Tracoma

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Tracoma

tracoma Si tratta di una grave malattia infettiva degli occhi, una tra le più antiche conosciute dal genere umano, provocata dal batterio Chlamydia Tracomatis. Nella diffusione della patologia occorre tenere in considerazione vari fattori:

  • il tracoma si trasmette facilmente attraverso il contatto diretto con persone infette, in particolare con le loro secrezioni oculari;
  • la presenza di ambienti con scarse condizioni igieniche, la mancanza di acqua pulita per il lavaggio del viso e delle mani e la condivisione di oggetti contaminati (come asciugamani e fazzoletti), contribuiscono alla diffusione dell’infezione;
  • il tracoma è più frequente in climi aridi e regioni sabbiose, dove le condizioni ambientali favoriscono la sopravvivenza del batterio;
  • la patologia è endemica in molte aree povere del mondo, in cui si ha un accesso limitato ai servizi igienico-sanitari e alle cure mediche;
  • la Musca sorbens, comunemente nota come mosca bazar, svolge un ruolo significativo nella trasmissione meccanica del Chlamydia trachomatis. Questa mosca è attratta dalle secrezioni oculari umane, nutrendosi di esse facilita la diffusione del batterio tra gli individui. Molti studi hanno dimostrato che la Musca sorbens è il principale vettore meccanico del tracoma in alcune regioni, evidenziando l’importanza del controllo di questa specie nella prevenzione della malattia.

Il tracoma quasi sempre colpisce entrambi gli occhi. Il periodo di incubazione della malattia è tra i 5 e i 12 giorni, dopodiché compaiono i primi sintomi: occhi rossi, visione offuscata, palpebre gonfie, fastidio alla luce (fotofobia), lacrimazione, scolo nasale frequente. Negli stadi più avanzati della malattia i pazienti presentano: infezioni o infiammazioni ripetute, palpebre rivolte verso l’interno del bulbo (entropion), ciglia anch’esse rivolte all’interno (trichiasi), forte dolore oculare, visus ridotto e cecità, con formazione di cicatrici più o meno estese sulla cornea (nei casi più gravi si evidenzia un’opacizzazione completa della stessa e si forma un vero e proprio panno corneale).

Epidemiologia

Il tracoma è responsabile della cecità o della disabilità visiva di circa 1,9 milioni di persone e causa circa l’1,4% di tutta la cecità nel mondo [1]. Sulla base dei dati di aprile 2024, risulta che 103 milioni di persone vivono in aree in cui il tracoma è endemico e sono a rischio cecità; tali aree sono quella più povere e rurali dell’Africa, dell’America centrale e meridionale, dell’Asia, dell’Australia e del Medio Oriente. Nel complesso, l’Africa rimane il continente più colpito e quello in cui si concentrano gli sforzi di controllo più intensi. Ad ottobre 2024, 21 paesi (Benin, Cambogia, Cina, Gambia, Repubblica islamica dell’Iran, Repubblica democratica popolare del Laos, Ghana, India, Iraq, Malawi, Mali, Messico, Marocco, Myanmar, Nepal, Oman, Pakistan, Arabia Saudita, Togo, Vanuatu e Vietnam) sono stati convalidati dall’OMS come paesi che hanno eliminato il tracoma come problema di salute pubblica. Nel 2023, 130.746 persone hanno ricevuto un trattamento chirurgico per lo stadio avanzato della malattia e 32,9 milioni di persone sono state curate con antibiotici. La copertura antibiotica globale nel 2023 è stata del 29%.

I programmi internazionali di prevenzione e di lotta alla malattia, portati avanti in particolare dall’OMS e dalla IAPB (Sezione italiana), negli anni stanno dando risultati positivi.

In aree dove è diffusa, l’infezione da tracoma colpisce quasi tutti i bambini nei primi due anni di vita. I piccoli malati sono la principale riserva d’infezione nella comunità, soprattutto per le donne che vi stanno a più stretto contatto, giustificando l’incidenza due o tre volte più alta della forma più grave di tracoma nel sesso femminile rispetto a quello maschile. I bambini ospitano il batterio nei tratti superiori dell’apparato respiratorio e gastrointestinale, cosicché la trasmissione può avvenire anche attraverso la propagazione di goccioline respiratorie oppure contaminazione per mezzo delle feci. Con la crescita dei bambini diminuisce la prevalenza e la gravità della malattia attiva. Verso i 15-20 anni inizia la fase cronica cicatriziale della patologia.

Patogenesi e caratteristiche cliniche

Il tracoma è molto probabilmente dovuto a una risposta di carattere immunologico in conseguenza di ripetute e continue esposizioni al batterio Chlamydia Tracomatis. Un tracoma infettivo acuto è caratterizzato da una congiuntivite non purulenta in entrambi gli occhi e generalmente si evidenzia gonfiore a livello delle ghiandole linfatiche del collo e davanti all’orecchio.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha identificato cinque stadi nello sviluppo del tracoma:

  • infiammazione follicolare: stadio iniziale che presenta cinque o più follicoli visibili sulla superficie interna della palpebra superiore (congiuntiva);
  • infiammazione intensa: l’occhio è gravemente irritato con un ispessimento o gonfiore della palpebra superiore;
  • cicatrici palpebrali: le infezioni ripetute creano cicatrici sulla palpebra interna che può assumere una forma distorta o diventare rivolta verso l’interno;
  • ciglia rivolte verso l’interno (trichiasi): la palpebra continua a deformarsi causando l’inversione delle ciglia che sfregano e graffiano la superficie esterna dell’occhio (cornea);
  • opacità della cornea: infiammazione della cornea che porta ad una perdita della sua normale trasparenza e riduzione della vista del paziente

Diagnosi 

Durante la visita medica l’oculista, in prima istanza, prende in esame l’anamnesi del paziente ponendo specifiche domande per verificare se di recente sia stato in aree affette dal tracoma. Poi, procede con l’ esame obiettivo alla lampada a fessura per individuare l’eventuale presenza di cicatrici all’interno della palpebra, le condizioni della cornea e la presenza di possibili follicoli sulla congiuntiva. Per effettuare una diagnosi precisa lo specialista potrà prelevare un campione dall’occhio del paziente per inviarlo al laboratorio. Per individuare la presenza del batterio, si potranno eseguire i seguenti test: analisi PCR per il DNA del batterio, esame culturale, test di immunofluorescenza diretta.


tracoma diagnosi

 

Terapia

Nelle forme acute sporadiche il trattamento con antibiotici per via sistemica è sufficiente. Il trattamento del tracoma endemico rappresenta, invece, una sfida particolare. VISION 2020 – un progetto mondiale per eliminare la cecità evitabile portato avanti dalla IAPB e inizialmente dall’OMS – comprende un programma specifico per l’eliminazione globale del tracoma attuando la cosiddetta strategia “SAFE“. L’acronimo S.A.F.E. rappresenta le quattro componenti chiave di questa strategia:

  • Surgery(chirurgia): interventi chirurgici per correggere la trichiasi nel tentativo di  limitare il più possibile danni gravi alla cornea;
  • Antibiotics(antibiotici): distribuzione di massa di antibiotici per curare l’infezione da Chlamydia trachomatis, l’agente eziologico del tracoma. L’azitromicina è l’antibiotico di scelta nel protocollo SAFE per il controllo della malattia. La sua somministrazione in dose singola orale di 20 mg/kg (fino a un massimo di 1 g) ha dimostrato un’efficacia compresa tra il 78% e il 95% nel trattamento dell’infezione;
  • Facial cleanliness(igiene del viso): educazione alle corrette norme igieniche per prevenire la diffusione del batterio, come il lavaggio frequente del viso e delle mani con acqua pulita;
  • Environmental Improvement(miglioramento ambientale): costruzione di pozzi e bagni per migliorare le condizioni igienico-sanitarie e ridurre la diffusione del batterio.

È stato fissato il 2030 come nuova data per riuscire ad ottenere l’eliminazione globale del tracoma (insieme ad altre malattie).

 

[1] Fonte: https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/trachoma


Scheda informativa a cura dell’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità-IAPB Italia onlus

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Pagina pubblicata il 27 aprile 2007. Ultimo aggiornamento: 25 marzo 2025

Ultima revisione scientifica: 25 marzo 2025

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Campo visivo e perimetria

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Campo visivo

Cos’è?

Il campo visivo è quella porzione di spazio che l’occhio è in grado di percepire, quando viene osservato un punto fisso. Occorre fare una distinzione tra campo visivo monoculare e campo visivo binoculare: il primo rappresenta ciò che è visibile con un solo occhio, mentre il secondo si riferisce ad entrambi gli occhi. Di norma, il campo visivo viene suddiviso in quattro quadranti, ottenuti tramite l’intersezione di due assi perpendicolari in un punto, detto punto di fissazione e corrispondente alla fovea retinica. La fovea è la regione centrale della retina in cui si ha la massima acutezza visiva.

Qual è lo strumento impiegato per misurarlo?

Lo studio del campo visivo può essere effettuato mediante perimetria manuale o automatica; quest’ultima attualmente è sicuramente la più diffusa e si avvale di macchinari automatizzati che rendono più semplice l’analisi dei risultati grazie alla presenza di dispositivi hardware e software. Nella perimetria automatizzata, il campo visivo viene valutato qualitativamente e quantitativamente. Il perimetro automatico consente di testare un numero maggiore di punti rispetto a quello manuale. In particolare, grazie a degli algoritmi numerici è possibile determinare la distribuzione del difetto e la sensibilità della retina, dati che vengono poi comparati con i risultati della popolazione “normale” (cioè senza deficit del campo visivo). Attualmente, alla ‘’perimetria’’ viene associato il termine ‘’campimetria’’, in quanto si utilizzano moderne apparecchiature computerizzate (i campimetri) che elaborano vere e proprie mappe del campo visivo.

Come funziona?

Per il funzionamento del campo esistono due metodi: il “cinetico” e lo “statico”. Tali metodi si differenziano a seconda di come vengono proiettate le luci su uno schermo. Il metodo cinetico utilizza luci che si muovono (stimoli luminosi) dall’esterno all’interno variando al contempo la loro intensità luminosa. Col metodo statico si utilizzano, invece, luci fisse; ma anche in questo caso varia la loro luminosità. Per l’esecuzione del campo visivo, il paziente è seduto di fronte ad una piccola cupola concava con un target al centro e gli viene chiesto di focalizzarsi su di esso. L’occhio non in esame viene coperto. Il computer dà l’input di stimolo luminoso alla cupola e il paziente preme un pulsante ogni volta che ne riconosce uno. Sarà il computer stesso a fornire una mappatura automatica e a calcolare il campo visivo del paziente. Per valutare l’attendibilità dei risultati del campo visivo, l’oculista deve controllare appositi parametri (definiti appunto come indici di affidabilità):

  • FP (falsi positivi), esprime il numero di volte in cui il paziente ha premuto il pulsante in risposta a stimoli luminosi mai presentati. L’avere un numero elevato di falsi positivi può indicare la presenza di un comportamento ansioso da parte del paziente;
  • FN (falsi negativi), esprime il numero di volte in cui il paziente non ha premuto il pulsante in risposta a stimoli luminosi sicuramente percepibili (presenti in un’area la cui sensibilità è già stata determinata). Un numero elevato di falsi negativi, può essere correlato ad affaticamento da parte del paziente;

perdite di fissazione, esprime il numero di risposte affermative alla presentazione di stimoli presenti nella macchia cieca, il che indica che in quel momento il paziente non fissava la mira centrale. Un numero alto di perdite di fissazione, può indicare una scarsa comprensione da parte del paziente di come deve essere eseguito il test, affaticamento, agitazione, scarsa collaborazione.

