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Malattie oculari
Melanoma della Coroide
Tumore intraoculare più diffuso
Cos’è il melanoma?
Il melanoma della coroide (tessuto vascolare tra la retina e la sclera) è il tumore maligno primitivo intraoculare più frequente nell’adulto, con un’incidenza pari a 6 casi su un milione di abitanti. Si presenta più comunemente nei soggetti di sesso maschile, con età compresa tra i 50 e i 60 anni; la razza bianca ha un rischio otto volte maggiore rispetto a quella nera.
A cosa è dovuto?
L’origine della neoplasia è dovuta a diverse cause ed è necessaria l’interazione di fattori genetici ed ambientali perché si sviluppi. Oltre all’età e alla razza i principali fattori di rischio sembrerebbero essere: colore chiaro della pelle, capelli biondi, iride chiara, esposizione al sole e presenza di nevi.
Come insorgono i melanomi?
I melanomi insorgono nella maggioranza dei casi ex novo, mentre in una ridotta percentuale di casi si sviluppano a partire da un nevo. Alcuni nevi presentano un alto rischio di trasformazione maligna; di conseguenza richiedono un’accurata osservazione clinica. Il monitoraggio periodico avviene mediante valutazione oftalmoscopica ed attraverso il confronto nel tempo di fotografie della lesione (anche se biologicamente benigna). La frequenza dei controlli sarà inizialmente dettata dalle dimensioni e dalle caratteristiche cliniche del nevo: un nevo di spessore inferiore ai 2 mm, con drusen superficiali, assenza di pigmento arancio, a margini netti, asintomatico e senza alterazioni circostanti dell’epitelio pigmentato retinico, può essere controllato una volta all’anno. I nevi con spessore superiore a 2mm, segni di liquido sotto retinico, insorti in soggetti giovani, localizzati nella zona maculare o in prossimità del disco ottico, devono essere controllati ogni tre mesi o eventualmente sei. Segni di una trasformazione maligna sono facilmente valutabili, con l’esame oftalmoscopico ed ancor meglio con un’ecografia oculare.
Che sintomi dà?
Il melanoma della coroide si sviluppa generalmente senza sintomi specifici; tuttavia, qualora esso sia localizzato nella fovea (zona centrale della retina) o parafoveale (in prossimità del centro retinico) può determinare una riduzione dell’acuità visiva. Altri sintomi riferiti dai pazienti sono: fosfeni (lampi di luce a volte colorati), immagini distorte (metamorfopsie), alterazioni del campo visivo, dilatazione dei vasi sclerali, dolore (nelle fasi più avanzate).
Come si diagnostica?
Oggi il melanoma coroideale può essere diagnosticato con una precisione del 99,7% grazie alla notevole esperienza clinica che caratterizza i centri di oncologia oculare e alle moderne tecniche diagnostiche. L’esame oftalmoscopico indiretto e l’ecografia oculare sono le tecniche più importanti per poter giungere alla diagnosi. Con l’oftalmoscopia si possono individuare i seguenti aspetti clinici: forma, dimensione, colore, localizzazione, presenza di essudazione, emorragie, alterazioni a carico dell’epitelio pigmentato retinico. L’ecografia oculare con tecnica A-B scan consente, a sua volta, di definire altri aspetti della lesione come: la morfologia, la struttura interna e l’infiltrazione sclerale, al fine di determinare con precisione la natura del tumore, definirne le esatte dimensioni, valutarne il trattamento più appropriato.
Quali altri esami si usano per diagnosticare un tumore oculare?
Si può far ricorso alla fluorangiografia (FAG) che, al contrario dell’ecografia, non fornisce dati fondamentali ai fini diagnostici, ma risulta fondamentale per differenziare il melanoma da altre patologie, come ad esempio un’emorragia sottoretinica. Inoltre la FAG, insieme all’angiografia al verde di indocianina, può fornire utili indicazioni per differenziare il melanoma amelanotico da lesioni benigne ad alta vascolarizzazione (come l’emangioma della coroide).
Il nevo della coroide, l’ipertrofia dell’epitelio pigmentato retinico (EPR), le emorragie sottoretiniche, le metastasi coroideali, l’emangioma, l’osteoma ed il melanocitoma della coroide sono le condizioni di più frequente riscontro che devono essere differenziate dal melanoma coroideale. A tal fine occorre sempre eseguire un accurato esame clinico, ecografico ed, eventualmente, angiografico.
Metastasi
Il melanoma della coroide, metastatizza unicamente per via ematica, data l’assenza di vasi linfatici a livello del bulbo. Gli organi e le strutture che risultano maggiormente coinvolti da metastasi sono: il fegato (nella maggior parte dei casi), i polmoni, lo scheletro, la cute ed il sistema nervoso centrale.
Qual è la terapia?
Oggi un trattamento di tipo conservativo è indicato nella maggior parte dei melanomi: in genere non è necessario asportare chirurgicamente l’occhio. Le tecniche conservative maggiormente utilizzate sono le seguenti:
- tumorectomia (resezione chirurgica transclerale). Può essere impiegata per tumori di qualsiasi spessore con un diametro basale inferiore ai 15 mm, il cui margine posteriore disti almeno 4 mm dalla fovea e 3 mm dal disco ottico;
- termoterapia transpupillare (TTT). Metodica che, attraverso l’utilizzo di un laser a diodi, determina un aumento di temperatura entro il tumore, provocandone la morte (necrosi non coagulativa). Questa tecnica può essere impiegata anche per melanomi di maggiori dimensioni o localizzati in sede juxtapapillare qualora venga associata alla radioterapia con placche episclerali (terapia sandwich);
- teleterapia con acceleratore di protoni (BPT) e gamma-knife (radioterapia ab-esterno con Cobalto);
- brachiterapia (radioterapia con placche radioattive). Rappresenta attualmente il trattamento radiante più diffusamente utilizzato. La placca, precedentemente caricata con iodio 125 o rutenio 106, viene messa a contatto col bulbo oculare: le sue emissioni possono “uccidere” il tumore (viene suturata alla sclera in corrispondenza della base del tumore e lasciata in sede per il tempo necessario all’emissione della dose richiesta, in genere 4-7 giorni). Con la brachiterapia, possono essere trattati i melanomi ovunque localizzati e di spessore non superiore ai 9 mm per lo iodio ed ai 5 mm per il rutenio (che salgono a 12,5 mm e 8,5 mm rispettivamente se associate a termoterapia).
Esiste una tecnica di radioterapia ancora più potente, che sfrutta protoni accelerati per colpire le cellule tumorali: fa effetto fino a 14 mm di profondità (l’adroterapia). Tale metodica, pertanto, risulta particolarmente indicata in pazienti monocoli con tumori di spessore superiore a quello consentito per il trattamento con brachiterapia o con terapia sandwich.
Anche nei casi in cui le dimensioni della lesione, l’estensione extrasclerale, l’associazione a glaucoma secondario impongano un intervento demolitivo (enucleazione del bulbo oculare), le tecniche operatorie e i materiali oggi disponibili consentono di ripristinare un aspetto estetico assolutamente soddisfacente, con evidente beneficio psicologico. Un’adeguata programmazione dei controlli oftalmoscopici ed ecografici dopo il trattamento, con cadenza semestrale nei primi cinque anni e annuale nel periodo successivo, è parte integrante del programma terapeutico.
Scheda informativa a cura dell’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità-IAPB Italia onlus
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Pagina pubblicata il 3 luglio 2008. Ultimo aggiornamento: 13 giugno 2025
Ultima revisione scientifica: 13 giugno 2025

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