe ore al giorno e non usarle quando si va al mare o in piscina (leggi le buone norme per un loro corretto impiego).

Quale terapia eseguire?

La terapia da effettuare è correlata all’agente patogeno coinvolto: dipende dal tipo di causa. Se si tratta di un’infezione batterica si deve ricorrere a terapia antibiotica locale (con instillazione di colliri) che, nei casi più persistenti, si può associare all’assunzione di antibiotici per via orale. Spesso, inoltre, è consigliato l’utilizzo di colliri ad azione antinfiammatoria in aggiunta a quelli antibiotici. In una buona percentuale di casi di contaminazione batterica è indicato anche l’utilizzo di una terapia a base di cortisone (locale o sistemica). In presenza d’infezione virale si somministrano farmaci specifici ad azione locale o sistemica (generale) e, invece, nel caso d’infezioni fungine bisognerà ricorrere agli antimicotici.

Cosa fare se il disturbo persiste?

Se dopo circa una settimana dall’inizio del trattamento la patologia non fosse regredita o, quantomeno, non avesse dato segni di miglioramento sarà necessario consultare nuovamente il proprio oculista per ottenere un adeguamento della terapia e, se necessario, sottoporsi a esami di laboratorio in grado di chiarire meglio il quadro patologico.

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Pagina pubblicata il 28 settembre 2011. Ultimo aggiornamento: 13 maggio 2019. 

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Esoftalmo

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Esoftalmo

Cos’è?

È una condizione in cui l’occhio (bulbo oculare) diventa sporgente rispetto alla sua normale posizione (ossia protrude). L’esoftalmo si distingue dalla proptosi (quando il bulbo è spinto in avanti e in basso); quest’ultima interessa, perlopiù, un solo occhio ed è causata generalmente da processi proliferativi all’interno dell’orbita (tumore orbitale, emorragia retrobulbare, patologie vascolari, ecc.).
Esiste, inoltre, uno “pseudoesoftalmo” caratterizzato da una protrusione del bulbo, causato dall’aumento della lunghezza dello stesso; per esempio nella miopia elevata, e nel glaucoma congenito con buftalmo (occhio grande e sporgente), oppure può svilupparsi dopo numerosi interventi di indebolimento dei muscoli dell’occhio, finalizzati alla correzione dello strabismo.

Perché l’occhio viene fuori?

L’occhio è situato nell’orbita, formata da pareti ossee che – se integre – non sono in grado di deformarsi; ogni aumento di volume del contenuto orbitario e, quindi, anche del bulbo oculare stesso, fa sì che si abbia uno spostamento del suo contenuto in avanti.
La normale posizione dell’occhio è data dalla sua grandezza, dal volume dell’orbita, dai muscoli extraoculari e dal grasso retro-orbitario. Le variazioni di questi parametri determinano l’esoftalmo quando si ha una protrusione in avanti, mentre si ha l’enoftalmo quando si ha una retrazione del bulbo oculare.

Quali sono i sintomi?

Il lieve esoftalmo non è sintomatico; i primi disturbi si manifestano quando la protrusione in avanti raggiunge una certa entità. I soggetti affetti da esoftalmo possono presentare:

  • diplopia (visione doppia), causata da una disfunzione dei muscoli oculari a seguito di stati infiammatori o per un processo di compressione dovuto alla patologia sottostante;
  • gonfiore delle palpebre, talvolta accompagnato da una sensazione di pressione o pesantezza intorno agli occhi o all’orbita e concomitante presenza di sintomatologia dolorosa. La dislocazione dell’occhio può essere tale da far sì che le palpebre non abbiano la lunghezza sufficiente a coprire l’occhio, soprattutto nella parte centrale, determinando una cheratiteda esposizione; questo comporta seri danni corneali e congiuntivali, fino a pericolose ulcerazioni che possono compromettere la funzione visiva e provocare forti dolori al paziente;
  • secchezza oculare;
  • iperemia congiuntivale;
  • lacrimazione;
  • fotofobia;
  • riduzione della motilità oculare.

Quali sono le cause dell’esoftalmo?

Tra le cause dell’esoftalmo riconosciamo tutte le alterazioni che creano un aumento di volume del contenuto orbitario. Si possono classificare in:

  • tumorali (crescita di una massa nella cavità orbitaria);
  • infiammatorie (l’edema dato dall’infiammazione aumenta il volume dei tessuti), da cause fisiche, infettive o traumatiche;
  • alterazioni vascolari come la fistola carotido-cavernosa. Tale alterazione è caratterizzata da un’anomala comunicazione tra la carotide interna (arteria che dal collo si porta all’interno del cranio) e il seno cavernoso (canale venoso che passa attraverso una della ossa craniche); la caratteristica di questo esoftalmo (come pure di quello legato ad un aneurisma del seno cavernoso) è la pulsatilità. La spinta sistolica (quando il cuore si contrae e pompa il sangue) fa sì che un maggior volume di sangue arrivi al seno cavernoso, tale aumento di volume si riflette sulla posizione dell’occhio, che seguirà ritmicamente le pulsazioni del cuore aumentando durante la fase sistolica e diminuendo durante la diastolica (quando il cuore si rilassa).

Lo “pseudotumor orbitario” (infiltrazione e proliferazione di cellule non neoplastiche) può causare l’insorgenza di un esoftalmo nell’arco di 2-3 settimane.

Causa molto frequente dell’esoftalmo è il morbo di Basedow dovuto ad ipertiroidismo. In tale condizione patologica si evidenzia un aumento del volume dei muscoli dell’occhio a causa dell’edema e del grasso retro-orbitario, con conseguente sviluppo di esoftalmo (in genere bilaterale) oltre ad altri segni caratteristici, come l’alterata cinesi palpebrale al movimento degli occhi.

Come si esegue la diagnosi?

La diagnosi dell’esoftalmo è abbastanza immediata, in quanto il segno caratteristico, ossia la sporgenza oculare, è facilmente riconoscibile, occorre comunque sempre far ricorso ad una anamnesi accurata per valutare l’entità dei sintomi e la presenza di eventuali condizioni preesistenti, come problemi alla tiroide o precedenti traumi agli occhi.
Poi, durante la visita, l’oculista dovrà controllare la motilità oculare, l’acuità visiva, la funzione pupillare, l’ampiezza della fessura interpalpebrale. La misura del grado di esoftalmo si esegue tramite uno strumento specifico chiamato esoftalmometro, in grado di valutare con precisione la sporgenza dell’occhio rispetto allo zigomo. La tomografia computerizzata e la risonanza magnetica consentono di diagnosticare con maggior certezza la presenza dell’esoftalmo e sono indispensabili per la valutazione delle alterazioni anatomiche che lo causano. Qualora non vi siano masse (tumorali, vascolari, ecc.), la causa deve essere ricercata – il più delle volte – in uno scompenso tiroideo (sono pertanto necessari test della funzionalità della tiroide). Di fondamentale importanza è l’ecografia oculare, che consente la valutazione dello stato dei muscoli extraoculari e degli altri tessuti molli orbitari.

Qual è la terapia?