Quali sono i sistemi usati?

L’Humphrey Field Analyzer (HFA) rappresenta il gold standard di riferimento per la perimetria e, in particolare, per la diagnosi del glaucoma.

Il metodo di Zingirian-Gandolfo permette un’analisi completa del campo visivo binoculare, con calcolo della minorazione della visione periferica (fino all’ipovisione o alla cecità). Consente di effettuare una valutazione ottimale a livello funzionale, dato importante per quantificare il danno visivo periferico e, di conseguenza, le difficoltà avvertite dal paziente nello svolgimento delle normali attività quotidiane. Il campo visivo percentuale di Zingirian-Gandolfo ha tantissimi vantaggi:

  • è di breve durata: 5-7 minuti, massimo 10;
  • è di facile esecuzione;
  • va bene anche per soggetti che hanno problemi di collaborazione, come gli anziani, i bambini ed i pazienti neurologici.

Il test si fa con entrambi gli occhi aperti, facendo fissare il paziente con l’occhio migliore. Ha una estensione orizzontale complessiva di circa 120°.Con tale metodo vengono esplorati 100 punti, dei quali 60 si trovano nella zona bassa del campo visivo (emicampo inferiore) e i rimanenti 40 in quella superiore. Inoltre 64 punti sono collocati nel campo visivo paracentrale (5°-30°) e solo 36 in quello periferico (30°-60°).

A cosa serve e cosa valuta?

Il campo visivo permette di quantificare e rilevare le perdite assolute e relative di sensibilità retinica, evidenziando gli eventuali difetti periferici o centrali. Quindi è estremamente utile per valutare non solo l’esordio, ma anche la progressione di una malattia tanto invalidante quale il glaucoma.

Viene, inoltre, utilizzato per studiare le alterazioni campimetriche che si riscontrano nelle patologie neurologiche (neuriti ottiche, edema della papilla) e nelle affezioni cerebro-vascolari (ischemia del nervo ottico). L’architettura delle zone cieche del campo visivo (scotomatose) segue la disposizione delle fibre nervose, quindi, la valutazione di queste zone ci consente di risalire alla patologia in atto.

Scheda informativa a cura dell’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità-IAPB Italia onlus 
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Pagina pubblicata il 29 gennaio 2009. Ultimo aggiornamento: 11 febbraio 2019. 

Ultima revisione scientifica: 13 marzo 2025

Cecità notturna

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Cecità notturna (Emeralopia)

Cos’è?

La cecità notturna, definita tecnicamente “emeralopia”, è una condizione oculare caratterizzata da una ridotta capacità visiva in condizioni di scarsa illuminazione. Il soggetto che ne è affetto vede meno di notte o in ambienti poco illuminati, non manifesta invece particolari problemi di visione durante le ore diurne.

Classificazione

La cecità notturna può essere di due tipologie a seconda della sua origine:

  • emeralopia congenita o cecità notturna stazionaria congenitaquando la patologia è ereditaria ed è provocata da un deficit funzionale dei bastoncelli, che sono i fotorecettori della retina preposti alla visione notturna;
  • emeralopia acquisita quando la difficoltà nella visione notturna si manifesta durante il corso della vita, per cause di natura oculare o sistemica.

Quali sono le cause?

La causa più comune in assoluto di cecità notturna è senza dubbio la carenza di vitamina A dovuta a insufficienza alimentare oppure a difficoltà di assorbimento della stessa a livello intestinale; la vitamina A, conosciuta anche con il nome di retinolo, è fondamentale per il funzionamento dei bastoncelli, e per questo una sua carenza può andare ad influenzare la visione notturna. Oltre alla carenza di vitamina A, ci sono svariate condizioni oculari e sistemiche che possono provocare cecità notturna, tra cui:

  • retinite pigmentosa;
  • cataratta;
  • glaucoma;
  • retinoblastoma;
  • neurite ottica;
  • miopia;
  • degenerazione maculare senile;
  • retinopatia diabetica;
  • gravidanza;
  • epatopatie;

Nelle persone anziane si può talvolta instaurare una diminuzione parafisiologica di rodopsina, il pigmento contenuto nei bastoncelli, con conseguente cecità notturna (accompagnata da altri disturbi visivi causati in genere da una riduzione del flusso ematico oculare).

Le patologie genetiche causa di cecità notturna, sono determinate da svariate mutazioni e possono essere trasmesse seguendo differenti modalità (autosomica dominante, autosomica recessiva, X-linked). A maggio 2019 è stato pubblicato un articolo scientifico in cui si spiega che è stata identificata la mutazione di un gene chiamato GRM6 associato (anche) a questa patologia [Aurore Tourville, Christelle Michiels, Christel Condroyer, Audrey Meunier, Monique Cordonnier, José-Alain Sahel, “[Identification of a novel GRM6 mutation in a previously described consanguineous family with complete congenital stationary night blindness“, Ophthalmology Genetics, Pages 182-184 | Received 16 Jan 2019, Accepted 23 Mar 2019, Published online: 07 May 2019.

Esempi di patologie genetiche in grado di provocare emeralopia:

– retinite pigmentosa, distrofia retinica ereditaria causata dalla perdita dei fotorecettori e caratterizzata da depositi retinici di pigmento visibili all’esame del fondo dell’occhio. Tali condizioni determinano una perdita progressiva della vista;

– sindrome di Usher, caratterizzata dalla perdita parziale o totale dell’udito e della vista, a causa di anomalie rispettivamente dell’orecchio interno e della retina;

– abetalipoproteinemia (ABL) o sindrome di Bassen-Kornzweig, rara malattia ereditaria dovuta a carenze dell’apolipoproteina B, che genera danni a livello metabolico con ripercussioni a carico dei muscoli e di vari organi, tra cui gli occhi.

Cos’è la miopia notturna?

Non ha niente a che fare con la cecità notturna in senso stretto. La cosiddetta miopia notturna si verifica quando c’è maggiore difficoltà nella visione in situazioni di bassa illuminazione, anche se la visione diurna è normale. Il punto di messa a fuoco dell’occhio varia con il livello di luminosità: la miopia notturna è causata dalla dilatazione delle pupille, con aumento dell’aberrazione sferica e diminuzione della profondità di fuoco. I giovani hanno più probabilità di esserne colpiti.

Sintomi della cecità notturna 

I sintomi tipici che si manifestano nei soggetti affetti da cecità notturna sono:

  • difficoltà di vedere al buio o in condizioni di scarsa illuminazione;
  • difficoltà di messa a fuoco passando da un ambiente molto illuminato ad un ambiente scarsamente illuminato;
  • visione scarsa durante la guida notturna, per presenza dei fari di altre autovetture e lampioni stradali;
  • mal di testa dovuto allo sforzo eccessivo eseguito nel tentativo di mettere a fuoco gli oggetti;
  • secchezza oculare.

Diagnosi 

La diagnosi di cecità notturna parte sicuramente da una corretta anamnesi del paziente, durante la quale il medico pone domande e raccoglie dati sulla sua condizione. Successivamente, il paziente si dovrà sottoporre ad una visita oculistica completa ed eventualmente ad esami di approfondimento (in particolare elettroretinogramma (ERG) per valutare la funzionalità retinica ed esami del sangue per evidenziare un’eventuale carenza di vitamina A).

La cecità notturna è curabile? 

Per le forme congenite, purtroppo ad oggi non esistono terapie, ma ovviamente per il futuro si punta soprattutto alla terapia genica (si “riparano” i geni difettosi sostituendo alcune sequenze del DNA, generalmente sfruttando un virus vettore). Per le forme acquisite, il trattamento deve essere impostato in funzione della causa che ha provocato la malattia. Pertanto, se l’emeralopia è provocata da una carenza di vitamina A, è necessario intervenire con una terapia volta a colmare questo deficit nel paziente, così come vanno curate altre eventuali patologie sistemiche responsabili della cecità notturna.

Si può prevenire?

In linea di massima è sempre consigliabile seguire uno stile di vita corretto e delle sane abitudini, in modo da tutelare il più possibile la propria salute oculare e rallentare la riduzione della visione notturna. Può essere indicato: eseguire analisi del sangue periodiche per monitorare costantemente il livello di zuccheri nel sangue, assumere integratori di vitamina A (quando necessario), seguire una dieta sana ed equilibrata privilegiando cibi ricchi di vitamine e antiossidanti (ad es. verdure, frutta, latte, uova), utilizzare occhiali da sole o cappello con visiera per proteggere gli occhi e rendere meno traumatico il passaggio da ambienti molto illuminati ad ambienti poco illuminati.

 

Scheda informativa a cura dell’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità-IAPB Italia onlus
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Pagina pubblicata il 7 luglio 2014. Ultimo aggiornamento: 4 febbraio 2025

Ultima revisione scientifica: 4 febbraio 2025

Glaucoma

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Cos’è?

glaucoma

Il glaucoma è una patologia oculare cronica, progressiva ed irreversibile, caratterizzata da un danno dello strato delle cellule nervose retiniche e della testa del nervo ottico con conseguente danno del campo visivo, correlata a una pressione dell’occhio troppo elevata. Nel glaucoma, considerata ormai una patologia neurodegenerativa a tutti gli effetti, si verifica la morte di una specifica popolazione di cellule della retina, le cellule ganglionari. La funzione di queste ultime, in un occhio sano, è quella di ricevere ed elaborare il segnale che arriva dai fotorecettori (cellule della retina deputate alla percezione delle immagini) ed inviarlo al cervello mediante i propri prolungamenti, detti assoni, il cui insieme costituisce il nervo ottico. La disabilità visiva provocata dal glaucoma (compresa l’ipovisione) si può prevenire purché la malattia sia diagnosticata e curata tempestivamente.

Epidemiologia 

Il glaucoma è tra le principali cause di cecità nel mondo. Si stima che nei soggetti tra i 40 e gli 80 anni la prevalenza del glaucoma ad angolo aperto sia del 3,5%, mentre quella del glaucoma da chiusura d’angolo dello 0,5%. Secondo l’OMS ne sono affette circa 76 milioni di persone nel mondo [1]. Si tratta della seconda causa di cecità a livello planetario dopo la cataratta, ma è la prima a carattere irreversibile [2]; in Italia si stima che colpisca circa un milione di persone, ma la metà di esse non ne sarebbero a conoscenza perché non effettuano visite oculistiche periodiche complete ed esami strumentali di approfondimento (controllo del fondo oculare, tonometria, ovvero la misurazione della pressione ocularecampo visivo). L’etnia influenza la prevalenza della patologia, considerando che il glaucoma ad angolo aperto è maggiormente diffuso  nei soggetti di etnia nera, mentre il glaucoma da chiusura d’angolo è maggiormente prevalente nelle popolazioni dell’Asia orientale.

