Umor acqueo

I tuoi occhi

Parti dell’occhio

Umor acqueo

Cos’è?

È un liquido salino costituito da acqua contenente una minima quantità di sali e sostanze proteiche disciolte: riempie lo spazio compreso tra la cornea (superficie oculare trasparente) e il cristallino (la nostra lente naturale dentro l’occhio). Grazie a una lieve pressione sulla parete interna della cornea ne mantiene la forma, contribuendo a dare volume al nostro bulbo oculare. Nell’umor acqueo si possono rilevare rarissimi elementi del sangue, per lo più linfociti (globuli bianchi) che aumentano considerevolmente durante i processi infiammatori dell’occhio.

Che funzione ha?

L’umor acqueo è uno dei mezzi refrattivi del bulbo oculare; pertanto esplica una funzione ottica, contribuisce a dare pressione all’occhio svolgendo, quindi, una funzione statica e una funzione nutritiva. Infatti nutre gli elementi che bagna, in particolare il cristallino e la cornea.

Dove viene prodotto?

Dal corpo ciliare – porzione della tonaca media del bulbo oculare –, struttura localizzata dietro l’iride. Il ritmo di produzione e di riassorbimento dell’umor acqueo si compie normalmente in modo tale da determinare una pressione che, in condizioni normali, nell’occhio deve essere compresa tra 10 e 20 millimetri di mercurio (mmHg). Tale pressione, se aumenta, può determinare il glaucoma (una malattia oculare che può provocare danni irreversibili al nervo ottico) .

Come circola nel bulbo oculare?

La circolazione dell’umor acqueo parte dalla camera posteriore del bulbo oculare (spazio compreso tra il cristallino e l’iride) fino alla sua camera anteriore (tra la cornea e l’iride), passando attraverso la pupilla. Il riassorbimento dell’umor acqueo avviene mediante il trabecolato, una struttura oculare porosa posta tra la sclera e la cornea, che consente di eliminare il liquido in eccesso. Infine esso si immette dal trabecolato in un canale (detto di Schlemm), dal quale poi fuoriesce (mediante le vene episclerali e ciliari anteriori).

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Pagina pubblicata il 23 ottobre 2013. Ultimo aggiornamento: 5 aprile 2018. 

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Uvea

I tuoi occhi

Parti dell’occhio

Uvea

Cos’è?

L’ùvea è la membrana vascolare nutritiva dell’occhio (tunica media): è localizzata tra la sclera (tunica esterna) e la retina (tunica interna nervosa).

Da cosa è composta?

Può essere schematicamente suddivisa in tre parti: iride, corpo ciliare e coroide.

 

A cosa serve l’iride?

L’iride è una sottile membrana che determina il colore dei nostri occhi. Regolando il diametro della pupilla in base alla luminosità (grazie al muscolo sfintere eUvea dilatatore), è in grado di aumentare o diminuire la quantità di luce che penetra nel bulbo oculare. Posta anteriormente al cristallino, separa la camera anteriore da quella posteriore. E’ soggetta a infiammazioni (iriti o iridocicliti), a difetti congeniti o, più raramente, a tumori oculari (melanoma).

Cos’è il corpo ciliare?

Il corpo ciliare è una struttura anatomica oculare deputata sia alla produzione dell’umor acqueo che al controllo dell’accomodazione (messa a fuoco delle immagini) attraverso il muscolo ciliare, che agisce regolando la curvatura del cristallino, al quale è collegato attraverso il legamento sospensore (zonula). Il corpo ciliare è situato subito posteriormente all’iride ed anteriormente alla coroide, ha una forma triangolare, con una parte anteriore (pars plicata) – comprendente il muscolo ciliare e i processi ciliari – e una parte posteriore (pars plana), che confina con la coroide retrostante.

 

Da cosa viene prodotto l’umor acqueo?

La produzione di umor acqueo avviene ad opera dell’epitelio ciliare. Il liquido, una volta secreto, passa – attraverso la pupilla – dalla camera posteriore (spazio compreso tra iride e cristallino) alla camera anteriore (tra cornea e iride). Infine, viene filtrato dal trabecolato (struttura situata a livello dell’incontro della cornea con la base dell’iride) e, quindi, passa attraverso le vie di deflusso. L’equilibrio tra la produzione e lo smaltimento dell’umor acqueo è molto importante: è alla base della regolazione della pressione intraoculare (vedi glaucoma). Il corpo ciliare può presentare malformazioni come colobomi e cisti oppure andare incontro a processi infiammatori (irido-cicliti o pars-planiti).

Dove si trova la coroide e a cosa serve?

La coroide è la membrana vascolare dell’occhio i cui vasi derivano dall’arteria oftalmica. È posta tra sclera (esternamente) e retina (internamente). Contiene gran parte del sangue che irrora il bulbo oculare, apportando il nutrimento ai fotorecettori e all’epitelio pigmentato retinico (strati interni della retina). È costituita anche da una certa quantità di pigmento (melanociti) che, in misura diversa, conferisce differenti gradi di colorazione al fondo oculare. Grazie alla sua ricca vascolarizzazione, la coroide rappresenta la membrana che alimenta il neuroepitelio retinico attraverso lo strato più interno (chiamato coriocapillare), in particolar modo della macula, area centrale della retina deputata alla visione centrale (normalmente più definita rispetto a quella periferica). La coroide può sviluppare processi infiammatori e infettivi (retino-coroiditi o uveiti), presentare nevi e, nei casi più gravi, melanomi maligni o tumori metastatici.

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Sclera

I tuoi occhi

Parti dell’occhio

Sclera

 

Cos’è?


È comunemente chiamata “bianco dell’occhio”: si tratta di una membrana fibrosa che riveste in gran parte il bulbo oculare (all’incirca i 5/6 della superficie). È ricoperta esternamente dalla congiuntiva, mentre anteriormente confina con la cornea; posteriormente lascia passare il nervo ottico.

Da cosa è costituita?

Principalmente da fibre connettivali che si intrecciano tra loro in varie direzioni (disposte principalmente come i meridiani e i paralleli di un mappamondo). Questa struttura reticolare assicura la resistenza meccanica del bulbo oculare. Dalla sclera si originano le inserzioni per i tendini dei muscoli oculari estrinseci, che controllano i movimenti oculari.

Con quali parti dell’occhio è connessa?