La terapia mira ad eliminare l’alterazione che ha causato l’esoftalmo. È importante garantire sempre una buona idratazione della superficie oculare per evitare che si sviluppi una sofferenza della cornea (rimanendo scoperta dalle palpebre); ciò si ottiene con l’uso  quotidiano di sostituti lacrimali (lacrime artificiali) sotto forma di collirio o gel. Tale trattamento mira ad umidificare l’occhio e contenere il più possibile i disagi legati alla malocclusione palpebrale. In caso di disepitelizzazione o cheratite da esposizione, è necessario iniziare prontamente una terapia antibiotica per evitare complicazioni infettive.
È fondamentale controllare la funzionalità del nervo ottico, che potrebbe subire delle compressioni da parte della massa infraorbitaria. Nei soggetti con neuropatia ottica, può essere indicato l’utilizzo di farmaci cortisonici o la radioterapia. Nei casi in cui risulti presente la diplopia, può essere utile la prescrizione temporanea di lenti prismatiche.
Qualora l’esoftalmo dovesse rimanere anche dopo la risoluzione della patologia che lo ha generato si può prendere in considerazione l’intervento definito di “decompressione orbitaria”: consiste nell’aumentare il volume dell’orbita andando a ridurre il volume della parete mediale e di quella inferiore (che formano la scatola orbitaria); tale aumento è relativo al numero di pareti che vengono interessate dal trattamento chirurgico. Rimanendo sempre in ambito chirurgico, spesso occorre intervenire per trattare i casi con strabismo importante o con problematiche palpebrali serie.

Quando è necessaria la decompressione orbitaria?

Soprattutto in caso di patologia tiroidea e, in generale, si deve effettuare l’intervento chirurgico quando si ha una otticopatia rapidamente progressiva, cioè quando la compressione orbitaria crea dei danni al nervo ottico che possono causare la perdita irreversibile della funzionalità visiva. Si tratta di un intervento con molti rischi e complicanze; le più comuni anche se non frequenti sono: risultato inadeguato, anestesia infraorbitaria, possibile fuoriuscita del liquido cerebrospinale, disturbi a carico dei seni paranasali e disallineamento dei bulbi oculari con conseguente diplopia.

Cosa fare in caso di esoftalmo?

L’esoftalmo può essere causato da molteplici fattori il cui approccio è spesso plurispecialistico, così come lo è il suo trattamento. Appena si avverte un cambiamento della posizione degli occhi, che sembrano sporgere verso l’esterno (esoftalmo) o retrocedere verso l’interno (enoftalmo), bisogna subito ricorrere all’oculista, che dovrà approfondire la diagnosi con altri specialisti per determinarne la causa e possibilmente rimuoverla.

Riassumendo: come viene valutato in maniera precisa l’esoftalmo?

L’entità della sporgenza dell’occhio viene misurata in millimetri con un apposito strumento (chiamato “esoftalmometro di Hertel”). Lo strumento viene poggiato sui bordi orbitari esterni e, in questo modo, viene fatta collimare sul piccolo specchio l’immagine degli apici corneali contro una scala millimetrata.
L’esame oftalmologico prevede, inoltre, l’osservazione del malato, che deve essere posto sullo stesso piano dell’osservatore (oculista) per valutare la direzione dell’esoftalmo, la sua unilateralità o bilateralità, la presenza di segni di accompagnamento tipo lo strabismo, la ptosi (abbassamento della palpebra), aspetti anomali delle palpebre (tipo cicatrici, edema) o della congiuntiva (iperemia, dilatazione abnorme dei vasi).
Inoltre, è importante, esaminare, con la palpazione, il bordo orbitario per individuare eventuali masse che spingono il bulbo ed, eventualmente, il carattere pulsante della massa. Ovviamente è necessario eseguire, come anticipato in precedenza, un esame oftalmologico completo, che comprende la misurazione dell’acuità visiva, l’esame del segmento anteriore dell’occhio (per valutare una eventuale sofferenza corneale), l’esame del fondo oculare e la valutazione della motilità oculare.

 

 

 

 

 

 

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Pagina pubblicata il 6 novembre 2009. Ultimo aggiornamento: 14 giugno 2024

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Epiteliopatia

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Epiteliopatia

Cos’è?

Col termine “epiteliopatia” si indica una patologia a carico dell’epitelio. Di solito coinvolge l’epitelio corneale o l’epitelio pigmentato (il cosiddetto foglietto esterno della retina).

Cos’è l’epitelio corneale?

cornea L’epitelio corneale è il primo degli strati della cornea: è quello più esterno, a contatto col film lacrimale, indispensabile per la sua integrità (gli altri sono la membrana di Bowmann, lo stroma, la membrana di Descemet e l’endotelio).
Una sua alterazione provoca dolore e sensazione di corpo estraneo (è come se ci fosse sabbia negli occhi), che aumenta con l’apertura e la chiusura delle palpebre: si creano delle “rotture” dell’epitelio che lasciano scoperte le terminazioni nervose.

Quali sintomi dà l’epiteliopatia corneale?

In caso di epiteliopatia corneale si ha una visione annebbiata. Una lesione dell’integrità della cornea rende quest’ultima maggiormente vulnerabile alle infezioni.

Quali sono le sue cause?

epiteliopatia Le cause delle epiteliopatie sono varie: distrofie corneali,  cheratiti (infiammazioni della cornea), congiuntiviti allergiche, alterazioni del film lacrimale, come nel caso della sindrome di Sjogren. Tale condizione colpisce le ghiandole lacrimali per cui si riduce  la secrezione  lacrimale;  l’epitelio corneale non più protetto tende a disidratarsi  e degenera (come un terreno che si secca al sole e, di conseguenza, si spacca).

Quando si può verificare?

Tutte le volte che si è in presenza di  una scarsa lacrimazione (quindi si ha una diminuzione della protezione dell’epitelio da parte del   film lacrimale) si possono verificare più facilmente dei danni, causati ad esempio, da corpi estranei nell’occhio, colpi di vento, impiego di saponi/shampoo non neutri, determinati cosmetici, ecc. Inoltre, ci sono altri soggetti a rischio: i portatori di lenti a contatto, chi va in motorino senza occhiali protettivi, le donne dopo la menopausa (sindrome dell’occhio secco). La terapia può essere basata sulla semplice somministrazione di lacrime artificiali, di antibiotici locali e prodotti ad azione  riepitelizzante.

Perché le lenti a contatto possono danneggiare l’occhio?

Un uso improprio delle lenti a contatto può provocare un danno epiteliale: se portate eccessivamente possono causare una condizione di ipossia (riduzione dell’apporto di ossigeno), creando un edema corneale. In caso di alterazione della lacrimazione la lente a contatto può, a volte, causare dei microtraumi sulla cornea , con conseguente maggior rischio di contrarre infezioni (cheratiti).

Che cosa può avvenire all’epitelio della retina?

L’epitelio pigmentato retinico

può essere colpito da molti processi patologici; ad esempio, si può verificare un distacco dell’epitelio stesso (DEP), causato da una diminuzione della permeabilità della membrana di Bruch. Le possibili evoluzioni di tale processo patologico sono: atrofia geografica, distacco del neuroepitelio, rottura dell’epitelio pigmentato o una risoluzione spontanea – senza danni funzionali -, come avviene spesso nei soggetti giovani.