Fattori di rischio

  • Pressione intraoculare: rappresenta il fattore di rischio più importante per lo sviluppo e la progressione del glaucoma, nonché l’unico bersaglio per le terapie attualmente a disposizione. La misurazione della pressione intraoculare rappresenta un cardine della valutazione iniziale e del follow-up dei pazienti con glaucoma o a rischio di svilupparlo (vedi “diagnosi”). Avere un alto valore di pressione intraoculare non significa avere il glaucoma; sebbene sia opinione comune che il glaucoma sia associato ad un’elevata pressione intraoculare, molti pazienti con pressione considerata elevata (> 21 mmHg) non sviluppano necessariamente la malattia, mentre soggetti con pressione considerata “normale” possono sviluppare il cosiddetto “glaucoma a bassa pressione”.

 

  • Età: rappresenta un fattore di rischio sia per lo sviluppo che per la progressione della malattia. Il glaucoma è raro prima dei 40 anni e colpisce generalmente individui di età più avanzata. Secondo alcune stime il glaucoma colpisce il 3,54% delle persone di età compresa tra i 40 e gli 80 anni [3]. La prevalenza della malattia cresce quindi significativamente all’aumentare dell’età della popolazione considerata.

 

  • Etnia: i soggetti di etnia afro-americana mostrano un’incidenza maggiore di glaucoma primario ad angolo aperto, mentre le popolazioni asiatiche mostrano una maggiore incidenza di glaucoma da chiusura d’angolo.

 

  • Familiarità: i parenti di primo grado di soggetti affetti da glaucoma sono più a rischio di svilupparlo, rispetto alla popolazione generale.

 

  • Miopia moderata/elevata.
  • Diabete
  • Ipertensione e ipotensione sistemica.
  • Spessore corneale ridotto (non rappresenta un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo o la progressione del glaucoma).

Rappresentano inoltre fattori di rischio per lo sviluppo di glaucoma primario da chiusura d’angolo: l’età avanzata, la familiarità, il sesso femminile e l’ipermetropia.

COME SI PRODUCE L’AUMENTO DELLA PRESSIONE OCULARE?

In condizioni normali all’interno dell’occhio è presente un liquido (umore acqueo) che viene continuamente prodotto e riassorbito. Pertanto, l’occhio si può paragonare a un piccolo serbatoio con un rubinetto e una via di deflusso sempre aperti. Se quest’ultima è però ostruita si avrà un aumento di pressione all’interno del serbatoio ovvero una maggiore pressione intraoculare. Se la pressione è troppo elevata, a lungo andare il bulbo oculare si danneggia a livello della testa del nervo ottico (ossia la papilla ottica che si trova nella zona centrale della retina). Dato che si tratta di danni irreversibili, è fondamentale evitarli mediante un’opportuna terapia.

COME SI PRODUCE IL DANNO ALLA VISTA?

Noi percepiamo un oggetto che fissiamo insieme a tutto ciò che lo circonda: l’area complessivamente percepita costituisce il campo visivo. L’immagine viene trasmessa dalla retina al cervello tramite il nervo ottico, che si può paragonare a un cavo elettrico contenente milioni di fili. Ciascuno di essi trasporta le immagini relative a una parte del campo visivo: le traduzioni di questi segnali bioelettrici vanno a costituire l’immagine nella sua interezza. L’aumento della pressione oculare può danneggiare irreparabilmente i neuroni che trasportano il segnale bioelettrico; dunque è come se si logorassero. In particolare, la morte delle cellule ganglionari retiniche comporta la mancata comunicazione tra i fotorecettori ed il cervello, determinando una perdita di campo visivo più o meno estesa, a seconda dell’entità del danno. Esiste infatti una corrispondenza topografica per cui la perdita di cellule ganglionari in una specifica area della retina corrisponde alla perdita di una parte di campo visivo.

Inizialmente il danno colpisce i “fili” che trasportano le immagini relative alla periferia del campo visivo: chi è malato continua a vedere l’oggetto che fissa, ma non si accorge che l’area visiva periferica si sta riducendo progressivamente (con perdita della visione laterale). Da ultimo vengono lesi anche i “fili” che provengono da quella zona della retina con cui si fissano gli oggetti (macula) e, se il glaucoma non viene trattato con successo, si riduce in maniera drastica l’acuità visiva. Come accade in molte patologie neurodegenerative, il danno da glaucoma non è reversibile e può esitare in cecità parziale o totale.

Sintomi della pressione oculare alta

Nelle varie forme di glaucoma, ad eccezione di quello acuto, la malattia insorge e si sviluppa senza che il paziente avverta sintomi particolari. Quando il soggetto si rende conto di non vedere bene nella parte periferica del proprio campo visivo, purtroppo i danni a carico delle fibre del nervo ottico sono già presenti. La visione centrale di solito è ben conservata, il visus può essere anche pari a 10/10, ma il paziente ha evidenti difficoltà nello svolgimento di azioni che sfruttano la parte periferica del campo visivo (come scendere le scale, guidare, attraversare la strada, ecc.).

I sintomi che possono comunque presentarsi in caso di pressione alta all’occhio sono:

  • dolore agli occhi (localizzato in particolare sul sopracciglio);
  • occhi arrossati;
  • mal di testa;
  • vista offuscata;
  • aloni intorno alle luci;
  • nausea;
  • vomito;
  • midriasi;
  • fotofobia;
  • lacrimazione.

Quali tipi di glaucoma esistono?

Con il termine glaucoma si indica un gruppo di patologie a diversa eziologia e con decorso clinico eterogeneo. A scopo meramente classificativo, si possono distinguere i glaucomi in due grandi famiglie: i glaucomi ad angolo aperto e i glaucomi da chiusura d’angolo, i quali differiscono significativamente per meccanismo patogenetico e per decorso clinico

  •  
    • Glaucoma primario ad angolo aperto (POAG)

    Rappresenta la forma più comune di glaucoma nei paesi occidentali, è caratterizzata da un angolo irido-corneale di ampiezza normale. I principali fattori di rischio sono rappresentati da una pressione intraoculare (IOP) elevata e dall’età avanzata. La patogenesi del danno da POAG è, ad oggi, ancora incerta: si ritiene che la pressione intraoculare elevata, in concomitanza ad alterazioni vascolari, abbia un ruolo nell’induzione della morte delle cellule ganglionari retiniche e dei loro assoni, probabilmente ostacolando il normale trasporto assonale che avviene in queste cellule. L’aumento progressivo della pressione intraoculare sembra essere invece determinato da un aumento della resistenza a livello del trabecolato, ossia la parte dell’occhio deputata al filtraggio e allo “scarico” dell’umor acqueo: l’alterazione del trabecolato (dovuta all’età, allo stress ossidativo o ad altri fattori sconosciuti) comporta quindi una maggior difficoltà  a drenare il liquido presente nell’occhio con conseguente incremento della pressione oculare . Una distinzione piuttosto arbitraria è stata proposta per dividere i POAG in base al livello di pressione intraoculare, esistono infatti i cosiddetti POAG a pressione elevata e i POAG a pressione normale: nel caso di questi ultimi i pazienti presentano livelli di pressione intraoculare considerati “normali” (di solito < 20 mmHg), oltre ad avere delle caratteristiche cliniche peculiari. Si ritiene che nel caso dei POAG a pressione normale, fattori di rischio diversi dalla pressione intraoculare elevata abbiano un particolare peso specifico nel determinare l’inizio e il peggioramento della malattia; tuttavia i principi di trattamento rimangono gli stessi (vedi sezione “terapia”).

    • POAG sospetto ed ipertensione oculare

    Può sembrare paradossale, ma non sempre le visite e gli esami strumentali riescono a fornire una chiara indicazione sul fatto che il paziente possa essere sano o affetto da glaucoma. Una percentuale non trascurabile di pazienti infatti, soprattutto in fase iniziale di malattia, vengono considerati dei pazienti con sospetto glaucoma. Questi soggetti presentano uno o più segni clinici suggestivi per glaucoma, ad esempio un aspetto dei nervi ottici o un esame del campo visivo più o meno alterati, una pressione oculare borderline, misurazioni OCT che deviano dai valori normali; ma nessuno di questi esami è alterato in modo significativo o comunque in maniera concorde rispetto agli altri. Soltanto il tempo (ricordiamo come il glaucoma sia una malattia che peggiora nel tempo) e la ripetizione periodica dei suddetti esami di solito riescono a chiarire il quadro clinico del paziente. Sarà l’oculista a stabilire se, nel frattempo, il paziente dovrà eseguire una terapia o meno, in base ai dati a disposizione e ai fattori di rischio di ciascun soggetto. Soggetti con pressione oculare superiore ai valori considerati normali (> 21 mmHg) ma con nervo ottico sano, campo visivo normale, anatomia non suggestiva di possibile chiusura angolare e nessun altro fattore di rischio per glaucoma, sono definiti ipertesi oculari. Avere una pressione oculare elevata NON significa avere il glaucoma. Anche in questo caso, sarà l’oculista a valutare la necessità di una terapia e a programmare gli esami di follow-up, in base al rischio di conversione da ipertensione oculare a glaucoma.

    • Glaucomi secondari ad angolo aperto

    Costituiscono un gruppo di patologie accomunate dal riscontro di un angolo irido-corneale aperto, dallo sviluppo di un danno al nervo ottico di tipo glaucomatoso e, cosa che le differenzia dai glaucomi primari, da una causa chiaramente responsabile dello sviluppo della malattia. Di seguito, verranno brevemente trattati soltanto i glaucomi secondari più frequenti.

    Glaucoma Pseudoesfoliativo: è il più frequente, ed è associato alla Sindrome Pseudoesfoliativa (detta anche PEX). È una situazione clinica caratterizzata dalla produzione di materiale furfuraceo da parte della superficie del cristallino che esfoliandosi intasa le vie di deflusso dell’umore acqueo (trabecolato) depositandosi a livello dell’angolo irido-corneale. Pertanto, nel tempo si determina un aumento della pressione intraoculare (IOP) e, di conseguenza, un glaucoma. Inoltre il materiale furfuraceo può depositarsi a livello dell’apparato di sospensione del cristallino al corpo ciliare (fibre zonulari), creando un indebolimento di tali fibre e una dislocazione del cristallino (sublussazione).

     

    Come si presenta la PEX?
    Può essere evidenziata dall’oculista durante l’esame obiettivo con la lampada a fessura (meglio ancora se con la pupilla dilatata). Si potrà ben vedere il deposito del materiale furfuraceo sulla faccia anteriore del cristallino, distribuito in maniera circolare in campo pupillare e in periferia, assente laddove l’iride compie un movimento di sfregamento.