La sclera ha rapporti internamente con l’ùvea e, nella porzione anteriore, con il corpo ciliare [1] e la radice dell’iride. Esternamente è rivestita dall’episclera, una membrana fibrovascolare molto sottile; contiene numerosi vasi sanguigni che si rendono ben visibili in corso di processi infiammatori (flogistici). La sclera presenta posteriormente il passaggio per il nervo ottico, dove risulta costituita da fibre connettivali che si intersecano tra loro, originando tanti piccoli orifizi attraverso i quali passano i fasci di fibre del nervo ottico.

Può variare il suo colore?

La sclera è il bianco degli occhi
Sì, a seconda dell’età e dell’eventuale presenza di patologie. Passa dall’azzurrognolo nel bambino al bianco nell’età adulta e, infine, al bianco-giallastro nell’anziano (a causa del deposito di grasso).

A cosa serve, in particolare?

Forma un vero e proprio ‘guscio’ elastico piuttosto resistente che, sostenuto anche dalla pressione interna dell’occhio, stabilizza la forma del bulbo oculare proteggendone, al contempo, il contenuto.

A quali malattie è soggetta?

La sclera può andare incontro a infiammazioni chiamate scleriti , alla base delle quali ritroviamo un processo di ipersensibilità a complessi immuni [2] che, depositandosi sul tessuto collagene della sclera, richiamano le cellule infiammatorie (generalmente espressione di patologie generali quali artrite reumatoide, vasculiti sistemiche, poliartrite nodosa, malattia di Wegner e spondilite anchilosante) oppure ad agenti infettivi come, ad esempio, i virus erpetici (varicella/zoster) oppure a batteri provenienti da congiuntiva, cornea, uvea o dai tessuti orbitari.

Quando può colpire?

La massima incidenza delle scleriti si verifica tra i 40 ed i 60 anni, con maggior frequenza nelle donne. Oltre al rossore causano riduzione della visione, iperlacrimazione, ipersensibilità alla luce (fotofobia) e, soprattutto, dolore oculare che aumenta muovendo gli occhi. Possono anche essere posteriori: in questi casi si associano generalmente ad uveite, cataratta o pars planite (uveite intermedia) possono manifestarsi con distacco retinico essudativo, emorragie retiniche ed èdema maculare cistoide. In questi casi si lamenta dolore irradiato alla tempia, allo zigomo e all’arcata sopraccigliare; nei casi più gravi si può avere diplopia. Importanti sono, comunque, una diagnosi precoce e una terapia tempestiva per prevenire complicanze quali la riduzione della vista, l’assottigliamento sclerale, le uveiti e le cheratopatie (patologie della cornea).

Come si cura?

La terapia si avvale sia di corticosteroidi per via topica e sistemica (antinfiammatori in grado di ridurre il dolore) sia di immunosoppressori; ma la terapia dipende dall’entità della sclerite e, in caso di recidive, sarebbe opportuno farsi seguire da un reumatologo o da un immunologo per capire bene la causa della patologia.

Cosa sono le episcleriti?

Sono forme infiammatorie più blande e meno dolorose: si hanno quando l’infiammazione coinvolge solo lo strato più superficiale della sclera. Frequentemente si ripresentano con nuovi episodi, tipici dell’età adulta. Se l’esordio è acuto l’occhio diventa improvvisamente rosso, non c’è mai secrezione, ma ci può essere un aumento della lacrimazione. Spesso le episcleriti si possono presentare con un nodulo che solleva la congiuntiva sovrastante (episclerite nodulare). Generalmente il rossore è intenso e frequentemente interessa solo un settore dell’occhio. Anche se non trattata, l’episclerite può guarire spontaneamente in 10-20 giorni. Talvolta, però, può essere utile una terapia con corticosteroidi più volte al dì per alcuni giorni, che va continuata e ridotta gradualmente anche dopo la scomparsa della sintomatologia, al fine di evitare ricadute.

È vero che chi è molto miope soffre più spesso di scleriti?

Sì, la sclerite colpisce frequentemente i miopi elevati : la loro sclera può andare incontro a uno sfiancamento (ectasia). Quest’ultima può essere totale o parziale; però solo nei casi più gravi si ritiene opportuno intervenire chirurgicamente con tecniche di resezione ovvero di scleroplastica. Le scleriti si possono presentare anche per processi flogistici (infiammatori), anomalie congenite o traumi.

A che tipo di traumi è soggetta la sclera?

Ovviamente la sclera può subire traumi mediante oggetti taglienti o acuminati: il taglio è sempre più esteso di quanto sembri apparentemente. È molto importante, in caso di trauma, recarsi subito al pronto soccorso oculistico per suturare precocemente tali ferite; l’oculista riapporrà con molta attenzione i lembi della ferita, ricoprendola con l’episclera e la congiuntiva, al fine di facilitare la formazione di tessuto fibroso e, quindi, la chiusura della ferita stessa. La sclera si può lacerare in caso di scoppio del bulbo in seguito a trauma, quando si esercita una pressione esterna superiore alla capacità di resistenza del tessuto sclerale.

I tumori della sclera sono frequenti?

No, non lo sono e, tra l’altro, hanno quasi sempre natura benigna (fibromi, osteomi e condromi). Si presentano come noduli solidi e possono aumentare di volume nel corso degli anni. La sclera e l’episclera possono essere invase, anche se raramente, da neoplasie a partenza intraoculare o extraoculare, quali melanomi intraoculari, mieloma, sarcoidosi, che possono mimare semplici scleriti e, in questi casi, la diagnosi può essere molto difficoltosa.

[1una struttura anatomica oculare deputata sia alla produzione dell’umor acqueo che al controllo dell’accomodazione.

[2Il sistema immunitario individua come estraneo un elemento (antigene) dell’organismo e, dunque, lo attacca.

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Pagina pubblicata il 13 gennaio 2010. Ultimo aggiornamento: 5 aprile 2018.

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Retina

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Retina

La retina è una sottile membrana che riveste la superficie interna dell’occhio. Si tratta di un fine tessuto nervoso sensibile alla luce (fotosensibile).

Com’è fatta?


È composta da sei tipi di cellule nervose disposte su una decina di strati. È suddivisa in due aree: una centrale, chiamata macula, ricca di coni (cellule nervose deputate alla percezione e al riconoscimento dei colori e alla visione distinta), e un’area media e periferica, dove prevalgono invece i bastoncelli (altri fotorecettori deputati alla visione con poca luce).