Quando la lesione dell’epitelio retinico è centrale, si ha un rapido peggioramento della vista, mentre quand’è integra la fovea (zona centrale della retina) l’acuità visiva si preserva. Inoltre, nelle persone con miopia elevata l’epitelio pigmentato (che “nutre” lo strato della retina neurosensoriale) è molto assottigliato.

Esiste qualche forma rara?

Si, ad esempio l’epiteliopatia acuta multifocale posteriore a placche di pigmento è una patologia rara bilaterale di cui non si conosce la causa, che non provoca danni visivi permanenti. Colpisce la retina, si presenta tra i 30 e i 50 anni con un calo visivo (inizialmente a un solo occhio ma diventa bilaterale in pochi giorni). È caratterizzata dalla presenza, a livello retinico, di lesioni a placche multiple, di grandi dimensioni e di color crema.

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Pagina pubblicata il 17 gennaio 2008. Ultimo aggiornamento: 17 gennaio 2023.  

Ultima revisione scientifica: 17 gennaio2023

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Endoftalmite

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Endoftalmite

Cos’è?

Endoftalmite
È un grave processo infettivo che interessa le strutture e cavità interne dell’occhio: può coinvolgere il corpo vitreo, la retina, l’uvea, la sclera ed evolvere fino a diventare panoftalmite (processo infiammatorio diffuso che colpisce tutte le strutture del bulbo oculare). Tale condizione viene considerata un’emergenza oculistica: l’infezione può estendersi rapidamente oltre i confini del bulbo oculare colpendo, in questo modo, anche la cavità orbitaria e il sistema nervoso centrale.

Quali sono le cause?

Possono essere batteri, funghi e virus. Nella maggior parte dei casi l’infezione ha un’origine esterna (esogena): il germe proviene dall’ambiente, colpendo in prima istanza il bordo palpebrale e il film lacrimale che ricopre la congiuntiva palpebrale, bulbare e la  cornea. Inoltre l’infezione può essere veicolata da corpi estranei, penetrati nell’occhio in seguito a traumi perforanti o a trattamenti chirurgici intraoculari.

Le endoftalmiti causate da operazioni chirurgiche possono manifestarsi subito dopo l’intervento, spesso in modo acuto, oppure tardivamente. In particolare, l’endoftalmite infettiva post-chirurgica può essere classificata in tre forme differenti:

  1. Forma acuta immediata (o fulminante): si manifesta entro 2-4 giorni dalla procedura chirurgica.
  2. Forma acuta (ritardata): si manifesta dopo 5-7 giorni dall’intervento.
  3. Forma cronica: si presenta non prima di 1 mese dallo stesso.

Il 90% delle endoftalmiti è riconducibile all’estrazione della cataratta, maggiormente per l’alta frequenza con cui viene eseguito tale intervento chirurgico. Gli agenti infettivi maggiormente coinvolti nelle endoftalmiti post-chirurgiche sono i batteri: più del 50% sono causate da cocchi Gram + (Staphilococcus Aureus, Staphilococcus Epidermidis), il 25% da Gram – (Pseudomonas Aeruginosa), le restanti da miceti (candida) e forme polimicrobiche. I virus (herpes zoster, simplex, citomegalovirus), e i protozoi, sembra siano responsabili di endoftalmiti in pazienti immunodepressi.

Meno frequente è l’origine endogena (il germe può provenire dall’interno) per diffusione ematica, ossia attraverso la circolazione sanguigna: le cause possono essere interventi chirurgici sistemici, ascessi, procedure odontoiatriche recenti, iniezioni endovenose, alimentazione per via parenterale, emodialisi e persino trattamenti con farmaci immunosoppressori. In questo caso la causa primaria dell’infezione sono i funghi come la Candida albicans o l’Aspergillus fumigatus. 

Quali sono i sintomi e i segni dell’endoftalmite?

I sintomi e i segni dell’endoftalmite possono essere più eclatanti e con evoluzione più rapida, oppure apparire più sfumati, ciò in base agli agenti patogeni coinvolti e alle condizioni di salute del paziente. In generale, il sintomo principale è il dolore oculare, accompagnato da calo del visus. Si può arrivare a un grave danno funzionale dell’occhio, fino al rischio di perdita anatomica dello stesso. All’esame con la lampada a fessura, nella maggior parte dei casi si può riscontrare: gonfiore delle palpebre (edema palpebrale), chemosi (protrusione) ed iperemia della congiuntiva (arrossamento), edema corneale, ipopion, torbidità dell’umore acqueo, fini depositi di pigmento sull’ endotelio corneale, raramente presenza di infiltrati corneali. All’esame del fondo oculare si può evidenziare una marcata infiammazione vitreale e segni di interessamento retinico con presenza di emorragie, vasculite ed aree di retinite.

Come si esegue la diagnosi?

corpo vitreo
La diagnosi si basa sull’analisi dei fattori di rischio  e sull’osservazione dei segni e dei sintomi. Fattori di rischio per l’endoftalmite sono:

  • diabete mellito;
  • insufficienza renale;
  • chemioterapia;
  • linfomi-leucemie;
  • pregressa chirurgia oculare;
  •  

Per individuare con precisione i segni dell’infezione, invece,  lo specialista esamina l’occhio mediante la lampada a fessura e può ricorrere all’ecografia bulbare se sono presenti opacità o particolari addensamenti che non consentono di visualizzare bene il fondo oculare. È importante eseguire esami di laboratorio su prelievi effettuati mediante tamponi congiuntivali o corneali, come in caso di ulcere, per individuare il possibile germe e, mediante antibiogramma, valutare le eventuali resistenze agli antibiotici in modo da  impostare  una terapia mirata. È possibile anche eseguire un esame colturale degli aspirati dalla camera anteriore e dal vitreo.

Come si può curare?

Con trattamento antibiotico miratoe con un interventochirurgico che rappresenta l’unica terapia davvero efficace e molte volte risulta utile, a scopo diagnostico, anche per isolare il germe responsabile dell’infezione.

Che tipo di intervento chirurgico?

Si esegue l’intervento di vitrectomia. Con questa procedura viene rimosso il corpo vitreo e viene prelevato un certo quantitativo di materiale vitreale, che viene sottoposto a esame colturale e antibiogramma. Inoltre è possibile eseguire l’iniezione nel bulbo oculare (intravitreale) di un antibiotico ad ampio spettro d’azione, in alcuni casi, si rende necessaria l’asportazione del cristallino.

Si deve seguire qualche terapia dopo l’operazione?

Sì. È importante intraprendere una terapia locale con pomate antibiotiche e applicare una protezione oculare secondo le modalità e il periodo di tempo indicato dal chirurgo. Alla terapia locale si associa spesso una terapia sistemica (ossia assunzione di antibiotici). In questo modo si aiuta l’occhio operato a guarire meglio e a prevenire eventuali complicanze. Infatti, non eseguire in maniera corretta e scrupolosa le cure, le medicazioni e i controlli successivi all’operazione può compromettere la buona riuscita dell’intervento stesso.

Si può recuperare la vista?