     

    Quali sono gli aspetti caratteristici del glaucoma pseudoesfoliativo?

    Di solito colpisce entrambi gli occhi (ossia è bilaterale) e spesso le alterazioni riscontrate sono asimmetriche nei due occhi; si evidenziano valori della pressione oculare piuttosto elevati, che possono subire importanti fluttuazioni nell’ambito delle 24 ore; ha un’evoluzione abbastanza rapida; c’è maggiore predisposizione allo sviluppo della cataratta; è presente una maggiore percentuale di complicanze durante e dopo gli interventi di cataratta; la pupilla si dilata con più difficoltà.

    Come si cura il glaucoma pseudoesfoliativo?

    Il  trattamento di prima scelta è quello di tipo farmacologico, con l’instillazione di colliri che servono ad abbassare la pressione oculare (ipotonizzanti). La terapia deve essere tempestiva ed efficace per cui, se non si ottengono buoni risultati, all’inizio è bene ricorrere a più somministrazioni quotidiane (eventualmente con farmaci diversi). Il trattamento laser (trabeculoplastica) riceve spesso una buona risposta anche se non duratura, nel qual caso occorre ricorrere all’approccio chirurgico tramite l’intervento di trabeculectomia. È bene eseguire la facoemulsificazione quando è presente la cataratta (anche se in fase iniziale) e spesso anche quando il cristallino è ancora trasparente. Tale intervento, infatti, può indurre un significativo abbassamento della pressione intraoculare. 
    Inoltre, se effettuato precocemente è meno rischioso, in quanto la pupilla ha ancora una buona capacità dilatativa, c’è un basso rischio di dislocazione del cristallino nel vitreo durante l’operazione e si semplifica, infine, l’eventuale intervento di trabeculectomia (più facile da eseguire se il cristallino è già stato asportato in precedenza). Vale la pena, infine, ricordare l’importanza di controlli regolari per chi avesse una sindrome pseudoesfoliativa, ma non presenta ancora glaucoma. La misurazione periodica del tono, con esecuzione del campo visivo e della pachimetria nei casi sospetti (pressione oculare lievemente oltre i limiti della norma), aiuta a fare una diagnosi precoce e, quindi, a iniziare la giusta terapia prima che compaiano gravi danni oculari.

    Glaucoma Pigmentario: associato alla sindrome da dispersione di pigmento. In questi pazienti, una particolare conformazione di alcune strutture intraoculari determina la liberazione di pigmento nell’umor acqueo, con conseguente alterazione della funzione trabecolare e incremento della pressione intraoculare. È più frequente nei maschi over 30. Alcune caratteristiche tipiche di questa condizione rendono generalmente agevole il riconoscimento di tale sindrome nei pazienti affetti da parte dell’oculista, che dovrà valutare la presenza o meno di glaucoma e la necessità o meno di una terapia. Le terapie e gli esami di follow-up sono gli stessi del POAG.

    Altri glaucomi secondari ad angolo aperto:

    • Glaucoma uveitico: associato ad uveiti infettive o non infettive;
    • Glaucoma neovascolare: temibile conseguenza di patologie vascolari oculari o della retinopatia diabetica avanzata;
    • Glaucoma indotto da alterazioni del cristallino (traumi o cataratte ipermature);
    • Glaucoma post-traumatico;
    • Glaucoma post-chirurgico;
    • Glaucoma da farmaci (in particolare dopo terapie cortisoniche prolungate).

     

     

    GLAUCOMI DA CHIUSURA ANGOLARE

    Eterogeneo gruppo di condizioni patologiche che condividono, come principale responsabile dell’incremento della pressione intraoculare, e successivamente del danno glaucomatoso, l’apposizione della periferia iridea al trabecolato, la cosiddetta chiusura angolare. In questa condizione, il deflusso dell’umor acqueo attraverso il trabecolato viene ostacolato meccanicamente e si possono verificare quadri clinici più o meno severi ed eclatanti, dal glaucoma acuto alla chiusura angolare intermittente. I meccanismi patogenetici con i quali si innesca la chiusura angolare sono molteplici, il più frequente è il cosiddetto blocco pupillare (circa 2/3 dei casi), ossia il blocco del passaggio dell’umor acqueo attraverso il forame pupillare; altri meccanismi di induzione della chiusura angolare sono riconducibili ad alterazioni dell’anatomia dell’iride (iris plateau), ad alterazioni a livello del cristallino, ad alterazioni nella porzione posteriore dell’occhio, a somministrazione di farmaci o interventi di chirurgia oculare. I glaucomi da chiusura d’angolo sono meno frequenti nel mondo occidentale (vedi fattori di rischio), ma abbastanza frequenti per costituire una minaccia non trascurabile soprattutto in pazienti con determinati fattori di rischio, come l’ipermetropia. Il rischio di glaucoma da chiusura d’angolo deve essere sempre valutato dall’oculista durante le visite oculistiche di follow-up, perché in presenza di condizioni predisponenti, l’esecuzione di determinate procedure laser o chirurgiche (rispettivamente l’iridotomia YAG laser l’intervento di cataratta a scopo idrodinamico) possono abbattere o addirittura eliminare l’eventualità futura di una chiusura angolare.

    Di seguito, verrà brevemente trattata la chiusura angolare acuta (o glaucoma acuto), in quanto rappresenta la conseguenza clinica più eclatante di una chiusura angolare.

    • Chiusura angolare acuta: evento clinico drammatico, caratterizzato da valori molto elevati di pressione intraoculare (> 50 mmHg), sintomatologia tipica (dolore oculare acuto e intenso, cefalea frontale, riduzione dell’acuità visiva, nausea e vomito) e chiari segni riscontrabili all’esame dell’occhio (pupilla in media midriasi, edema corneale, camera anteriore periferica di profondità molto ridotta, iniezione pericheratica). Rappresenta una vera e propria emergenza oculistica e, se non trattata prontamente, può comportare un danno irreversibile della funzione visiva dell’occhio colpito. La terapia consiste in una combinazione di farmaci topici o sistemici per ridurre la pressione oculare e nell’esecuzione di una iridotomia YAG laser o di pratiche chirurgiche più o meno invasive per eliminare il meccanismo di innesco della chiusura angolare.

    GLAUCOMA CONGENITO 

    In questa forma della patologia oculare il sistema di drenaggio è “cattivo” sin dalla nascita. Per questo motivo si verifica un aumento di pressione intraoculare. Il bambino presenta fastidio alla luce (fotofobia) e lacrimazione eccessiva. L’aumento pressorio può causare un aumento delle dimensioni dell’occhio (nei piccoli le pareti oculari sono meno resistenti) e la cornea può divenire opaca. Ogni sintomo sospetto deve indurre i genitori ad andare dall’oculista per effettuare una visita di controllo. Questo tipo di glaucoma è però raro: colpisce un neonato ogni diecimila.

Diagnosi

L’unico modo per effettuare una diagnosi precoce di glaucoma è sottoporsi a una visita oculistica completa. L’oculista prima di procedere con la visita vera e propria dovrà inoltre raccogliere i dati anamnestici del paziente, per venire a conoscenza subito dei suoi disturbi e indagare se ci sono casi di glaucoma in famiglia (l’ereditarietà è un fattore importante nell’ eziopatogenesi della malattia glaucomatosa). Di seguito vengono elencati i principali esami eseguiti nella diagnosi e nel follow-up dei pazienti con glaucoma o con sospetto glaucoma.

 

Visita oculistica

Consente di valutare le diverse strutture oculari coinvolte nella patogenesi e nella progressione della malattia. Mediante la visita oculistica è possibile valutare, tra le altre cose, l’ampiezza della camera anteriore (importante nella patogenesi del glaucoma da chiusura d’angolo), la presenza di cause di glaucoma secondario (sindrome pseudoesfoliativa, sindrome da dispersione di pigmento, neovascolarizzazione, ecc.), nonché l’aspetto della testa del nervo ottico e l’eventuale presenza di un danno da glaucoma più o meno avanzato. La visita oculistica deve comprendere la valutazione del fondo dell’occhio, preferibilmente in midriasi (mediante dilatazione della pupilla). In base alla gravità della malattia, alla rapidità di progressione della stessa, al tempo trascorso dalla diagnosi e a numerosi altri fattori, l’oculista deciderà quando eseguire la visita e/o gli esami di follow-up, generalmente in un tempo compreso tra i 3 e i 12 mesi. È importante ricordare come il glaucoma sia una malattia cronica, da cui non si può guarire; è necessario dunque effettuare delle visite e degli esami per tutta la vita, in modo tale da accorgersi per tempo di eventuali peggioramenti della malattia e prendere le giuste contromisure terapeutiche.

 

Misurazione della pressione oculare

Detta anche tonometria, rappresenta uno degli esami fondamentali che vengono eseguiti durante la visita oculistica, nonché un cardine della valutazione clinica del paziente glaucomatoso e dell’efficacia della terapia ipotonizzante. Attualmente, esistono diversi strumenti per misurare la  pressione intraoculare; tra questi, quello considerato lo standard di riferimento è il tonometro ad applanazione di Goldmann. La misurazione della pressione oculare tramite questo strumento non è dolorosa né invasiva e prevede che lo strumento sfiori la superficie dell’occhio del paziente dopo l’applicazione di un collirio anestetico e di un colorante (fluoresceina). Tra gli altri strumenti a disposizione per la misurazione della pressione intraoculare abbiamo il tonometro a soffio e quello a rimbalzo, non sono invasivi e possono essere utilizzati senza l’instillazione del collirio anestetico e del colorante. La misurazione della pressione oculare può essere eseguita, a discrezione dell’oculista, una singola volta nell’arco della giornata o più volte al giorno (curva tonometrica).

 

Esame del campo visivo

Esame strumentale che non può mancare nell’inquadramento diagnostico e nel monitoraggio dei pazienti con glaucoma o con sospetto glaucoma. Il campo visivo è la porzione di spazio che può essere percepita da un occhio ed il danno causato dal glaucoma consiste nella riduzione progressiva dell’estensione del campo visivo stesso. Gli strumenti a nostra disposizione (detti perimetri), riescono a rilevare danni al campo visivo molto precocemente, prima che il paziente stesso sviluppi dei sintomi. L’esame non è invasivo e consiste nel proiettare degli stimoli luminosi sullo sfondo chiaro del perimetro, la percezione di tali stimoli da parte del paziente dovrà essere confermata premendo un  pulsante. Eseguire un campo visivo in modo tale che sia attendibile richiede un certo grado di collaborazione e concentrazione da parte del paziente, possono quindi essere necessari diversi esami prima che il paziente acquisisca l’esperienza necessaria ad eseguirlo in maniera corretta. Così come la visita oculistica, anche il campo visivo deve essere ripetuto a intervalli regolari, a discrezione dell’oculista.