La retina resta nella sua sede naturale grazie alla pressione del corpo vitreo, un liquido gelatinoso che riempie il bulbo ed esercita un effetto tampone, spingendo la retina stessa sulla parete interna del bulbo e proteggendola da eventuali traumi provenienti dall’esterno.

Come funziona?

La retina si potrebbe paragonare a un sensore di una macchina fotografica digitale: ha l’importante compito di trasformare le immagini in impulsi nervosi che il nervo ottico trasmette poi al cervello (le aree corticali deputate alla visione si trovano principalmente nella zona occipitale).

Quando gli stimoli luminosi entrano nell’occhio e colpiscono la retina, i coni e i bastoncelli vengono attivati: sono strutture biologiche altamente specializzate che dapprima captano la luce e poi la trasformano in impulsi elettrici (interagendo con altre importanti cellule nervose della retina), che viaggiano attraverso il nervo ottico fino alla corteccia cerebrale.

Quanti sono i fotorecettori?

I coni sono 5-7 milioni e sono responsabili della visione centrale e dei colori, concentrandosi nell’area retinica centrale (fovea, il centro della macula).

I bastoncelli, invece, sono compresi tra i 100 e i 130 milioni circa, sono specializzati nella visione periferica a bassa luminosità: basta un solo fotone per eccitare un singolo bastoncello, mentre ce ne vogliono un centinaio per attivare un cono. I neuroni retinici umani formano una rete funzionale che permette un’ampia elaborazione parallela degli stimoli visivi e rende possibile ottenere differenti tipi d’informazione in base alle risposte dei fotorecettori alla luce. Tali informazioni giungono infine alla corteccia cerebrale, ove avviene la maggior parte dell’elaborazione degli input visivi (in particolare nella corteccia occipitale).

La retina quant’è grande?

Ricopre indicativamente un’area di 2.500 mm2. Il suo spessore oscilla tra i 100 e i 230 micron, ma in genere è di circa 120 micron (ossia 0,12 decimi di millimetro).

Come si osserva?

È possibile osservarla con l’esame del fondo oculare, che deve essere effettuato da un oculista. Dopo aver instillato un collirio per dilatare la pupilla (midriatico), lo specialista, attraverso l’utilizzo di apposite lenti ingrandenti e mediante un sistema di illuminazione, è in grado di esplorare perfettamente la superficie retinica. In primis osserva la parte centrale, con particolare attenzione nei riguardi della macula e dei vasi retinici (studiandone il decorso e le dimensioni); dopodiché passa all’osservazione della media ed estrema periferia, per essere certo che non ci siano alterazione anatomiche retiniche in queste zone (assottigliamento, degenerazioni, fori, ecc.).

Che sintomi dà una malattia retinica?

Alterazioni retiniche possono provocare numerosissimi sintomi, diversi per intensità e precocità (in base alla localizzazione ed estensione dell’area coinvolta), che molto spesso però non coinvolgono prettamente o, comunque, esclusivamente la retina. I sintomi più frequenti sono, nelle patologie retiniche centrali, un calo della vista, la distorsione delle immagini (metamorfopsie), un’anomala percezione dei colori e la comparsa di una macchia scura centrale (scotoma).

Un quadro elementare ma completo della patologia retinica distingue tre grandi classi:
1) distacco di retina;
2) retinopatie acquisite e legate a malattie sistemiche;
3) corioretinopatie ereditarie.

Dal punto di vista topografico vengono, invece, distinte:

a) le maculopatie, quando l’interessamento del polo posteriore domina il quadro clinico e sintomatologico;
b) le retinopatie diffuse o periferiche, quando gli elementi patologici di maggior rilievo interessano l’intera retina o la sua periferia.

La retina è l’unica parte visibile del sistema nervoso e del sistema cardiovascolare. Quindi permette di osservare gli effetti di molte patologie: dall’ipertensione fino al diabete.

Cosa sono le maculopatie?

 

Sono malattie che colpiscono la zona centrale della retina. Tra queste ricordiamo la degenerazione maculare legata all’età, la retinopatia miopica e la retinopatia diabetica. Esse danno spesso sintomi caratteristici, tra cui la compromissione della visione centrale (scotoma), la visione distorta delle immagini (metamorfopsie) e, talvolta, le immagini appaiono più grandi o più piccole del normale (micropsie e macropsie).

Cosa sono le retinopatie periferiche?

 

Le retinopatie periferiche – tra cui ricordiamo l’amaurosi congenita di Leber, la retinite pigmentosa e le forme correlate – sono caratterizzate da un processo degenerativo che inizia principalmente a livello dei bastoncelli, per cui il sintomo comune iniziale è tipicamente la difficoltà di vedere bene la sera o, comunque, in condizioni di scarsa illuminazione (emeralopia). Vanno, infine, menzionate le maculopatie causate da certi farmaci [1] e le maculopatie fototraumatiche (danno da esposizione a luce intensa: vedi: proteggere gli occhi dal sole).

Come si possono curare le malattie retiniche?

Il trattamento varia a seconda dalla patologia retinica e della sua causa. In caso di distacco di retina regmatogeno o trazionale il trattamento è esclusivamente chirurgico; nel distacco di retina essudativo, invece, si può beneficiare di una terapia sia medica che chirurgica.

Le retinopatie acquisite vengono distinte in patologie retiniche vascolari, infiammatorie, degenerative e retinopatie associate a malattie generali (sistemiche). Spesso si verificano sovrapposizioni tra le varie categorie, come avviene fra retinopatie vascolari e quelle associate a patologie sistemiche quali il diabete (vedi retinopatia diabetica) e l’ipertensione (vedi retinopatia ipertensiva). In questi casi, quando possibile, va trattata innanzitutto la patologia di base ricorrendo a terapia medica.

In seconda istanza il trattamento può variare: si può ricorrere al laser per aree di ischemia retinica, come nella retinopatia diabetica proliferante e in alcune occlusioni vascolari retiniche o a iniezioni intravitreali nel caso di complicanze edematose; iniezioni intravitreali di anti-VEGF nella degenerazione maculare legata all’età essudativa o nella maculopatia miopica essudativa; chirurgia per il foro maculare miopico o idiopatico oppure per il pucker maculare.