Il recupero della vista successivo all’intervento dipende dalla gravità dell’infezione e dalle condizioni generali preesistenti dell’occhio, ossia dallo stato della retina, del nervo ottico e della cornea. Eventuali esiti permanenti (possibili lesioni a strutture oculari coinvolte nell’infezione) incideranno negativamente sulla qualità visiva successiva al trattamento.

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Pagina pubblicata il 6 luglio 2011. Ultimo aggiornamento: 25 luglio 2023. 

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Emianopsia

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Emianopsia

Cos’è?

emianopsia
L’emianopsia è un deficit caratterizzato dalla perdita di metà del campo visivo. Può colpire la sua metà destra o sinistra (emianopsia laterale ossia verticale) oppure la sua metà in alto o in basso (emianopsia altitudinale ossia orizzontale).

Il termine emianopsia deriva dal greco, dove “emi” significa metà, “an” significa senza, “opsia” significa vista. Tale alterazione del campo visivo, comporta per il paziente tutta una serie di problematiche sia a livello visivo che comportamentale, andando ad incidere in maniera negativa sulla sua qualità di vita. In particolare, i soggetti affetti da emianopsia, riferiscono difficoltà nel trovare gli oggetti, nell’identificare gli ostacoli, nel salire le scale, nella guida, nel muoversi in maniera fluida e rapida in ambienti piuttosto affollati. Si possono inoltre riscontrare notevoli difficoltà nella lettura, che appare lenta e discontinua, soprattutto nel caso in cui l’area maculare non sia stata risparmiata dalla lesione.

È importante fare una distinzione tra l’emianopsia permanente e quella temporanea, che può presentarsi, ad esempio, nel corso di un’aura visiva emicranica. In quest’ultimo caso l’alterazione del campo visivo è di breve durata e una volta terminato l’episodio di emicrania, la situazione visiva ritorna alla normalità.

Emianopsia: classificazione

L’emianopsia viene solitamente classificata in base alla distribuzione del deficit del campo visivo.

L’ emianopsia omonima rappresenta la perdita della vista nella stessa metà del campo visivo in entrambi gli occhi. Ad esempio, nel caso di una emianopsia omonima sinistra sia l’occhio destro (con la parte di campo visivo verso la parte del naso) che l’occhio sinistro (con la parte del campo visivo verso la parte della tempia) saranno deficitari. Tale alterazione campimetrica di solito si presenta in caso di lesioni della corteccia cerebrale o delle radiazioni ottiche. In caso di emianopsia omonima destra, ovviamente, il campo interessato sarà il controlaterale. 

Nel caso di emianopsia eteronima il deficit campimetrico riguarda metà discordanti tra i due occhi. In particolare si può avere una perdita delle due metà esterne del campo visivo ossia bitemporali oppure di quelle interne ossia binasali.

Infine, esiste anche la possibilità di una quadrantopsia o emianopsia quadrantica, cioè la perdita di un solo quadrante del campo visivo. 

Quali sono le cause?

La maggior parte delle cause sono imputabili a una compressione delle vie ottiche: analogamente a quanto avviene quando si schiaccia un tubo dell’acqua, il segnale bioelettrico non passa più se un nervo o un’area cerebrale è compressa (oppure il segnale passa solo in parte).

). Tra le lesioni più frequenti che possono dare origine a emianopsia  abbiamo:

  • quelle di natura vascolare (come ischemie o emorragie, dilatazioni aneurismatiche);
  • neoplastiche (tumori cerebrali di varia natura);
  • infiammatorie;
  • demielinizzanti
  • traumatiche. 

L’approccio terapeutico varia ovviamente in base alla causa riconosciuta: in caso ad esempio di un tumore dell’ipofisi si può procedere ad asportazione chirurgica dello stesso, mentre se c’è un aneurisma si può ricorrere alla neurochirurgia vascolare (intervento di embolizzazione per la chiusura del vaso danneggiato). Dopo l’operazione l’emianopsia potrà scomparire se non si è già verificata  la morte delle cellule nervose delle vie ottiche. Inoltre si può verificare un’emianopsia se si è colpiti da ictus con coinvolgimento delle aree corticali deputate alla visione. Tuttavia, dopo opportuna riabilitazione visiva potrebbe essere possibile recuperare parzialmente il campo visivo danneggiato.

Quali sono le lesioni che possono provocare emianopsia?

In base alla localizzazione del danno, le lesioni si possono dividere in:

  • prechiasmatiche;
  • chiasmatiche;
  • retrochiasmatiche.

Le prechiasmatiche interessano il tratto delle vie ottiche compreso tra il bulbo oculare e il chiasma (questo è il punto dove i nervi ottici di entrambi gli occhi si incontrano e incrociano parte delle fibre). Le lesioni chiasmatiche interessano invece direttamente il chiasma (come succede ad esempio in caso di macroadenomi o meningiomi della sella turcica e del corpo dello sfenoide). Le lesione retrochiasmatiche sono infine quelle che interessano le vie nervose comprese tra il chiasma e la corteccia cerebrale.

Come si cura l’emianopsia? 

Come accennato in precedenza, la terapia dell’emianopsia mira principalmente a rimuovere le cause del danno, ad esempio asportando una massa tumorale. In alcuni casi, purtroppo, pur intervenendo chirurgicamente in tal senso, il danno risulta irreversibile ed è quindi impossibile “recuperare” la porzione di campo visivo perduta.

L’emianopsia deve quindi essere considerata l’ effetto di un’altra patologia: è spesso il primo esordio di una malattia cerebrale grave (aneurismi, tumori, ictus, ecc.) che potrebbe non dare segni se non dopo la perdita del campo visivo. Naturalmente è indispensabile – quando si ha il solo sospetto di avere dei deficit visivi – recarsi dall’oculista. Oggi la risonanza magnetica e la Tomografia Computerizzata permettono di identificare la causa dell’emianopsia in maniera rapida e precisa.

 

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Pagina pubblicata il 20 ottobre 2009. Ultimo aggiornamento: 31 luglio 2023.  

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Èdema retinico

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Èdema retinico

Cos’è l’èdema retinico?

Nell’edema retinico si ha un accumulo improprio di liquido nella retina.

Quale parte di retina può essere coinvolta?

Potenzialmente può essere coinvolta tutta la retina, ma si distinguono principalmente un edema maculare e un edema periferico. I sintomi sono molto differenti: questo secondo tipo potrebbe non dare luogo a sintomi oppure si possono presentare fenomeni tipo miodesopsie o fosfeni, mentre l’edema maculare è sempre responsabile di un calo della vista proporzionale alla gravità dell’edema stesso: più siero sanguigno e proteine si accumulano tra gli strati della macula, peggio si vede.

Da cosa è causato l’èdema maculare?

Edema maculare cistoide (all'OCT)L’edema maculare è una complicanza di alcune patologie della retina quali la retinopatia diabetica, le occlusioni vascolari retiniche oppure – in alcuni casi – può essere l’effetto secondario indesiderato di un intervento chirurgico (sindrome di Irvine-Gass: si legga oltre).

Quando si ha l’edema maculare cistoide?