OCT

Acronimo di tomografia a coerenza ottica, l’OCT è un esame strumentale non invasivo, che consente di ottenere immagini tomografiche ad alta risoluzione delle strutture coinvolte nel danno glaucomatoso. L’OCT costituisce un importante ausilio per l’oculista nella valutazione della morfologia di tali strutture ed è complementare alla visita oculistica con esame del fondo dell’occhio. Gli strumenti attualmente a disposizione riescono a fornire delle immagini a risoluzione e dettaglio molto elevati. L’OCT ha ormai affiancato la visita oculistica e il campo visivo nella diagnosi e nel follow up dei pazienti con glaucoma conclamato o sospetto e la periodicità con cui ripetere l’esame è stabilita dall’oculista.

Pachimetria

È la misurazione dello spessore della cornea (la porzione più anteriore dell’occhio) con  strumenti che richiedono o meno il contatto con la superficie dell’occhio. Viene generalmente eseguita una sola volta e dovrebbe far parte degli esami di inquadramento di tutti i pazienti glaucomatosi o con sospetto glaucoma. Avere una cornea sottile rappresenta un fattore di rischio non indipendente per lo sviluppo o la progressione del glaucoma, ma la pachimetria è strettamente correlata anche alla misurazione della pressione oculare: valori pachimetrici che deviano significativamente dai valori medi riscontrati nella popolazione generale possono infatti indurre delle sovrastime o delle sottostime della pressione intraoculare; in particolare, cornee spesse forniranno pressioni più alte del valore reale, cornee sottili forniranno pressioni più basse del valore reale.

Gonioscopia

Rappresenta l’esame diretto dell’angolo irido-corneale, ossia la regione della porzione anteriore dell’occhio (detta camera anteriore) dove l’iride e la cornea si incontrano. Questa regione anatomica è di fondamentale importanza per la fisiologia oculare in quanto è qui che risiedono le strutture deputate al drenaggio dell’umor acqueo, ossia il liquido che circola all’interno dell’occhio e la cui pressione idrostatica determina la pressione intraoculare . Nei glaucomi da chiusura d’angolo, questa regione anatomica risulta essere ridotta in ampiezza, tale da ostacolare il deflusso dell’umor acqueo e il mantenimento della pressione intraoculare fisiologica. L’esame necessita dell’applicazione di una lente apposita sulla superficie dell’occhio, previa instillazione di collirio anestetico, e di osservazione dell’angolo irido-corneale alla lampada a fessura. La gonioscopia dovrebbe essere eseguita almeno una volta in tutti i pazienti con diagnosi di glaucoma o con glaucoma sospetto, in particolare nei pazienti a rischio di glaucoma da chiusura d’angolo.

Terapia 

Secondo le attuali linee guida, l’obiettivo della terapia del glaucoma non è semplicemente la riduzione della pressione oculare: il traguardo che ci si pone è quello di migliorare la qualità di vita del paziente glaucomatoso, o a rischio di glaucoma, a un costo sostenibile per la società. Per questo la decisione su quale terapia utilizzare e su quando iniziarla va personalizzata per ogni paziente. Questo perché non solo la malattia, ma anche la terapia stessa ha un impatto sulla qualità di vita del paziente, nonché sui costi per la società. Attualmente, il medico oculista non ha modo di guarire il danno glaucomatoso quando questo si è già reso manifesto. Può soltanto rallentare la progressione, e questo attualmente si può ottenere solo riducendo la pressione oculare fino a quel valore ideale, caratteristico per ogni paziente (IOP target), raggiunto il quale la riduzione delle cellule ganglionari retiniche diventa simile a quella che si ha fisiologicamente con l’avanzare dell’età. Le armi a disposizione per ridurre la progressione del danno da glaucoma sono la terapia medica, quella laser e quella chirurgica.

La terapia medica prevede l’instillazione quotidiana di farmaci in collirio. Le classi di farmaci utilizzate nella terapia del glaucoma sono gli analoghi delle prostaglandine, i beta bloccanti, gli inibitori dell’anidrasi carbonica, gli alfa-2 agonisti e i parasimpaticomimetici. È stata  identificata anche una categoria più recente, gli inibitori delle rho chinasi. In casi selezionati, e generalmente nel breve termine, possono essere utilizzati anche farmaci con modalità di somministrazione diversa da quella in collirio, come il mannitolo, diuretico osmotico somministrato per via endovenosa, o l’acetazolamide in compresse. Ogni classe di farmaci ha uno specifico profilo per quanto concerne gli effetti collaterali e l’efficacia ipotonizzante: si va da una riduzione della pressione oculare da un minimo del 20% a un massimo del 35-40% per singolo principio attivo e possono essere utilizzate, da sole o in combinazione, fino al raggiungimento della IOP target. Affinché la terapia medica sia efficace è fondamentale che il medico oculista responsabilizzi il paziente e gliene spieghi l’importanza, nonché gli effetti collaterali che potrebbe aspettarsi; è altrettanto importante che il paziente sia in grado di autosomministrarsi il collirio, o farselo somministrare da terzi, con precisione e costanza. Tuttavia, se la terapia medica non è ben tollerata o non si dimostra sufficiente ad impedire la progressione della malattia, si pone indicazione alla chirurgia.

La terapia laser prevede la trabeculoplastica laser selettiva (SLT) e la trabeculoplastica argon laser (ALT). Entrambe non necessitano di ospedalizzazione, possono essere eseguite in ambulatorio e permettono una riduzione della pressione oculare media fino al 25%. Possono essere utilizzate come unica terapia, o in associazione a terapia medica o chirurgica. Non sono indicate nelle forme di glaucoma ad angolo chiuso, infiammatorie o neovascolari. Anche l’attacco acuto di glaucoma si giova della terapia laser: se presente un blocco pupillare, questo può essere risolto da un’iridotomia YAG laser, che permette di ristabilire la normale idrodinamica tra la camera posteriore e anteriore dell’occhio. La tecnica chirurgica tradizionale del glaucoma, nonché quella tuttora riconosciuta come gold standard, è la trabeculectomia. L’intervento prevede di creare una fistola tra la camera anteriore dell’occhio e lo spazio sotto la congiuntiva per permettere una via alternativa di deflusso dell’umore acqueo tramite una bozza filtrante. Altra possibilità è l’impianto di una valvola o di un tubo drenante, che solitamente vengono riservati ai casi più complessi, dove la chirurgia tradizionale ha fallito o rischia di fallire per la cicatrizzazione della bozza filtrante.

Altre tecniche possibili sono la sclerectomia profonda, la viscocanalostomia e la canaloplastica. Queste, se da una parte sono meno invasive rispetto alla trabeculectomia, dall’altra sembrerebbero avere una minore efficacia ipotonizzante e sono pertanto meno praticate.

Un’altra possibilità sono le cosiddette MIGS, acronimo per minimally invasive glaucoma surgeries. Queste prevedono l’utilizzo di diversi dispositivi che possono incentivare il deflusso dell’umor acqueo tramite vie diverse, bypassando il trabecolato per permettere all’acqueo di raggiungere il canale di Schlemm, dilatando il canale stesso, oppure oltrepassandolo direttamente per creare uno spazio di deflusso sottocongiuntivale. Queste tecniche prevedono una minore manipolazione chirurgica, un più rapido recupero postoperatorio e un tasso di complicanze piuttosto ridotto. Per contro, sembrano avere un’efficacia ipotonizzante minore rispetto all’intervento classico di trabeculectomia. Vengono di solito riservati a pazienti sui quali non è necessaria una drastica riduzione della pressione oculare. È importante comunque ricordare che la scelta del trattamento va attentamente calibrata per ogni paziente in base al quadro clinico e spetta sempre al chirurgo.

Da ricordare, infine, che anche la chirurgia della cataratta può contribuire enormemente alla riduzione della pressione oculare nelle chiusure angolari indotte dal cristallino.

La pressione intraoculare (Faq)

Da cosa è determinata la pressione degli occhi?
La pressione intraoculare (IOP) è determinata dalla quantità di un liquido prodotto all’interno dell’occhio chiamato “umor acqueo”. Ovviamente più liquido c’è nel bulbo oculare più è alto il valore della pressione stessa.

Con quale unità si misura?
Il valore della pressione interna dell’occhio, sebbene sia differente dalla pressione arteriosa, si misura con la stessa unità, ossia in “millimetri di mercurio” (mmHg). Mentre l’oculistica tradizionale considerava i due valori del tutto distinti (indipendenti), recenti studi hanno messo in evidenza l’esistenza di una correlazione (per quanto essa possa essere debole): secondo alcuni ricercatori con una pressione arteriosa elevata ci sarebbero maggiori probabilità di soffrire di pressione intraoculare elevata [5]

Qual è il valore massimo tollerabile dall’organismo?
pressione occhio

La pressione intraoculare deve essere normalmente compresa tra i 10 e i 20 millimetri di mercurio (mmHg). Il glaucoma è generalmente associato a valori superiori a 20-21 mmHg, ma esiste anche una forma di glaucoma a bassa pressione in cui vengono prodotti danni al nervo ottico (pur con valori pressori compresi nei limiti normali) che sembra dipendere da uno scarso afflusso di sangue al nervo ottico, il quale a sua volta provoca la progressiva atrofizzazione delle fibre nervose. Inoltre bisogna tenere conto anche dello spessore della cornea e dell’eventuale presenza di una miopia elevata.

Come si misura la pressione intraoculare?
Esistono diversi metodi: col passare degli anni la tecnica si è evoluta fino a raggiungere misurazioni più precise. Attualmente lo strumento più diffuso negli ospedali è il “tonometro ad applanazione” di Goldmann (con cui si esercita una pressione sulla cornea e si misura la resistenza del bulbo), mentre per gli screening di massa la tecnologia più diffusa è il “tonometro a soffio” (con cui non c’è contatto diretto perché si sfrutta un getto d’aria direzionato sulla cornea). (Vedi tonometria).

Quali possono essere altri esami utili?
Può essere utile misurare lo spessore corneale (attraverso un apposito esame strumentale che si chiama pachimetria), in modo da capire quale sia il valore “reale” della propria pressione oculare. In particolare, si è visto, che nelle persone che presentano una pachimetria più bassa (ossia una cornea sottile) si deve aumentare di alcuni punti la pressione oculare rilevata, così da ottenere una misurazione tonometrica corretta (reale); viceversa, negli individui con pachimetria più alta (cornea spessa), si devono sottrarre alcuni punti.

Quando bisogna effettuare la pachimetria?
È sufficiente eseguire la pachimetria corneale una sola volta, dal momento che lo spessore corneale non si modifica in maniera significativa nel tempo, a differenza di altri esami quali il campo visivo e altre valutazioni di eventuali danni provocati dal glaucoma.