Le corioretinopatie ereditarie sono forme degenerative a carattere familiare. Tra le forme più comuni ricordiamo la retinite pigmentosa, l’amaurosi congenita di Leber, la malattia di Best (degenerazione vitelliforme della macula), la malattia di Stargardt (degenerazione giovanile della macula), la coroideremia. Per tali malati il futuro delle cure potrebbe risiedere nelle cellule staminali e nella terapia genica. In alcuni malati che hanno perso la vista a causa della retinite pigmentosa sono state impiantate protesi retiniche artificiali (i cosiddetti “occhi bionici”).

[1Ad esempio principi attivi quali clorochina e idrossiclorochina utilizzati in caso di malaria, ma anche nell’artrite reumatoide e lupus eritematoso sistemico (LES); tioridazina e clorpromazina assunti dai pazienti schizofrenici; metossiflurano, farmaco anestetico; tamoxifene, usato nel carcinoma della mammella.


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Pagina pubblicata il 14 novembre 2013. Ultimo aggiornamento: 24 gennaio 2019.

Ultima revisione scientifica: 27 gennaio 2017.

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Nervo ottico

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Nervo ottico

Cos’è?

Il nervo ottico è uno dei dodici nervi cranici. Appartiene al sistema nervoso centrale. Si tratta di un prolungamento Vie ottiche principali (tra cui il nervo ottico)delle terminazioni nervose dei fotorecettori della retina: tali cellule trasformano le immagini in impulsi elettrici, che vengono trasmessi al cervello tramite i nervi ottici (simili a dei cavetti che trasportano la corrente). Dopo circa cinque centimetri i nervi provenienti dai due occhi si incrociano e si suddividono: comincia un tratto chiamato “chiasma”.

Com’è fatto?

Il nervo ottico è avvolto dalle meningi che proteggono anche l’intero cervello (sono composte da tre strati: dura madre, aracnoide e pia madre). È simile a un cavo elettrico costituito da tanti fili al proprio interno, ciascuno dei quali è protetto da una guaina chiamata “mielina”. Ogni singola fibra (che si potrebbe paragonare a un filo di rame) corrisponde a una piccola zona della retina, mentre ogni fascio corrisponde a un’intera area retinica. Le fibre che si trovano al centro del nervo ottico trasportano i segnali bioelettrici provenienti dalla macula, la zona centrale e quella più sensibile. Questa organizzazione si mantiene sino alla corteccia cerebrale occipitale ossia all’area del cervello deputata all’interpretazione dei segnali visivi che si trova sopra alla nuca (ma sono coinvolte anche aree corticali parietali).

Qual è il percorso del nervo ottico?

Inizia nel bulbo oculare (porzione intrabulbare), continua nell’orbita (porzione intraorbitaria), da cui esce attraverso il canale ottico (porzione intracanicolare) giungendo, infine, al chiasma ottico (porzione intracranica).

Quali sono gli esami principali per studiarlo?

Gli esami strumentali permettono di studiare il nervo ottico sia osservando la sua morfologia (grazie a tecniche di imaging come la risonanza magnetica), sia di valutarne la funzionalità (esami elettrofunzionali e campo visivo). Possiamo studiare la parte visibile del nervo ottico (papilla ottica) direttamente – attraverso l’esame del fondo oculare – oppure mediante HRT (tomografia laser per l’esame delle fibre del nervo ottico). Inoltre, le fibre nervose che costituiscono la papilla ottica possono essere esaminate mediante l’OCT. La risonanza magnetica (RM), invece, ci consente di seguire e visualizzare il nervo nel suo percorso interno alla testa (tratto intracranico).

Testa del nervo ottico (papilla ottica)
Testa del nervo ottico (papilla ottica)

Gli esami elettrofunzionali (in particolare i potenziali evocativi visivi o PEV) consentono di studiare l’attività bioelettrica del nervo ottico e della retina.

Un altro esame, il campo visivo, ci permette poi di sapere che tipo di danni si siano verificati. La capacità visiva dipende dalla funzionalità dell’occhio stesso, dal sistema di conduzione del segnale tra quest’ultimo e il cervello nonché dall’elaborazione della corteccia cerebrale. L’analisi del campo visivo ci permette di vedere a che punto sia l’eventuale deficit nelle vie che portano il segnale dell’occhio alle aree deputate all’elaborazione delle informazioni visive.

Cosa succede quando c’è un’alterazione del nervo ottico?

Si ha una riduzione dell’acuità visiva sia per lontano che per vicino (sintomo frequente in molte altre malattie). Si ha una ridotta capacità della pupilla a reagire alla luce contraendosi (alterazione del riflesso pupillare). La visione dei colori è alterata, specialmente per tinte come il rosso, il verde e una combinazione dei due: un test molto facile per evidenziare difetti da un solo occhio è quello di osservare un oggetto rosso con un occhio per volta, confrontando la percezione del colore.

Anche la riduzione della sensibilità luminosa – come la sensibilità al contrasto – si riduce in caso di sofferenza del nervo ottico. I difetti del campo visivo sono vari e possono andare da una generalizzata depressione del campo visivo centrale ad aree di non visione. Comunque, l’esame del campo visivo permette di evidenziare in maniera molto precisa le alterazioni del nervo ottico.

Quali sono le principali patologie del nervo ottico?

Sono molteplici e, se non trattate tempestivamente, possono portare a cecità. Si distinguono in acquisite e congenite. Le cause sono varie: patologie metaboliche, infettive, tossiche, dovute a malattie demielinizzanti (che danneggiano il rivestimento esterno dei nervi), autoimmuni (il sistema immunitario attacca il proprio corpo), vascolari (infarti, compressioni aneurismatiche) e dovute a farmaci.

Le infiammazioni del nervo ottico si dividono in neuriti ottiche anteriori o retrobulbari. Queste ultime hanno l’aspetto della papilla ottica inizialmente normale (esame del fondo dell’occhio negativo) e nell’adulto si associano spesso alla sclerosi multipla; ciò può essere dovuto a cause metaboliche come l’intossicazione da alcol e tabacco (che causa un ridotto apporto di vitamine del complesso B). Test bicromatico (rosso-verde)
Le neuropatie ottiche anteriori di origine non arteritica possono essere considerate un infarto totale o parziale della papilla ottica. Fondamentale, per la preservazione delle vista, è riconoscere la forma arteritica della neuropatia ottica anteriore (dovuta a un’arterite a cellule giganti). Questa malattia colpisce i pazienti con età superiore ai 65 anni, è associata a dolore alla masticazione, aumento della Ves e PCR; porta a cecità se non trattata, oltre a un coinvolgimento dell’altro occhio in misura compresa tra il 30 e il 50%.