L’edema viene definito “maculare cistoide“ quando la fluorangiografia e l’OCT – due esami strumentali che consentono lo studio della retina – rivelano un accumulo di liquido che ha l’aspetto di numerose cisti: nel momento in cui si infiltra il liquido sieroso, gli strati della macula si distanziano tra loro.

Cos’è l’edema maculare diabetico?

L’edema maculare diabetico si può verificare sia nel diabete insulino-dipendente (tipo 1) sia nella forma meno grave, che non richiede la somministrazione di insulina (diabete di tipo 2): rappresenta la più comune causa di perdita della vista nei diabetici, soprattutto dei primi.

L’edema può essere focale (o comunque localizzato solo in alcuni punti della retina) oppure diffuso.

1. La forma di edema maculare diabetico focale è causata dal fluido che fuoriesce dai vasi anomali della retina del diabetico (tipo microaneurismi e capillari dilatati), dando origine ai cosiddetti “essudati”. Il trattamento terapeutico consiste nell’impiego del laser focale o a griglia, che ha lo scopo di chiudere i microaneurismi responsabili della fuoriuscita di liquido.

2. L’edema diffuso è presente in entrambi gli occhi e non è accompagnato da essudati (ossia non ci sono fuoriuscite di liquido dei vasi retinici). Anche in questo caso si ricorre spesso al laser, che viene utilizzato su tutta la retina e non solo nella zona centrale. Infatti il fascio luminoso coerente è in grado di bloccare la formazione di nuovi vasi e degli essudati.

Come si cura l’edema maculare diabetico?

Recenti studi hanno dimostrato il ruolo efficace dei farmaci antiangiogenici (anti-VEGF) – che riducono la proliferazione incontrollata di vasi con iniezioni nel corpo vitreo – nel ridurre l’edema maculare. Inoltre, l’iniezione di steroidi (triamcinolone) si è dimostrata efficace nel miglioramento visivo in associazione al trattamento laser a griglia. Tuttavia gli effetti del miglioramento visivo possono essere transitori (5-6 mesi). Si può verificare un aumento della pressione oculare, una progressione della cataratta fino a complicanze più gravi come le infezioni intraoculari, le emorragie vitreali e il distacco di retina. Il trattamento terapeutico eseguito nell’edema maculare è classicamente il laser focale o a griglia.

Può essere associata ad altro?

  • La sindrome di Irvine-Gass: si può verificare in alcuni casi dopo la chirurgia della cataratta, determinando una riduzione della vista. La causa di tale edema si mette in relazione con l’alterazione della barriera emato-retinica, a causa della quale si crea un’essudazione di liquido che si accumula all’interno degli strati della macula. Un’altra teoria chiama in causa le alterazioni vitreali conseguenti alla chirurgia e, quindi, le trazioni esercitate dal vitreo a livello della regione maculare. In ogni caso la terapia che si è dimostrata più efficace è quella che si basa sulla somministrazione topica o sistemica, per via orale, dell’indometacina (FANS).
  • Nelle occlusioni vascolari retiniche: si può manifestare l’edema maculare. Quando si occlude l’arteria centrale della retina viene meno l’afflusso di sangue nella regione maculare e si instaura un edema ischemico che provoca una brusca riduzione della vista. Nel 10% dei casi la presenza di un’arteria suppletiva assicura l’apporto di sangue alla fovea (la parte centrale della macula), fondamentale per la visione distinta. In questo caso la visione si mantiene buona.
    Il trattamento farmacologico si basa sull’uso di anticoagulanti, fibrinolitici e acetazolamide. Quando si verifica l’ostruzione di una vena retinica che drena il sangue, la pressione all’interno della rete dei capillari aumenta, provocando emorragie, fuoriuscita di liquido ed essudazione all’interno della retina. Quindi, quando la localizzazione della vena occlusa interessa il centro della retina (macula), il sanguinamento, l’essudazione e la diffusione del liquido causano una riduzione visiva e del campo visivo corrispondente al quadrante coinvolto. La complicanza più frequente delle occlusioni venose retiniche è la proliferazione di vasi dovuta a una carenza d’ossigeno (ischemia). Il trattamento laser è, dunque, efficace nel bloccare la crescita dei vasi da poco formati e nell’indurre la regressione. L’iniezione intravitreale di farmaci antiangiogenetici ha dato dei risultati positivi nella regressione dell’edema.

Perché in caso di edema maculare c’è diminuzione della vista?

Nell’edema maculare si ha un accumulo di liquido a livello della macula ossia della porzione centrale della retina. La macula rappresenta il 5% della retina, ma è la regione che permette la visione centrale e distinta ossia quella che consente di leggere, valutare i colori, distinguere e riconoscere i volti, guardare la televisione, guidare ed eseguire le altre attività della vita quotidiana. L’accumulo di tale liquido negli strati che formano la macula determina, quindi, un annebbiamento visivo (con distorsione delle immagini, che si può notare facilmente sulle linee e griglie a quadretti). Nella maggior parte dei casi, con il riassorbimento del liquido, si assiste a un lento e graduale recupero.

Come si esegue la diagnosi?

L’edema maculare viene diagnosticato con l’esame del fondo oculare e viene confermato con la fluorangiografia e l’OCT. Quest’ultima permette di evidenziare l’estensione dell’edema, mentre l’OCT consente di valutare lo spessore maculare, evidenziando gli spazi entro cui si accumula il liquido.

Cos’è l’edema retinico periferico?

È conosciuto come edema di Berlin ed è una conseguenza di un trauma non penetrante della parte anteriore dell’occhio. Si mette in evidenza con l’esame del fondo oculare; è caratterizzato da un aspetto bianco-grigiastro del tessuto retinico dovuto a ipossia (mancanza di ossigeno). Questo determina un transitorio malfunzionamento del settore retinico coinvolto e, in particolare, dei fotorecettori retinici che potranno fornire risposte alterate (lampi di luce ovvero fosfeni) o potrebbero perdere la loro funzionalità (visione di mere ombre). Il trattamento consiste nell’utilizzo di farmaci steroidei per via sistemica.

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Pagina pubblicata il 11 dicembre 2012. Ultimo aggiornamento: 12 febbraio 2019. 

Ultima revisione scientifica: 27 agosto 2014.

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Edema corneale

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Edema corneale

Cos’è?

In medicina con la parola “èdema” si indica il rigonfiamento di un tessuto organico causato da un accumulo di liquido (soprattutto siero sanguigno). Ciò può avvenire sia all’esterno delle cellule che all’esterno dei vasi sanguigni (spazi interstiziali). Quindi l’edema corneale è una condizione patologica in cui si verifica un eccessivo accumulo di liquido nella cornea, in particolare nel suo strato centrale detto “stroma” (tra le cellule che lo compongono, i cheratociti).

Cosa comporta l’edema corneale?