Come si tratta il glaucoma?
terapie glaucoma

Si cura di solito con colliri per abbassare la pressione oculare (detti “ipotonizzanti”). Per risultare efficace la terapia deve essere seguita regolarmente e con costanza.Talvolta, il trattamento può dar luogo ad effetti non desiderati: alcuni tipi di gocce possono causare bruciore, arrossamento dell’occhio e mal di testa, che di solito scompaiono dopo poche settimane. Talora si possono avere anche alterazioni di scarsa importanza del ritmo cardiaco. Chi accusa eventuali fastidi o disturbi dovrà sempre informare il medico oculista presso cui è in cura.

I glaucomatosi necessitano di controlli periodici. Questa malattia, infatti, può peggiorare senza che dia sintomi e, in tal caso, può essere necessario modificare il tipo di terapia. Una volta avvenuto il danno non è più reversibile: si ricorre a farmaci ed eventualmente alla chirurgia (trabeculectomia) per cercare di preservare almeno la funzionalità visiva residua.

Il trattamento del glaucoma è di solito efficace solo se viene seguita scrupolosamente la terapia prescritta dal medico oculista. Talvolta vengono prescritti integratori alimentari che potrebbero contribuire alla protezione del nervo ottico.
La terapia per il glaucoma non deve mai essere sospesa senza consultare prima l’oculista, ma anche il medico di famiglia deve essere sempre al corrente della terapia praticata. Se tale terapia non fosse efficace nel controllare la pressione intraoculare, potrebbe rendersi necessario il ricorso alla chirurgia o al laser. Le complicanze di tali interventi sono rare. Nella maggioranza dei casi si riesce, con questi metodi, ad impedire l’evoluzione della malattia che altrimenti – se la pressione oculare non si riduce – può portare a ipovisione e cecità.

Quand’è più probabile che una persona sia affetta da glaucoma?
Quando ha più di quarant’anni e ci sono altri casi in famiglia (per questo si parla di “familiarità” per il glaucoma). Più si è anziani e più aumenta il rischio di essere colpiti da questa patologia oculare detta anche “silente” perché non dà sintomi particolari nelle fasi iniziali. Soprattutto chi ha altri familiari con glaucoma dovrebbe sottoporsi indicativamente a un controllo oculistico una volta l’anno in assenza di altre patologie (con misurazione della pressione oculare). La maggiore incidenza di glaucoma sarebbe favorita anche dalla presenza di una miopia o di un’ipermetropia elevate, dal diabete e da eventuali terapie protratte a base di cortisonici.

[1I dati sono stati pubblicati nel 2010. Più recentemente, nel 2017, il Vision Loss Expert Group ha citato la cifra di 60 milioni (AAVV, “Global causes of blindness and distance vision impairment 1990–2020: a systematic review and meta-analysis”, Lancet Glob Health. 2017 Dec;5(12):e1221-e1234. doi: 10.1016/S2214-109X(17)30393-5. Epub 2017 Oct

[2Fonte: IAPB Internaz.

[3Fonte: Tham YC, Li X, Wong TY, Quigley HA, Aung T, Cheng CY, “Global prevalence of glaucoma and projections of glaucoma burden through 2040: a systematic review and meta-analysis“, Ophthalmology. 2014 Nov;121(11):2081-90. doi: 10.1016/j.ophtha.2014.05.013. Epub 2014 Jun 26. Review.

[4“Diffuse anomalie strutturali e funzionali nel cervello di un glaucomatoso possono essere, almeno parzialmente, indipendenti da una IOP più elevata (=pressione intraoculare, ndr) e dalla conseguente degenerazione retinica”, cit. tratta dall’articolo di Giorgio A, Zhang J, Costantino F, De Stefano N, Frezzotti P, “Diffuse brain damage in normal tension glaucoma“, Human Brain Mapping, 2017 Oct 24. doi: 10.1002/hbm.23862 (Epub ahead of print)

[5Horwitz A, Klemp M, Jeppesen J, Tsai JC, Torp-Pedersen C, Kolko M, “Antihypertensive Medication Postpones the Onset of Glaucoma: Evidence From a Nationwide Study“,
Hypertension. 2017 Feb;69(2):202-210. doi: 10.1161/HYPERTENSIONAHA.116.08068. Epub 2016 Dec 5


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Pagina pubblicata il 25 gennaio 2013. Ultimo aggiornamento: 31 gennaio 2025

Ultima revisione scientifica: 31 gennaio 2025

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Malattia di Stargardt (maculopatia di Stargardt)

I tuoi occhi

Malattie oculari

Malattia di Stargardt (maculopatia di Stargardt)

Cos’è?

Fondo oculare di malato di Stargardt

La malattia (o maculopatia) di Stargardt è una patologia ereditaria della retina che si manifesta generalmente entro le prime due decadi di vita, ma i sintomi possono presentarsi anche nell’età adulta. È la più frequente distrofia maculare ereditaria ad esordio giovanile con una prevalenza di circa 1:8000–10.000; uomini e donne sono colpiti in egual misura. . Il più delle volte viene trasmessa in forma autosomica recessiva (entrambi i genitori presentano il difetto genetico, pur potendo essere portatori sani) ma sono stati descritti anche casi di forme autosomiche dominanti (un solo genitore trasmette il difetto del DNA).

Da cosa è causata?

La malattia è provocata da una mutazione di un gene (ABCA4), localizzato sul braccio corto del cromosoma 1 (1p21-13). Tale gene codifica per una proteina trans-membrana coinvolta nel trasporto dei retinoidi dai fotorecettori all’EPR (epitelio pigmentato retinico). L’alterazione di questo trasporto comporta l’accumulo di materiale di scarto ( lipofuscina) nella retina che si pensa possa essere dannoso per l’EPR con secondaria degenerazione dei fotorecettori ( coni ebastoncelli).

Quali sono i sintomi e i segni della malattia di Stargardt?

Il sintomo principale consiste  nella riduzione dell’acuità  visiva centrale monolaterale che può iniziare durante l’adolescenza o anche nell’infanzia, con rapida estensione bilaterale. Inoltre, chi ne è affetto può lamentare disturbi nella percezione dei colori (discromatopsia), scotomi centrali (macchie nere nel campo visivo) e fotofobia (intolleranza alla luce). Lo studio del fondo oculare evidenzia negli stati iniziali della malattia minime alterazioni dell’EPR, con comparsa delle tipiche chiazzette bianco-giallastre (“flecks”), che tendono poi a confluire fino a provocare una maculopatia di tipo atrofico con aspetto a “bronzo battuto”.

Come si effettua la diagnosi?

La diagnosi si effettua attraverso una visita specialistica completa. In particolare, l’oculista dovrà eseguire un’attenta valutazione dell’acuità visiva e l’esame del fondo oculare per evidenziare le anomalie maculari caratteristiche della malattia. È fondamentale eseguire anche degli esami strumentali di approfondimento, ossia: la tomografia a coerenza ottica (OCT), l’autofluorescenza del fondo oculare (FAF), la fluorangiografia (FAG) che può evidenziare il segno tipico segno della “dark choroid” dovuto all’effetto schermo esercitato dalle chiazzette, l’elettroretinogramma (ERG) che può risultare normale nelle prime fasi della malattia per poi mostrare delle alterazioni nelle fasi più avanzate, il campo visivo che di solito presenta difetti assoluti centrali. L’analisi molecolare del gene ABCA4 conferma la diagnosi.

Ci sono malattie sistemiche associate alla Stargardt?

No, non sono stati descritti casi di altre malattie sistemiche associate.

Che terapie sono disponibili?

Al momento non ci sono terapie efficaci per bloccare la progressione della malattia o poter guarire dal danno già esistente ( si stanno comunque portando avanti protocolli sperimentali relativi alla terapia genica e allo sviluppo di nuovi farmaci).  Tuttavia, si possono adottare alcune misure per cercare di rallentare l’evoluzione della degenerazione retinica, come: l’utilizzo di occhiali scuri con filtri UV per evitare l’esposizione eccessiva alla luce solare, l’assunzione di appositi integratori per via orale (da evitare l’assunzione di quelli contenenti vitamina A). Infine, è di grande aiuto l’utilizzo di ausili per ipovedenti che permettono di sfruttare al meglio ciò che resta della vista (residuo visivo). Anche la riabilitazione visiva consente di avere risultati soddisfacenti, con eventuali sedute di fotostimolazione e un supporto psicologico.

 

Scheda informativa a cura dell’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità-IAPB Italia onlus 
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Pagina pubblicata il 14 novembre 2007. Ultimo aggiornamento: 24 agosto 2023. 

Ultima revisione scientifica: 24 agosto 2023. 

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OCT (Optical Coherent Tomography)

I tuoi occhi

Esami e interventi

OCT (Optical Coherent Tomography)

(tomografia a coerenza ottica)

Cos’è?

Tomogramma

È un esame diagnostico per immagini: permette di analizzare la retina e, in particolare, la macula (area centrale del tessuto retinico che ci consente di leggere, vedere i volti, ecc.) e del nervo ottico.
Si tratta pertanto di un’indagine molto utile per la diagnosi ed il follow-up di diverse patologie oculari
In particolare, l’oct della macula (vedi figura sopra), è in grado di fornire una serie di immagini in sezione trasversale della retina, contenenti informazioni preziose sul suo spessore, sulla sua conformazione e sul rapporto tra i vari strati che la compongono.

Come funziona?

L’ OCT si basa su una tecnica di misurazione ottica chiamata interferometria a bassa coerenza. Il principio di funzionamento è simile a quello dell’ecografia (dove però le onde sono acustiche): in pratica, sfruttando la riflessione di un fascio laser non nocivo, si riesce ad  analizzare le strutture oculari ottenendo delle sezioni.  . È comunque un esame più preciso di quello ecografico perché, grazie agli apparecchi di ultima generazione, consente di ottenere  una risoluzione elevata (nell’ordine dei micrometri) e quindi  un livello di dettaglio superiore.

Qual è la procedura?

oct

Si eseguono delle scansioni mediante strumentazioni computerizzate, che consentono di ottenere un’immagine dettagliata della singole strutture oculari. A livello retinico, ad esempio, si possono apprezzare e analizzare  i singoli strati attraverso un’analisi qualitativa e quantitativa: si rilevano con estrema precisione  eventuali alterazioni, soprattutto della macula. Le fotografie retiniche scattate a diverse profondità sono chiamate “tomogrammi”.

Si tratta di un esame invasivo?

Assolutamente no. Si tratta di un esame rapido e semplice, che non necessita dell’instillazione del collirio midriatico (senza dilatazione della pupilla) né la somministrazione di mezzo di contrasto. Le scansioni OCT, come già anticipato in precedenza, possono essere utilizzate per la diagnosi e il monitoraggio di patologie che colpiscono la retina centrale (la macula), il nervo ottico e la cornea.

Come si esegue l’esame e quanto dura?

Il paziente viene fatto posizionare di fronte allo strumento ed invitato dall’operatore a fissare una mira luminosa. Le scansioni vengono eseguite piuttosto rapidamente ed infatti l’esame dura circa 15 minuti. Le immagini ottenute, possono essere analizzate, archiviate e confrontate nel tempo con quelle di esami successivi.