Il papilledema è una condizione in cui entrambi i nervi ottici appaiono rigonfi a causa di un’aumentata pressione all’interno del cervello (dovuta, per esempio, a tumori ed emorragie). Si tratta di una patologia che colpisce il nervo ottico a causa dell’aumento della pressione non celebrale, ma dell’occhio: è il glaucoma, che comporta caratteristici deficit del campo visivo e un tipico aspetto della papilla ottica, che accresce la sua normale caratteristica a forma di coppa. L’escavazione aumenta in ragione della progressione della patologia.

Cos’è l’atrofia ottica?

L’atrofia ottica è un segno importante di malattia del nervo ottico in fase avanzata o di patologie delle vie ottiche. Ad esempio, il glaucoma in fase terminale è caratterizzato proprio dall’atrofia ottica.

Si può rigenerare il nervo ottico?

Allo stato attuale delle ricerche non si può rigenerare una volta che è stato lesionato. Tuttavia sono in corso diversi studi che, in futuro, potrebbero avere sviluppi positivi.

In sintesi gli approcci adottati dai ricercatori a livello sperimentale – generalmente consistenti in test condotti su cavie animali – sono: 1) massimizzare il potenziale intrinseco della capacità di crescita delle cellule ganglionari retiniche; 2) disattivare i fattori inibitori estrinseci che ne impediscono la rigenerazione; 3) ottimizzare la connessione degli assoni rigenerati (reinnervazione). [1]

Ci sono esempi, nel regno animale, di rigenerazione del nervo ottico (in particolare vengono studiati i pesci zebra). Tuttavia nell’uomo non si è ancora ottenuto alcun risultato analogo. [2]

[1Per una rassegna retrospettiva degli studi si veda la seguente pubblicazione: Chun BY, Cestari DM, “Advances in experimental optic nerve regeneration“, Curr Opin Ophthalmol. 2017 Nov;28(6):558-563. doi: 10.1097/ICU.0000000000000417

[2Si legga, ad esempio, Madelaine R, Mourrain P, “Endogenous retinal neural stem cell reprogramming for neuronal regeneration“, Neural Regen Res. 2017 Nov;12(11):1765-1767. doi: 10.4103/1673-5374.219028

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Pagina pubblicata il 23 gennaio 2009. Ultimo aggiornamento: 28 gennaio 2019.

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Macula

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Macula

Cos’è?

La macula è una piccola zona della retina, ma sicuramente la più importante. Posta in una posizione centrale, vicina alla papilla ottica (che è l’origine del nervo ottico), è ben visibile all’esame del fondo oculare che si esegue con l’oftalmoscopio. Ha un diametro di circa mezzo centimetro, ma al centro presenta una depressione detta fovea (che misura circa 1,5 mm). La sua caratteristica è quella di non avere vasi sanguigni che verrebbero ad ostacolare il passaggio e la captazione della luce; si tratta però di una zona estremamente delicata e facilmente aggredibile da fenomeni patologici e degenerativi.

A cosa serve?

A livello della macula si forma l’immagine dell’oggetto che si fissa. Per questo motivo essa rappresenta la regione che è in grado di fornire una visione chiara, distinta e particolareggiata degli oggetti: è importante per lo svolgimento di molte attività quotidiane, ad esempio la lettura, la scrittura, la guida, il riconoscimento dei volti. La regione maculare è caratterizzata da un’alta densità di fotorecettori (in particolare coni) che contengono al loro interno un pigmento visivo che cattura i fotoni. Il loro compito è quello di trasformare l’energia luminosa in stimoli elettrici che vengono trasmessi alla corteccia cerebrale attraverso il nervo ottico.

Come funziona?

Quando fissiamo un oggetto percepiamo i fotoni emessi o riflessi; essi, dopo aver attraversato la pupilla, vengono captati dai coni della macula. A loro volta questi ultimi sono in rapporto con una serie di cellule nervose presenti negli altri strati retinici e i segnali bioelettrici vengono trasmessi lungo le vie ottiche. In questo modo le fibre nervose raggiungono la zona del sistema nervoso centrale deputata a convertire in immagini codificabili gli stimoli luminosi provenienti dalla retina. Macula colpita da un raggio di luce (Immagine: Lund University)Tale area si trova principalmente nella parte posteriore della corteccia cerebrale (area occipitale) e ai lati del cervello (zona temporale).

Quali sono le cause delle patologie maculari?

Le cause certe della degenerazione del tessuto maculare non sono ancora chiare. Tuttavia si sa che influiscono fattori genetici, gli stili di vita e alcuni fattori metabolici. Sono stati individuati, in particolare, fattori di rischio quali il fumo di sigaretta (che può provocare la degenerazione maculare legata all’età) e l’ipertensione arteriosa. Inoltre, l’esposizione prolungata ad una intensa luce solare può aumentare il rischio di maculopatia, così come una riduzione nel sangue di sostanze nutrienti con funzione antiossidante.

Quali sono le patologie della macula?

Le patologie che colpiscono la macula sono molteplici. Quella più frequente, principale causa di cecità legale nei Paesi industrializzati, è la degenerazione maculare legata all’età. Si tratta di una malattia cronica che può colpire soprattutto dopo i 55 anni d’età; la sua frequenza aumenta nelle fasce d’età più avanzate. Ha un andamento progressivo e può portare alla perdita completa e irreversibile della visione centrale. Altre forme, meno frequenti, di degenerazione maculare possono essere causate da malattie che riguardano anche pazienti con meno di 55 anni, come la miopia patologica (vedi retinopatia miopica), forme infiammatorie (uveiti, in particolare quelle posteriori), infettive (corioretinite da toxoplasma), traumatiche (foro maculare), ereditarie (quali malattia di Stargardt, retinite pigmentosa nelle fasi tardive e malattia di Best) e idiopatiche (foro maculare senza una causa apparente).