La trasparenza della cornea è dovuta alla sua struttura e al suo contenuto (acquoso). Quest’ultimo è finemente controllato dall’endotelio (strato più interno), un sistema attivo di pompe naturali in grado di regolare la giusta quantità di liquidi e sali presenti all’interno della cornea. Tali processi fisiologici gestiti dall’endotelio, possono però essere alterati in determinate condizioni patologiche, per cui la cornea può imbibirsi eccessivamente di liquidi, con conseguente aumento di spessore e perdita della sua trasparenza. Quest’ ultima evenienza, comporta un’alterazione della visione che va dall’appannamento fino ad un vero e proprio calo del visus. I sintomi principali che si presentano nei pazienti affetti da edema corneale sono i seguenti:

  • visione offuscata o alterata (si ha l’impressione di vedere attraverso un vetro smerigliato);
  • fotofobia (fastidio alla luce);
  • lacrimazione;
  • arrossamento;
  • sensazione di corpo estraneo;

La gravità dei disturbi dipende dal grado di edema, cioè da quanto liquido in eccesso è presente nella cornea.

Quali sono le condizioni che portano all’edema corneale?

I fattori principali che portano all’insorgenza di un edema corneale sono: alterazioni a carico dell’epitelio corneale e disfunzioni dell’endotelio.

Nel primo caso, si assiste ad una perdita d’integrità dello strato epiteliale con conseguente accumulo di liquido. Un epitelio sano, garantisce un corretto equilibrio di liquido all’interno della cornea, se, viceversa, la sua struttura risulta alterata (come ad esempio in caso di infiammazioni, infezioni, traumi, ecc.), si assiste ad un rigonfiamento e opacamento della stessa. L’edema epiteliale di solito non è di grossa entità e tende a risolversi nel giro di qualche giorno, può essere maggiore al mattino per poi ridursi nell’arco della giornata. Le cause principali di tale edema possono essere: uso continuo ed improprio delle lenti a contatto (LAC), azione tossica dei conservanti contenuti in vari colliri, trauma chirurgico.

Nel caso di alterazioni dell’endotelio, l’edema corneale può svilupparsi a seguito di: intervento di cataratta particolarmente difficoltoso, traumi oculari, glaucoma acuto, endoteliopatie.

Possiamo paragonare la cornea a un locale in cui ci deve essere il giusto numero di persone (fuor di metafora, la quantità ottimale di acqua e sali). L’endotelio funziona in modo simile a ciò che fa chi regola l’accesso delle persone: quando sono poche le fa entrare nella sala, mentre quando sono troppe le fa uscire. Si ha edema corneale quando il nostro door-selector (endotelio) non riesce più a regolare correttamente il flusso di persone: o perché fuori sono troppe, come nel caso di un glaucoma acuto (elevata pressione all’interno dell’occhio), o quando le capacità di selezione sono ridotte, come nel caso delle endoteliopatie. L’edema può essere diffuso o localizzato.

Com’à fatto l’endotelio?

L’endotelio corneale è costituito da un unico strato di cellule che formano un mosaico (mosaico endoteliale). Tali cellule non hanno la capacità di moltiplicarsi, per cui – quando ne muore una – le cellule attigue aumentano di grandezza e vanno a coprire la zona lasciata libera dalla cellula morta.

A cosa si deve la sua resistenza?

La capacità di “tenuta” dell’endotelio è data dal numero di cellule che lo costituisce. Tale valore è legato all’età (diminuisce col passare degli anni); infatti, i traumi corneali e gli interventi chirurgici possono ridurre il numero di cellule endoteliali. Inoltre, gli ultrasuoni utilizzati per l’intervento di cataratta sono endotelio-lesivi (ad esempio, quando si deve frantumare un cristallino con nucleo molto duro, ossia in presenza di una cataratta in stadio avanzato – per cui è necessaria una quantità maggiore di ultrasuoni – si potrà verificare una diminuzione di cellule endoteliali). È importante, tuttavia, sapere che l’endotelio ha una riserva funzionale e un intervento di cataratta, in generale, non mette in pericolo la sua struttura e la sua funzionalità. Pazienti con pregressi interventi chirurgici o storie di patologie corneali serie, dovranno sottoporsi a uno studio della funzione endoteliale per valutare tutti i rischi di un eventuale nuovo intervento chirurgico. L’esame, definito conta endoteliale, è semplice e privo di rischi per la salute della cornea.

Come si esegue la diagnosi di edema corneale?

Per fare diagnosi di edema corneale occorre rivolgersi all’oculista, il quale attraverso una visita completa potrà verificare lo stato di salute generale dell’occhio ed in particolare della superficie oculare. In presenza di edema della cornea, lo specialista potrà riscontrare: calo del visus, edema unilaterale o bilaterale (evidente all’esame con la lampada a fessura), prevalentemente epiteliale o stromale, pieghe della Descemet, cornea guttata, ecc. La visita deve essere completata con la misurazione della pressione intraoculare (IOP) ed esame del fondo oculare.

Qual è la terapia adatta per l’edema corneale?

Gli obiettivi principali del trattamento dell’edema corneale sono fondamentalmente i seguenti: recupero del visus e risoluzione della sintomatologia e del dolore (se presente). Quando l’edema è provocato da una pressione alta dell’occhio bisogna innanzitutto risolvere tale problematica (mediante farmaci ipotensivi); se la causa è una forte infiammazione occorre impostare apposita terapia farmacologica per risolverla. Una corretta gestione delle LAC sarà invece la cura indicata per le situazioni provocate da un uso improprio/eccessivo delle stesse. La terapia specifica per l’edema corneale consiste, a livello topico, nell’instillazione di colliri, detti iperosmotici, capaci di “richiamare” acqua fuori dalla cornea. Se l’edema è causato da uno scompenso endoteliale, una soluzione efficace può essere far ricorso ad una cheratoplastica (si veda trapianto di cornea).

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Pagina pubblicata il 12 maggio 2009. Ultimo aggiornamento: 31 maggio 2024

Ultima revisione scientifica: 31 maggio 2024. 

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Distrofie corneali

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Come vediamo

Distrofie corneali

Cosa sono?

distrofie corneali Per distrofie corneali si intende un gruppo eterogeneo di malattie genetiche non infiammatorie che colpiscono la cornea. Possono essere monolaterali o bilaterali (ossia coinvolgere uno oppure entrambi gli occhi).

Quali sono le cause?

Le distrofie della cornea sono causate dalla mutazione di alcuni geni, alcuni dei quali sono stati identificati. La trasmissione può essere autosomica dominante (entrambi gli alleli sono “malati”) oppure recessiva (un solo allele colpito).

Come colpiscono la cornea?

strati della corneaLe distrofie possono colpire la cornea in tutti i suoi strati. Infatti, dal punto di vista clinico, le possiamo classificare in tre gruppi in base alla loro localizzazione. In alcuni casi colpiscono l’epitelio corneale, la sua membrana basale (o strato di Bowman) e lo stroma corneale superficiale (in questi casi si parla di distrofie corneali anteriori) oppure coinvolgono lo stroma corneale (distrofie corneali stromali) o, ancora, la membrana di Descemet e l’endotelio corneale (distrofie corneali posteriori).

Come si presentano?

La loro manifestazione consiste nella formazione di opacità di varia forma in una cornea chiara o opaca. Tali opacizzazioni causano un deficit visivo che varia a seconda della loro entità. Si presentano solitamente tra la prima e la quarta decade di vita. 

Cosa causano le opacità corneali?