Per quali patologie è indispensabile effettuare l’OCT?

Optical Coherent Tomography
Optical Coherent Tomography

L’OCT viene usato più frequentemente nelle seguenti patologie:

  • degenerazione maculare legata all’età (AMD)
  • retinopatia diabetica 
  • membrane epiretiniche (pucker maculari)
  • edema maculare di varia natura 
  • corioretinopatia sierosa centrale (vedi maculopatia)
  • fori maculari (in questo caso l’OCT permette di riconoscere i diversi stadi evolutivi ed è, quindi, utile anche per la prognosi).

Ad oggi, l’OCT, è diventato un esame estremamente importante anche per quanto riguarda la diagnosi e lo studio dell’evoluzione della patologia glaucomatosa, consente infatti di misurare lo spessore dello strato delle fibre nervose retiniche (RNFL) e valutare i vari parametri della papilla ottica, ad esempio l’escavazione. Una diminuzione dello spessore delle fibre nervose retiniche e un aumento dell’escavazione papillare sono considerati segni precoci di glaucoma.

L’OCT del segmento anteriore viene invece utilizzato per lo studio dell’angolo irido-corneale, delle distrofie e degenerazioni corneali, delle neoformazioni del segmento anteriore. Consente, inoltre, di eseguire la pachimetria corneale, ovvero la misurazione dello spessore della cornea, sia centrale che periferico, dato fondamentale nella diagnosi di glaucoma, ma utile anche nei pazienti affetti da patologie corneali, quali ad esempio il cheratocono, o in quei pazienti che vogliano sottoporsi a chirurgia refrattiva.

Si può considerare esame sostitutivo alla fluorangiografia?

No. Infatti l’OCT è complementare alla fluorangiografia, soprattutto per patologie dove è importante valutare il comportamento del mezzo di contrasto nel tempo ad esempio nelle maculopatie essudative, in alcuni casi di corioretinopatia sierosa centrale o nei casi di dubbia diagnosi. Quindi completa, ma non sostituisce, l’esame obiettivo oftalmoscopico e la fluorangiografia. Da alcuni anni è disponibile anche un esame strumentale  che consente di studiare i vasi senza utilizzare il mezzo di contrasto:  l’angiografia OCT (abbreviata con angio-OCT).

Si può effettuare sempre?

Si può effettuare quasi sempre, tranne seguenti casi:

  1. opacizzazione dei mezzi diottrici oculari (ad esempio cataratta avanzata), opacità massive della cornea ( èdema o leucomi), presenza di sangue o olio di silicone nella camera vitrea;
  2. instabilità della fissazione (come il nistagmo): può rendere molto difficile il corretto posizionamento della scansione e, quindi, il confronto con un esame ripetuto in un secondo momento.

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Pagina pubblicata il 17 dicembre 2008. Ultimo aggiornamento: 13 giungo 2023. 

Ultima revisione scientifica: 13 giugno 2023. 

Distrofie retiniche

I tuoi occhi

Malattie oculari

Distrofie retiniche

cosa sono le distrofie retiniche?

Le distrofie retiniche sono un gruppo eterogeneo di patologie oculari rare, la maggior parte delle quali ha un’origine genetica. Sono caratterizzate da un’alterazione morfofunzionale che si sviluppa a seguito di modificazioni del normale trofismo retinico. Possono colpire non solo la retina, ma anche la coroide, provocando gravi danni visivi. Ad oggi sono riconosciute clinicamente diverse forme di distrofia retinica, differenti tra di loro per età d’insorgenza, manifestazioni cliniche, gravità, rapidità evolutiva e tipo di ereditarietà.

Normal human retina

COSA SONO LE MALATTIE RARE?

Per malattie rare s’intende un gruppo eterogeneo di patologie che colpiscono l’uomo, definite tali per la loro bassa prevalenza nella popolazione. Viene infatti considerata rara, ogni malattia che colpisce non più di 5 abitanti su 10.000.

Circa l’80% dei casi è di origine genetica, mentre per il restante 20% si parla di malattie multifattoriali, dipendenti cioè da svariate cause come ad esempio: suscettibilità individuale, fattori ambientali, fattori alimentari o interazione tra cause genetiche e ambientali.

Le malattie rare possono colpire varie fasce d’età, alcune possono manifestarsi già in fase prenatale, altre alla nascita o durante la primissima infanzia, altre ancora in età adulta. Gli elementi principali che accomunano le malattie rare sono: diagnosi difficoltosa e non sempre raggiungibile in tempi brevi, andamento cronico, rara disponibilità di trattamenti terapeutici efficaci. Lo scopo della ricerca scientifica è quindi quello di approfondire sempre di più le possibili cause delle malattie rare, in modo da riuscire a sviluppare terapie nuove ed efficaci.

QUALI SONO LE CAUSE DELLE DISTROFIE RETINICHE?

Come accennato in precedenza, le cause delle anomalie che colpiscono la retina, sono per la maggior parte da ricercarsi in mutazioni genetiche trasmissibili su base ereditaria. È sicuramente molto complicato isolare le alterazioni genetiche responsabili delle varie malattie, anche se ad oggi sono stati fatti molti passi in avanti e si è riusciti ad identificare mutazioni in più di 270 geni diversi. Il sottogruppo più frequente è quello della famiglia delle retiniti pigmentose caratterizzate da percezione luminosa ridotta e riduzione progressiva del campo visivo. Le conoscenze sui meccanismi patogenetici di queste malattie si sono notevolmente incrementate grazie alle tecniche sempre più avanzate di genetica molecolare.

Il denominatore comune di tutte le distrofie retiniche è l’estrema eterogeneità. Lo spettro di presentazione è quanto mai ampio, anche nei membri di una stessa famiglia; velocità di progressione e severità variano tantissimo, così come il quadro clinico che può differire profondamente in pazienti affetti dalla stessa patologia. L’eterogeneità riguarda anche gli aspetti genetici. Esiste una sorta di “sovrapposizione” tra quadri clinici e geni responsabili, infatti, uno stesso gene può dare origine a forme cliniche estremamente diverse fra loro.

QUALI SONO I SINTOMI?

I pazienti affetti da distrofia retinica possono presentare una serie di sintomi visivi, come ad esempio:

  • comparsa di macchie scure nel campo visivo (scotomi);
  • calo del visus;
  • difficoltà di adattamento nel passaggio dalla luce al buio;
  • comparsa di metamorfopsie (percezione distorta o deformata degli oggetti, che indica alterazioni a livello della parte centrale della retina, ossia la macula);
  • fastidio alla luce (fotofobia);
  • anomala percezione dei colori;
  • alterazioni del campo visivo.

COME SI EFFETTUA LA DIAGNOSI?

distrofie retiniche

Le distrofie retiniche possono essere diagnosticate in molti modi. Spesso l’esame diretto ed accurato del fondo oculare può già fornire informazioni rilevanti per una diagnosi precisa e affidabile, in altri casi, saranno necessari esami strumentali complementari per comprendere al meglio le caratteristiche della malattia: l’autofluorescenza e l’OCT (tomografia a coerenza ottica) permettono di eseguire un esame accurato della morfologia oculare, esami come l’elettroretinogramma (ERG), l’elettrooculogramma (EOG) e i potenziali evocati visivi (PEV), consentono di valutare/approfondire la situazione a livello funzionale. In presenza di dubbio diagnostico o per una conferma finale, si può far ricorso all’indagine genetica per rilevare la presenza del gene o dei geni mutati, responsabili dello sviluppo della malattia.

In caso di cecità retinica congenita, oltre agli esami già indicati, può essere eseguita una RMN dell’encefalo per escludere ulteriori problematiche a livello del sistema nervoso centrale.

CLASSIFICAZIONE CLINICA DELLE DISTROFIE RETINICHE

Si riconoscono diverse forme di distrofie retiniche, le principali sono le seguenti:

  • amaurosi congenita di Leber;
  • distrofia dei coni e dei bastoncelli;
  • distrofia ialina della retina;
  • distrofia vitelliforme di Best;
  • distrofia vitreoretinica;
  • malattia di Stargardt;
  • retinite pigmentosa;
  • retinite puntata albescente.

AMAUROSI CONGENITA DI LEBER?

L’amaurosi congenita di Leber (ACL) è una malattia genetica che colpisce la retina e si trasmette con modalità autosomica recessiva. La ACL provoca cecità o grave riduzione dell’ acuità visiva centrale fin dalla primissima infanzia, infatti in genere l’esordio è entro i primi sei mesi di vita. Gran parte delle persone affette dalla Leber presentano segni e sintomi caratteristici, come nistagmo, fotofobia, cecità notturna, strabismo convergente, alterazione della percezione dei colori, ipermetropia, alterazioni del campo visivo, cheratocono.

Per una trattazione più dettagliata consulta anche la scheda sull’ amaurosi congenita di Leber.

DISTROFIA DEI CONI E DEI BASONTCELLI

La distrofia dei coni e dei bastoncelli è una grave forma di malattia retinica che colpisce i fotorecettori, le cellule nervose dell’occhio che trasformano il segnale luminoso in segnale elettrico per generare poi la risposta visiva. Ci sono due tipi di fotorecettori, i coni e i bastoncelli, i primi sono concentrati nella parte centrale della retina e sono deputati alla visione dei colori e alla visione distinta, i secondi si concentrano invece nella zona periferica della retina e sono utilizzati per la visione al buio. La distrofia dei coni e dei bastoncelli, compare nei primi sei mesi di vita, può portare a cecità o ipovisione ed è caratterizzata dalla contestuale presenza di nistagmo. Di solito la patologia non si associa a malformazioni o disfunzioni a carico di altri organi e apparati. A livello sintomatologico i piccoli pazienti presentano una progressiva diminuzione della visione centrale e della capacità di distinguere i colori, oltre ad una spiccata fotofobia. Ad oggi, sono stati identificati una decina di geni associati alla distrofia dei coni e alle sue varianti, quello più frequentemente coinvolto è ABCA4, che causa anche la malattia di Stargardt, ed ha una trasmissione di tipo autosomico-recessivo (per manifestare i sintomi occorre ereditare la mutazione genetica da ciascuno dei genitori, entrambi portatori sani).

Purtroppo, ad oggi, non esiste alcuna terapia risolutiva, per attenuare i disturbi visivi è possibile utilizzare lenti dotate di filtri per proteggersi dalla luce. Gli ausili per ipovedenti possono essere utili se l’acuità visiva è piuttosto ridotta.

DISTROFIA IALINA DELLA RETINA

La distrofia ialina della retina è caratterizzata dalla perdita graduale della vista, cecità notturna e presenza di segni oculari caratteristici quali alterazioni del corpo vitreo, retinoschisi maculare, atrofia corioretinica, sviluppo precoce della cataratta, distacco di retina. La malattia colpisce in ugual misura sia maschi che femmine e si manifesta clinicamente entro i primi venti anni d’età, ma l’ERG può risultare estinto o fortemente alterato già entri i primi anni di vita. La trasmissione è autosomica recessiva. Non è disponibile al momento una terapia, può essere indicato eseguire dei trattamenti laser retinici per prevenire il distacco di retina.