La macula può essere coinvolta ancheFondo oculare in malattie sistemiche quali il diabete. Infatti nella retinopatia diabetica si possono creare trazioni retiniche dovute a membrane (sopra la retina), fenomeni ischemici (dovuti a riduzione o interruzione dell’apporto di ossigeno alle cellule retiniche) a causa della microangiopatia diabetica o dell’edema maculare cistoide, la causa più rilevante di perdita dell’acuità visiva causata dal diabete. Un coinvolgimento maculare si può verificare nelle persone ansiose e frequentemente sottoposte a stress di vario genere (come nella corioretinopatia sierosa centrale). Esistono, inoltre, alcuni farmaci (ad esempio la clorochina) o sostanze chimiche di diversa natura che, se somministrate in eccesso, possono portare a gravi quadri di maculopatia, talvolta con una rilevante diminuzione della vista.

Quali sono i sintomi di una malattia della macula?

Principalmente una deformazione centrale dell’immagine (metamorfopsia), che viene rilevata attraverso un sistema molto semplice, ossia col test di Amsler. Si tratta di una semplice griglia su sfondo nero o bianco, che consente di notare se le righeTest di Amsler rette perpendicolari tra loro divengano curve in prossimità del centro. Nel caso in cui si abbia una zona centrale di non visione (scotoma), non si riesce a vedere un punto nero posto al centro della griglia. Alcune persone con maculopatia riferiscono, invece, una macchia grigiastra che copre ciò che si fissa.

Come viene esaminata la macula?

Il primo esame che si può effettuare per analizzare la macula è l’esame del fondo oculare: dopo aver ottenuto la dilatazione della pupilla tramite l’instillazione di un farmaco midriatico, si usa l’oftalmoscopio.

Con quali esami strumentali viene studiata la macula?

Foro maculare della retina (Immagine ottenuta con OCT) Tra gli esami strumentali sicuramente quello più specifico ed importante per analizzare nei minimi particolari la macula è l’ OCT (tomografia a coerenza ottica). Si tratta di uno strumento non invasivo, il cui funzionamento si basa su un raggio laser ad infrarossi. Si effettua senza mezzo di contrasto, è preciso, ben tollerato e ripetibile. Si ottengono immagini in sezione della retina, mettendo in evidenza i diversi strati a livello microscopico.

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Pagina pubblicata il 15 febbraio 2011. Ultimo aggiornamento: 4 aprile 2018. 

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Iride

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Iride

(anatomia, patologie e difetti)

Cos’è?

È la sottile membrana che determina il colore dei nostri occhi. La parola “iride” deriva dal Latino iris, che significa “arcobaleno”.

A cosa serve?

IrideL’iride si comporta esattamente come il diaframma di una macchina fotografica; non ha solo una funzione estetica, ma ha lo specifico compito di dosare la quantità di luce che penetra all’interno dei nostri occhi, regolando l’ampiezza della pupilla in base alla luminosità dell’ambiente circostante.

Da cosa dipendono il suo colore e la sua forma?

Il colore dell’iride è trasmesso geneticamente. Il suo aspetto, per quel che concerne la superficie anteriore, è irregolare per la presenza di pliche e di “solchi di contrazione”; queste caratteristiche sono attribuibili alle continue sollecitazioni dovute alla dilatazione o alla contrazione della pupilla; di contro, la faccia posteriore è caratterizzata da una lamina uniforme color marrone scuro.

Com’è fatta?

Il muscolo sfintere dell’iride è piatto e di forma anulare, occupa la porzione centrale delimitando la pupilla; la sua innervazione è regolata dalle fibre parasimpatiche del terzo paio dei nervi cranici, mentre sono simpatiche quelle del muscolo dilatatore. Il circolo arterioso trova origine dalle arterie ciliari posteriori lunghe, mentre il sangue venoso defluisce nelle vene vorticose.

A quali malattie o difetti è soggetta?

– In caso di uveiti non è raro riscontrare l’iridociclite: si tratta cioè di un’infiammazione a carico dell’iride che può determinare delle aderenze con il cristallino contemporaneamente a precipitati corneali. Tutto questo è caratterizzato da una intensa fotofobia, dolore oculare e calo del visus.
– Il coloboma è un difetto congenito caratterizzato dall’assenza di una porzione di iride. Può anche essere la conseguenza di una procedura chirurgica che prevede l’asportazione di una sezione dal bordo pupillare alla radice dell’iride, creando una pupilla a forma di “buco della serratura”. In generale colobomi ampi possono dar luogo al fenomeno della diplopia monoculare (visione doppia degli oggetti da un occhio solo).
L’iride a plateau è un difetto dovuto alla conformazione prominente alla periferia dell’iride che, occludendo il trabecolato, può provocare un glaucoma acuto ad angolo chiuso quando la pupilla è dilatata.
L’iride a bandiera è una sindrome intraoperatoria che si può manifestare durante la chirurgia della cataratta (mediante una tecnica di frantumazione del cristallino che prevede l’impiego di ultrasuoni ovvero la facoemulsificazione); nei pazienti trattati con alfa1-bloccanti (presenti in farmaci indicati per il trattamento dell’iperplasia prostatica benigna), per i quali è indicata la sospensione della terapia almeno due giorni prima dell’intervento. L’iride ondeggia come una bandiera durante la fase di asportazione della cataratta , in particolare quando si effettua con tecnica di facoemulsificazione. Inoltre, si può manifestare un progressivo restringimento della pupilla, che rende difficoltoso l’intervento di cataratta e – in alcuni casi – una porzione iridea può uscire dalle incisioni effettuate per l’ingresso dei ferri chirurgici nell’occhio (prolasso irideo).

Quali sono i trattamenti chirurgici e parachirurgici possibili?

In condizioni d’ipertensione oculare (vedi glaucoma) i trattamenti che vengono eseguiti sull’iride hanno lo scopo di abbassare la pressione facilitando il deflusso dell’umore acqueo.

Le tecniche sono fondamentalmente due:
1) l’iridectomia: consiste nell’ asportazione, con speciali forbicine, di una porzione iridea a livello della sua radice;
2) iridotomia laser, grazie alla quale viene praticato un forellino alla base dell’iride mediante un raggio di luce coerente.

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Pagina pubblicata il 5 marzo 2009. Ultimo aggiornamento: 23 agosto 2016. 