La presenza delle opacità provoca la perdita della trasparenza corneale. Quindi, a seconda della loro localizzazione e della loro profondità, si possono manifestare delle riduzioni dell’acuità visiva di varia entità.

Come si esegue la diagnosi?

La diagnosi viene effettuata mediante esame oculistico con l’ausilio della lampada a fessura (strumento di osservazione che si avvale di una “lama” di luce), che permette un esame ultrastrutturale della cornea. Per alcune forme sono disponibili dei test genetici.

Si possono curare?

Generalmente non si curano se la forma è lieve (alterazione minima della visione); se, invece, è più grave è trattabile. Le forme, caratterizzate da notevoli opacità che inducono un’alterazione della visione centrale fino alla cecità, possono essere trattate chirurgicamente, con metodi di escissione o ablazione del tessuto corneale attraverso cheratectomia fototerapeutica (PTK) o cheratoplastica lamellare endoteliale profonda (DLEK).

Quali sono i tipi di distrofia?

Le distrofie corneali si possono classificare in base all’aspetto biomicroscopico e istopatologico in:

  • epiteliali;
  • della membrana di Bowman;
  • stromali;
  • endoteliali.

Quali sono le distrofie epiteliali?

Tra le distrofie epiteliali c’è la Distrofia di Cogan e quella di Meesmann.

La Distrofia di Cogan è la forma clinica più comune, ed è caratterizzata da un’alterazione microcistica a livello della giunzione corneale epiteliale alla membrana basale. La manifestazione clinica della patologia è variabile. Nella maggior parte dei casi è asintomatica; in alcuni casi, dopo la terza decade di vita, si possono verificare erosioni epiteliali ricorrenti che causano dolore, lacrimazione e offuscamento della visione. La terapia si avvale della “cheratectomia fototerapeutica” (PTK con laser ad eccimeri), anche se in alcuni casi può ripresentarsi (recidivare) e necessitare così di un nuovo intervento.

 

La Distrofia di Meesmann è una condizione piuttosto rara, che si manifesta entro i primi due anni di vita, caratterizzata dalla presenza di vescicole a livello dell’epitelio corneale. Le persone affette possono lamentare fotofobia, lacrimazione e blefarospasmo (chiusura persistente, forzata e involontaria delle palpebre), mentre la visione è solitamente preservata o lievemente ridotta. Il trattamento può essere, in molti casi, basato essenzialmente sull’instillazione frequente di lacrime artificiali, si può eventualmente anche intervenire con la  cheratectomia fototerapeutica

Quali sono le distrofie della membrana di Bowman?

Tra queste rientrano la Distrofia di Reis-Bucklers, la Distrofia di Thiel-Behnke e la Distrofia di Schnyder.

La Distrofia di Reis-Bucklers è caratterizzata da un’anomalia della membrana di Bowman. Si presenta fin dai primi anni di vita con episodi dolorosi ricorrenti, dovuti a una erosione epiteliale fino ad interessare la membrana di Bowman. A livello di tale membrana si osservano delle opacità bianco-grigiastre che, col passare del tempo, aumentano di densità, conferendo alla cornea un aspetto “reticolare” (a carta geografica). Il trattamento può essere effettuato mediante cheratectomia con laser a eccimeri oppure cheratoplastica lamellare.

La Distrofia di Thiel-Behnke è un’alterazione a carico dell’epitelio corneale e della membrana di Bowman in cui le opacità assumono un aspetto ad alveare. Rispetto alla distrofia di Reis-Bucklers è più tardiva (fine della prima decade) ed è caratterizzata anch’essa da episodi dolorosi ricorrenti dovuti all’erosione epiteliale. Il deficit visivo è solitamente inferiore rispetto alla distrofia di Reis-Bucklers; pertanto il trattamento non è, il più delle volte, necessario.

La Distrofia di Schnyder coinvolge la membrana di Bowman e gli strati più superficiali dello stroma corneale. L’esordio si può avere alla nascita o nei primi anni di vita. E’ caratterizzata da opacità cristalline subepiteliali nell’ambito di una cornea opaca. Tali cristalli aghiformi sono costituiti da colesterolo e fosfolipidi e si formano per un alterato metabolismo dei lipidi. Il trattamento previsto è quello con cheratectomia con laser ad eccimeri.

Quali sono le distrofie stromali?

Tra le distrofie stromali ci sono la Distrofia corneale Reticolare, la Distrofia di Avellino, la Distrofia Maculare corneale e la Distrofia gelatinosa a goccia.

La Distrofia Corneale Reticolare è caratterizzata da depositi di amiloide (materiale proteico fibrillare insolubile), che fanno assumere alla cornea l’aspetto di un reticolo. Ne esistono diverse varianti. La sintomatologia è caratterizzata da erosioni corneali e da una riduzione della vista. Il trattamento avviene mediante cheratoplastica lamellare o perforante.

La Distrofia di Avellino è caratterizzata da depositi stromali, opacità e lesioni reticolari dello stroma stesso. Di essa ne esistono diverse varianti. In questi casi c’è l’indicazione per la cheratoplastica perforante.

Distrofia Maculare Corneale è caratterizzato da un accumulo di collagene in maniera anomala a livello delle lamelle corneali. Si possono verificare erosioni corneali ricorrenti che causano fotofobia, dolore e riduzione del’acuità visiva. Il trattamento richiede un intervento di cheratoplastica perforante.

La Distrofia Gelatinosa a goccia è caratterizzata da depositi di sostanza amiloide a livello stromale anteriore, che causa la formazione di noduli grigi subepiteliali. Si verifica una riduzione della vista, lacrimazione e fotofobia. La terapia può essere effettuata mediante cheratectomia con laser a eccimeri.

Quali sono le distrofie endoteliali?

Tra le distrofie endoteliali c’è la Distrofia Endoteliale di Fuchs e la Distrofia Posteriore Polimorfa.

La Distrofia Endoteliale di Fuchs è caratterizzata da una notevole riduzione delle cellule endoteliali corneali, con conseguente comparsa di   edema corneale.  Colpisce prevalentemente le donne in età adulta ad entrambi gli occhi e si può associare a glaucoma. Può essere distinta in tre stadi:

  • Stadio I: si evidenziano delle protuberanze irregolari sulla membrana di Descemet e, all’esame alla lampada a fessura, si rilevano le cosiddette “gutte” che rappresentano le cellule endoteliali deteriorate. Il visus del paziente non risulta compromesso, per cui in questa prima fase la malattia è spesso asintomatica o con pochi sintomi.
  • Stadio II: la cornea ha un aspetto a “metallo battuto” e in questa fase si evidenzia un’iniziale riduzione del visus.
  • Stadio III: la sofferenza avanzata e diffusa dell’endotelio corneale, porta alla comparsa di edema epitelio-stromale, con formazione di bolle che causano dolore e fastidio nel momento in cui si rompono, a causa dell’esposizione delle terminazioni nervose corneali.

A seconda dello stadio della patologia la terapia può essere eseguita con colliri a base di cloruro di sodio, lente a contatto terapeutica (che riduce il dolore proteggendo le terminazioni nervose esposte ed appiattisce le bolle), cheratoplastica perforante, ricoprimento congiuntivale e innesto di membrana amniotica.