DISTROFIA VITELLIFORME DI BEST

La distrofia vitelliforme di Best è una patologia ereditaria della retina. Viene trasmessa in forma autosomica dominante (un genitore trasmette il difetto genetico al figlio o alla figlia). La malattia è causata da una mutazione di un gene (chiamato VMD2, localizzato sul cromosoma 11q13), che nella retina regola il trasporto di determinate sostanze (acidi grassi polinsaturi) e comporta l’accumulo di un materiale di scarto biologico (lipofuscina) in uno strato della retina chiamato epitelio pigmentato retinico. I sintomi consistono nella riduzione della vista generalmente in forma lieve, con una progressione lenta. I pazienti riferiscono disturbi maggiori nelle visione da vicino, a cui si possono accompagnare la distorsione dell’immagine e gli scotomi centrali (macchie nere nel campo visivo).

Per un approfondimento leggi anche la scheda sulla malattia di Best.

MALATTIA DI STARGARDT

La malattia (o maculopatia) di Stargardt è una patologia ereditaria della retina che si manifesta generalmente prima dei vent’anni. Il più delle volte viene trasmessa in forma autosomica recessiva (entrambi i genitori presentano il difetto genetico pur potendo essere portatori sani), ma sono stati descritti anche casi di forme autosomiche dominanti (un solo genitore trasmette il difetto del DNA). La malattia è provocata da una mutazione di un gene (ABCA4), che comporta l’accumulo di materiale di scarto (simile alla lipofuscina) nella retina (in uno strato esterno chiamato epitelio pigmentato). Questo materiale è originato dalla degradazione di sostanze presenti nei coni e nei bastoncelli (fotorecettori retinici). I sintomi, consistono soprattutto nella riduzione della visione centrale (spesso in forma grave) che può iniziare durante l’adolescenza o anche nell’infanzia. Inoltre, chi ne è affetto può lamentare disturbi nella percezione dei colori (discromatopsia), scotomi centrali (macchie nere nel campo visivo) e fotofobia (intolleranza alla luce).

Consulta anche la scheda sulla malattia di Stargardt.

RETINITE PIGMENTOSA

Si tratta di una patologia rara di tipo ereditario, caratterizzata da una degenerazione progressiva della retina in entrambi gli occhi. Provoca la perdita graduale della visione notturna e del campo visivo periferico, ma agli ultimi stadi si può verificare anche una perdita della visione centrale. I principali sintomi che possono indurre il medico a sospettare di trovarsi di fronte ad un caso di retinite pigmentosa sono essenzialmente due: cecità crepuscolare e notturna e restringimento del campo visivo (visione tubulare).

Per un approfondimento consulta la scheda sulla retinite pigmentosa.

RETINITE PUNTATA ALBESCENTE

La retinite puntata albescente è una forma atipica e progressiva di retinite pigmentosa, con modalità di trasmissione autosomica recessiva, caratterizzata dalla presenza di chiazzette retiniche biancastre. Tali chiazzette, sparse su tutta la retina, possono precedere o coesistere con la pigmentazione tipica della retinite pigmentosa. I sintomi caratteristici della malattia sono la cecità notturna e il restringimento progressivo del campo visivo, l’ ERG può risultare fortemente alterato o estinto. Purtroppo non esistono ad oggi trattamenti terapeutici efficaci.

E’ POSSIBILE CURARE LE DISTROFIE RETINICHE?

Attualmente non ci sono delle terapie per la cura delle distrofie retiniche. Sono molte però le strade di ricerca aperte, i filoni più promettenti sono la terapia genica, il ricorso alle cellule staminali, il trapianto di retina, l’occhio bionico. 

Leggi anche: Trattamenti possibili delle distrofie retiniche.

                        Riabilitazione visiva nelle distrofie retiniche.

 

Pagina pubblicata nel 2023. Ultimo aggiornamento: 23 giugno 2023. 

Ultima revisione scientifica:23 giugno 2023. 

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Cataratta congenita

I tuoi occhi

Malattie oculari

Cataratta congenita

Cos’è?

Cataratta congenita Si tratta di una patologia che colpisce il cristallino, la lente contenuta all’interno del nostro occhio, rendendolo opaco già alla nascita o entro i primi 3 mesi di vita. Le opacità possono essere di dimensioni limitate ed in tal caso interferiscono poco o affatto sulla visione, oppure possono presentarsi come estese e dense, andando ad incidere molto sul visus.  La cataratta congenita può rimanere stabile o evolversi nel corso degli anni, può inoltre interessare un solo occhio (cataratta congenita monolaterale) o entrambi (cataratta congenita bilaterale).

Quant’è frequente?

Ancora oggi rappresenta una delle cause più frequenti di cecità nell’infanzia (10-15%). In circa i 2/3 dei casi sono coinvolti entrambi gli occhi (cataratta bilaterale congenita).

Quali sono le cause?

Stabilire la causa dell’opacità del cristallino è fondamentale per un completo inquadramento clinico, però diversi sono i fattori che possono essere responsabili di una cataratta congenita:

  1. causa idiopatica (non dovuta a cause esterne note ovvero senza causa apparente);
  2. fattori genetici: la trasmissione ereditaria più frequente è quella autosomica dominante.  Talvolta l’eziologia può essere un’alterazione cromosomica, come la trisomia 21 o sindrome di Down, la trisomia 13, la trisomia 18, la sindrome di Turner;
  3. esposizione della madre durante la gravidanza a trattamenti con raggi X, con particolare rischio se praticata durante i primi 3 mesi di gravidanza;
  4. infezioni contratte dalla madre durante la gravidanza, come rosolia, parotite e varicella;
  5. farmaci assunti dalla madre durante la gravidanza, soprattutto corticosteroidi e alcuni antibiotici (specialmente i sulfamidici);
  6. alterazioni metaboliche dovute – nelle madri incinte – a diabete, ipoparatiroidismo o gravi carenze alimentari e – nel feto – alla galattosemia (malfunzionamento di un enzima capace di metabolizzare il galattosio);
  7. anomalie  dell’iride, quali aniridia(assenza congenita dell’iride, completa o quasi, in entrambi gli occhi), alterazioni delle strutture anatomiche anteriori dell’occhio, persistenza del vitreo primitivo iperplastico (di solito l’occhio colpito è più piccolo della norma e ha problemi funzionali), microftalmo (malattia ereditaria per cui l’occhio è, anche in questo caso, più piccolo del normale) e retinopatia del prematuro (ROP );
  8. la prematurità e la sofferenza feto-neonatale;
  9. malattie sistemiche associate del neonato (artrite reumatoide, sindrome di Marfan, sindrome di Weill-Marchesani e malformazioni cranio-facciali).

Di che tipo di opacità si tratta?

Come già anticipato in precedenza le opacità del cristallino possono essere singole o multiple, con dimensioni più o meno estese e di diversa densità. In base a come si presenta l’opacità del cristallino possiamo classificare la cataratta congenita in:

  • polare anteriore;
  • polare posteriore;
  • pulverulenta;
  • centrale pulverulenta;
  • zonulare;
  • totale.

Come si esegue la diagnosi di cataratta congenita? 

Se si sospetta la presenza di una cataratta congenita, si può fare il testdel riflesso rosso. Si tratta di un esame piuttosto veloce e non invasivo, da eseguire  in una stanza oscurata, per consentire un buon allargamento delle pupille del neonato. Il medico esaminatore proietta una luce in entrambi gli occhi del piccolo paziente da una distanza di circa 45 cm, dopodiché osserva come si presenta il riflesso rosso. In condizioni di normalità tale riflesso deve essere presente e simmetrico in ambedue gli occhi. Se si evidenziano invece macchie nere nel riflesso, un riflesso marcatamente diminuito, la presenza di un riflesso bianco o l’asimmetria dei riflessi, vuol dire che siamo in presenza di un’anomalia e che è necessario un approfondimento con visita completa per una conferma diagnostica.

Sintomi della cataratta congenita 

Le opacità estese e molto dense del cristallino determinano un’ambliopia più o meno grave (occhio pigro), in quanto impediscono il normale  sviluppo funzionale dell’apparato visivo, che avviene proprio nei primi mesi di vita grazie alla stimolazione delle vie ottiche ad opera delle immagini provenienti dall’esterno. Generalmente sono gli stessi genitori a segnalare la presenza di un riflesso pupillare biancastro (leucocoria) o l’assenza del classico riflesso rosso in fotografia. Se la cataratta è monolaterale, oltre all’ambliopia si sviluppa generalmente strabismo. In presenza di cataratta bilaterale evoluta un segno tipico può essere il nistagmo che insorge intorno ai 3 mesi di età. Risulta fondamentale, quindi, una diagnosi precoce: prima si interverrà e più possibilità di recupero funzionale visivo ci saranno.

Si può curare?

parto prematuro Sì, generalmente è trattabile con un’operazione chirurgica. Ovviamente alcune cataratte infantili che non interferiscono sulla capacità visiva, in quanto piccole o poco dense, non richiedono la chirurgia.

Qual è la terapia più adatta?

Se la cataratta ostacola in maniera grave lo sviluppo della funzione visiva è fondamentale intervenire chirurgicamente il più presto possibile, asportando il cristallino opacizzato. Si consiglia di effettuare l’intervento entro i primi 3 mesi di vita. In prospettiva si potrebbero utilizzare persino cellule staminali del cristallino stesso per “rigenerarlo“ (vedi Nature); tuttavia quest’approccio, al momento in cui scriviamo è da considerarsi meramente sperimentale e attualmente privo di applicazioni cliniche.

Il cristallino asportato viene sostituito con un cristallino artificiale come nella cataratta senile?

Generalmente si preferisce inserire la lentina artificiale se il bambino ha più di 18 mesi. Fino ad allora si deve proseguire con un trattamento riabilitativo, in quanto l’occhio senza cristallino vede ovviamente male; a questo scopo si utilizzano occhiali adeguati o, se la cataratta riguarda un solo occhio, una lente a contatto morbida. La terapia chirurgica rappresenta, quindi, solo il primo passo di un lungo percorso terapeutico

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Pagina pubblicata il 10 dicembre 2010. Ultimo aggiornamento:18 aprile 2023 

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Settembre-Dicembre 2023
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“Oftalmologia Sociale” è una rivista di sanità pubblica, la pubblicazione trimestrale dell’Agenzia Internazionale per la prevenzione della Cecità-IAPB Italia onlus.

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Luglio-Ottobre 2023
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“Oftalmologia Sociale” è una rivista di sanità pubblica, la pubblicazione trimestrale dell’Agenzia Internazionale per la prevenzione della Cecità-IAPB Italia onlus.

 

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Aprile-Giugno 2023
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“Oftalmologia Sociale” è una rivista di sanità pubblica, la pubblicazione trimestrale dell’Agenzia Internazionale per la prevenzione della Cecità-IAPB Italia onlus.

 

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