Ultima revisione scientifica: 6 luglio 2016.


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Fotorecettori (coni e bastoncelli della retina)

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Fotorecettori (coni e bastoncelli della retina)

Cosa sono?

I fotorecettori sono cellule nervose sensibili alla luce: si trovano sulla retina e sono altamente specializzati. Sono contenuti nello strato retinico più profondo, aI fotorecettori si distinguono in bastoncelli (a sinistra) e coni (a destra)Fonte: Summagallicana) contatto con l’epitelio pigmentato.

Quali sono?

Esistono due tipi di fotorecettori: i coni e i bastoncelli.

I primi sono localizzati nella parte centrale della retina (fovea) e sono deputati alla percezione dei colori (funzione fotopica) e alla visione distinta. Esistono tre tipi di coni, rispettivamente per il rosso, il verde e il blu; mediamente sono 6,3-6,4 milioni.

I bastoncelli, invece, si concentrano nella zona periferica della retina, sono assai più numerosi (mediamente 120 milioni) e intervengono nella visione notturna (funzione scotopica). Questi ultimi, infatti, sono più sensibili: basta un solo fotone per attivarli, mentre per attivare i coni ce ne vogliono almeno 100. Tuttavia in uno studio pubblicato all’inizio del 2014 [1] si sostiene che i coni accoppiati tra loro sono molto più sensibili: se sono appaiati si comportano in modo più simile ai bastoncelli.

Come si presentano?

I coni e i bastoncelli sono disposti perpendicolarmente alla superficie retinica. Per entrambi si può distinguere al microscopio una porzione esterna (articolo esterno) e una porzione interna (articolo interno). Essi si differenziano perché, per quanto riguarda i bastoncelli, il segmento esterno ha forma cilindrica e allungata, mentre quello dei coni è piramidale e più corto. Il segmento esterno contiene membrane specializzate in cui si trovano pigmenti fotosensibili. Nel segmento interno sono presenti il nucleo e i mitocondri cellulari, che producono nuove molecole di pigmento man mano che vengono scisse. I fotorecettori interagiscono, attraverso i collegamenti sinaptici (tipici delle cellule nervose), con le cellule bipolari.

Come funzionano?

I fotorecettori retinici sono deputati alla trasformazione dello stimolo luminoso in stimolo elettrico e alla sua trasmissione fino all’encefalo attraverso il nervo ottico. Infatti, i coni e i bastoncelli contengono pigmenti che, per effetto delle radiazioni luminose, subiscono trasformazioni biochimiche dalle quali si origina l’impulso nervoso. Tale impulso viene trasmesso alle cellule retiniche contigue (bipolari e ganglionari), i cui assoni costituiscono le fibre del nervo ottico, fino ad arrivare a centri specializzati della corteccia cerebrale (l’area visiva). Rosso, verde e blu (RGB) generano una luce bianca quando si sovrappongono

Come si percepiscono i colori e le forme?

La visione tricromatica (capacità dell’essere umano di vedere tre colori) è data dalla presenza nella retina dei coni dotati di pigmenti sensibili a tre differenti lunghezze d’onda. In essi, infatti, sono presenti tre tipi di proteine (opsine) che corrispondono rispettivamente ai colori blu, verde e rosso. La massima sensibilità dei coni sensibili al blu è di 440 nanometri, 540 nm per quelli che percepiscono il verde e 570 nm per i coni sensibili al rosso. Invece i bastoncelli consentono solamente la percezione in bianco e nero (scala di grigi).

Come avviene la visione notturna?

La visione notturna è conferita da un pigmento chiamato rodopsina presente nei bastoncelli. Tale proteina è inattivata dalla luce, ma si riforma in condizioni di oscurità. Infatti, quando si passa direttamente da una condizione di forte luce a una di buio è necessario aspettare un po’ (qualche secondo) prima di riuscire a vedere, proprio in attesaLa luce colpisce il centro della retina chiamato macula (Immagine: Lund University) che si riformi la rodopsina precedentemente inattivata dalle condizioni di luminosità.

Come si attivano i fotorecettori?

L’assorbimento della luce provoca una variazione tridimensionale della molecola (pigmento fotosensibile) che, a sua volta, causa un’iperpolarizzazione del potenziale di membrana del fotorecettore (il quale è alla base dell’attività della cellula nervosa [2]). Pertanto, a differenza di quanto accade per la maggior parte dei fotorecettori, che rispondono allo stimolo emettendo un segnale, i fotorecettori sono attivi in sua assenza.

Quali malattie possono colpirli?

Le patologie eredodegenerative, tipo la distrofia dei coni e dei bastoncelli, appartengono al gruppo delle retiniti pigmentose. Però, a differenza della classica retinite pigmentosa (dovuta ad una primitiva perdita dei bastoncelli seguita da quella dei coni), nelle distrofie dei coni e dei bastoncelli la degenerazione colpisce i due tipi di fotorecettori secondo un ordine inverso (prima i coni, poi i bastoncelli). Si tratta, comunque, di forme degenerative a carattere familiare la cui sintomatologia inizia, generalmente, nell’infanzia o nell’adolescenza, sebbene esistano varianti che si manifestano più tardivamente (ad esempio a partire dai 50 anni).

Cosa accade quando si danneggiano?

Se i coni non funzionano bene (ad esempio in caso di distrofia) si ha una ridotta acuità visiva, nistagmo (movimento involontario degli occhi), fotofobia (intolleranza alla luce) e poca o nessuna percezione dei colori. Nel caso della distrofia dei bastoncelli si ha una progressiva perdita della visione periferica fino alla cecità notturna.

 

Come si esegue la diagnosi?

La diagnosi si basa sulla storia clinica, sull’esame del fondo oculare sull’elettroretinogramma (ERG). All’esame del fondo oculare si osserva la presenza di depositi di pigmento sulla retina, soprattutto nella regione della macula. L’esame strumentale che permette di eseguire una diagnosi è l’ERG fotopico che, in caso di distrofia dei coni, risulta essere anormale; l’ERG scotopico è, invece, alterato o assente in caso di distrofia dei bastoncelli.

È possibile una diagnosi prenatale?

La diagnosi molecolare è prevista per alcuni geni. In ogni caso, la consulenza genetica è sempre indicata nel momento in cui ci sono altri casi in famiglia.