 

La Distrofia Posteriore Polimorfa è una malattia rara ed asintomatica nella quale l’endotelio assume un aspetto simile all’epitelio. I segni sono minimi e consistono in formazioni vescicolari a livello endoteliale. Il trattamento terapeutico, solitamente, non è necessario.

Distrofie corneali secondarie 

Oltre alle distrofie corneali su base genetica, esistono anche delle alterazioni corneali causate da malattie sistemiche; in questo caso si parla di distrofie corneali secondarie. Tali forme di solito compromettono il visus in maniera medio-grave e possono essere dovute ad alterazioni del metabolismo dei glicidi, delle proteine e dei lipidi.

Anche l’utilizzo prolungato di diversi farmaci assunti per via sistemica (clorpromazina, indometacina, clorochina, amiodarone), può intervenire nel modificare la trasparenza corneale, con effetti spesso irreversibili anche dopo che viene sospeso il trattamento farmacologico.

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Pagina pubblicata il 8 luglio 2010. Ultimo aggiornamento: 29 settembre 2022. 

Ultima revisione scientifica: 29 settembre 2022.

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Coroideremia (coroide denudata)

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Malattie oculari

Coroideremia (coroide denudata)

Cos’è?


Come si evince dal termine si tratta di una patologia che colpisce la coroide . Analogamente all’ atrofia girata , colpisce lo stesso tessuto oculare spugnoso e riccamente vascolarizzato, che alimenta la retina sovrastante con ossigeno e sostanze nutritive. Rappresenta una forma diffusa di distrofia coroideale.

Chi colpisce?

Si tratta di una malattia genetica ereditaria con trasmissione legata al sesso (trasmessa dal cromosoma X con modalità recessiva). Vengono, quindi, generalmente colpiti i maschi. I primi sintomi si manifestano prima dei 40 anni.

Come si manifesta?

Generalmente i pazienti cominciano ad avvertire disturbi visivi soprattutto in condizioni di oscurità (nictalopia). Con l’avanzare della patologia compare una graduale contrazione del campo visivo e/o scotomi periferici (zone cieche). Può culminare nell’ipovisione e nella cecità.

Come colpisce?

Le mutazioni a carico di due geni (REP-1 e REP-2) presenti sul cromosoma X causano un’alterata attivazione di una famiglia di proteine (chiamate rab). Per motivi ancora sconosciuti questa modificazione molecolare determina, a sua volta, un’alterazione a livello coroideale e, quindi, un ridotto apporto ematico a livello retinico, con conseguente morte dei fotorecettori .

Quali sono i segni oftalmoscopici?

Coroideremia (Foto fondo oculare: Eye Text)
Inizialmente l’esame del fondo oculare mette in evidenza solo una fine punteggiatura legata alla depigmentazione dell’epitelio pigmentato. Successivamente si fanno evidenti delle larghe chiazze di atrofia (riduzione del numero di cellule) che, dalla media periferia retinica, avanzano sia anteriormente che posteriormente. La regione maculare risulta in genere risparmiata dal processo degenerativo.

Quali esami diagnostici fare?

Oltre alla fluorangiografia , che metterà in evidenza l’atrofia dell’epitelio pigmentato retinico ed il lento riempimento del suo albero vascolare retinico, anche l’ ERG (elettroretinogramma) si presenterà precocemente alterato. è importante controllare anche i pazienti di sesso femminile, in quanto le donne possono risultare portatrici sane della coroideremia e, quindi, trasmettere la malattia al 50% dei figli maschi e rendere, a loro volta, il 50 % delle figlie portatrici dell’anomalia.

Esiste una terapia?

No, attualmente non esiste una terapia approvata in grado di arrestare la progressione della coroideremia. Deve essere, comunque, impostata una consulenza genetica al fine di valutare il rischio di ricorrenza. Tuttavia, ha dato risultati incoraggianti una sperimentazione basata sulla terapia genica (che prevede iniezioni sotto la retina), i cui primi risultati sono stati pubblicati sulla rivista britannica The Lancet il 16 gennaio 2014.

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Pagina pubblicata il 9 novembre 2010. Ultimo aggiornamento: 13 giugno 2016. 

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Cecità corticale

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Malattie oculari

Cecità corticale

Cos’è?

cervello-aree_corteccia_cerebrale_per_visione-universita_di_monaco-photospip1ed11b5a5f33d6f8e213c7c408a36600.jpgCon “cecità corticale” s’intende la perdita della vista dovuta a un danno della corteccia visiva, la zona del cervello che elabora gli impulsi elettrici provenienti dagli occhi: il sistema visivo può essere paragonato a una macchina fotografica (l’occhio) che trasforma le immagini in impulsi elettrici (il sensore digitale è simile alla retina) dopo aver messo a fuoco le immagini che viaggiano attraverso cornea, cristallino e corpo vitreo. Tali impulsi bioelettrici, tramite le vie ottiche, arrivano al cervello che elabora le immagini, dandoci al contempo consapevolezza di ciò che stiamo osservando. Quando questa parte non funziona correttamente non siamo più in grado di codificare gli stimoli luminosi che ci provengono dall’esterno, nonostante gli occhi funzionino se considerati isolatamente.

Quando si manifesta?

Si manifesta dopo traumi, emorragie, infarti o tumori che colpiscono l’area occipitale della corteccia cerebrale (area 17 secondo la classificazione di Brodmann) o, in alcuni casi, per lesioni dell’ultimo tratto delle vie ottiche (porzione retro-genicolata). Perché si sviluppi la cecità corticale, entrambi gli emisferi devono essere colpiti simultaneamente.

Quali sono le cause?

Le cause che possono determinare cecità corticale possono essere di natura vascolare, per ischemia dell’arteria cerebrale posteriore e cerebrale media, traumatica, infettiva e tossica (ad esempio derivante da monossido di carbonio). Importanti interventi chirurgici, in particolare quelli cardiaci, potrebbero esserne causa in seguito a lunghi episodi di ipossia (insufficiente apporto di ossigeno ai tessuti).

Come si presenta?

Tale condizione si presenta con lesione bilaterale dei lobi occipitali e perdita dell’orientamento spaziale e topografico. L’apparato oculare risulta integro, con conservazione dei riflessi pupillari, normale aspetto del fondo oculare, normale motilità oculare e assenza del nistagmo optocinetico (movimento oculare involontario naturale per seguire gli oggetti in movimento).

A quali altri fenomeni è associata?

Gli affetti da cecità corticale possono presentare allucinazioni visive (percezione di un oggetto che si ritiene di vedere, ma che non viene osservato da altre persone presenti nello stesso ambiente). Altro fenomeno è la cosiddetta Sindrome di Anton, caratterizzata dalla negazione della cecità: il soggetto colpito non ne ammette l’esistenza, descrivendo scene che ricostruisce partendo da suoni, profumi e sensazioni tattili percepiti precedentemente.

Scheda informativa a cura dell’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità-IAPB Italia onlus 
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Pagina pubblicata il 19 novembre 2009. Ultimo aggiornamento: 15 febbraio 2019. 

Ultima revisione scientifica: 19 novembre 2009.

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