Si possono curare?

Al momento non esistono terapie in grado di curare definitivamente la distrofia dei coni o/e dei bastoncelli. La terapia ha, comunque, lo scopo di rallentare il processo degenerativo, trattare le eventuali complicanze e aiutare i malati a far fronte all’impatto psico-sociale della cecità attraverso i centri di riabilitazione dotati di validi ausili (quali, ad esempio, filtri adatti, lenti protettive e ausili ingrandenti adatti alle singole attività).

 

[1Sabrina Asteriti, Claudia Gargini, Lorenzo Cangiano, “Mouse rods signal through gap junctions with cones”, eLIFE, 7 gennaio 2014

[2Il potenziale di membrana è dato dalla differenza tra il potenziale elettrico extracellulare e quello interno alla cellula, dovuta a una diversa concentrazione di ioni.

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Pagina pubblicata il 1 aprile 2010. Ultimo aggiornamento: 4 aprile 2018.

Ultima revisione scientifica: 1 agosto 2016.

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Cristallino

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Cristallino

Cos’è?

Dobbiamo immaginare il cristallino come una lente discoidale (a forma di mandorla), trasparente, posizionata tra l’iride e il corpo vitreo, ancorata al corpo ciliare mediante legamenti: si trova in sospensione e viene “automaticamente“ deformata per regolare la messa a fuoco. Si tratta di una struttura che non è provvista né di nervi né di vasi sanguigni o linfatici (pertanto alla sua nutrizione provvede l’umor acqueo).

Come funziona?

La luce che attraversa la cornea e la pupilla passa attraverso il cristallino. Quest’ultimo funziona, quindi, come una lente biconvessa (perché ha entrambe la facce curve): fa convergere i raggi luminosi che provengono dall’ambiente esterno direttamente sulla retina, consentendoci una visione chiara e nitida quando la messa a fuoco è ottimale.

Come si mette a fuoco?

Quando l’oggetto osservato è molto vicino i muscoli ciliari si contraggono, i legamenti sospensori si rilasciano e aumenta, di conseguenza, la curvatura del cristallino. Al contrario, quando l’occhio guarda oggetti distanti i muscoli sono rilassati e i legamenti sospensori sono in tensione; ciò si traduce in una diminuzione della curvatura della lente, che tende ad appiattirsi. Quindi, il cristallino ha la capacità di variare il suo potere refrattivo modificando la curvatura: consente di mettere a fuoco sulla retina oggetti posti a distanze differenti.

Da cosa è costituito?

Da fibre collagene: sono disposte in modo regolare parallelamente tra loro, il che normalmente conferisce al cristallino la sua caratteristica trasparenza. Tali fibre sono contenute all’interno di una membrana trasparente chiamata “capsula” o “cristalloide” (metaforicamente è come se fosse il guscio di una mandorla).

A quali problemi può andare incontro il cristallino?

Nel corso degli anni avviene un fisiologico e progressivo accumulo di pigmento proteico tra le fibre, con il conseguente “ingiallimento” della lente fino alla cataratta, che rappresenta la sua patologia più comune.

Ci sono diversi tipi di cataratta?

Sì, a seconda della zona che si opacizza si possono avere diversi tipi di cataratta.
Le tre forme più frequenti sono:

 1) cataratta nucleare (opacizzazione della zona centrale del cristallino);

 2) cataratta corticale (opacizzazione della zona superficiale);

 3) cataratta sottocapsulare posteriore (opacizzazione della parte del cristallino più lontana dalla pupilla).

Come si possono curare i problemi visivi dovuti alla cataratta?

 Generalmente bisogna sottoporsi a un’operazione chirurgica. L’operazione di cataratta è l’intervento chirurgico in assoluto più eseguito al mondo. Un intervento chirurgico può essere necessario anche se si verificano dislocazioni ed alterazioni della forma del cristallino.

Cos’è il cristallino artificiale?

Si tratta di una piccola lente fatta con uno speciale materiale plastico trasparente, di solito polimetilmetacrilato. Quando ci si sottopone ad intervento di cataratta viene rimosso il cristallino naturale (che può essere frantumato mediante ultrasuoni), che viene sostituito con un cristallino artificiale. Ciò consente di avere una visione chiara. 

Tuttavia non è sempre sufficiente per ridare la massima acuità visiva; affinché ciò avvenga, occorre che tutte le strutture dell’occhio – innanzitutto retina, nervo ottico e cornea – siano sane e correttamente funzionanti.

Quali sono i tipi di cristallino artificiale?

Esistono diversi tipi di lenti intraoculari che richiedono una attenta selezione da parte del chirurgo in base alle tipologie oculari di ogni paziente e alle sue abitudini di vita/condizioni di lavoro. Esistono, tra l’altro, cristallini artificiali multifocali che permettono di avere una visione sia per lontano che per vicino. Queste nuove lenti sono costruite esattamente con lo stesso materiale delle tradizionali lenti intraoculari monofocali, ma differiscono per l’architettura oltre che per le “prestazioni”. Per quanto riguarda l’architettura della lente, la differenza principale sta nel fatto che la parte ottica di questo cristallino è costituita da diversi anelli concentrici di differente potere che consentono la funzione visiva a distanze diverse; questa lente ha lo scopo di permettere il recupero della visione per le tre distanze (lontano, intermedio e vicino).


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Pagina pubblicata il 9 maggio 2007. Ultimo aggiornamento: 8 agosto 2016.

Ultima revisione scientifica: 11 dicembre 2013.

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Corpo Vitreo

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Corpo Vitreo

Cos’è?

Sostanza gelatinosa, trasparente, che occupa la cavità oculare compresa tra il cristallino e la retina (circa 4 millilitri: costituisce la maggior parte del volume del bulbo oculare). È composto per il 99 per cento d’acqua. Al suo interno ci sono fasci incrociati di sottili fibrille collagene che interagiscono con molecole di acido ialuronico. Sono presenti inoltre, in minima percentuale, potassio, bicarbonati, zucchero e acido ascorbico (vitamina C). Il corpo vitreo aderisce alla retina.

Che caratteristiche ha?

La struttura del corpo vitreo è viscosa, elastica e trasparente. Quest’ultimo aspetto è legato all’elevato contenuto di acqua, mentre l’elasticità e la viscosità sono dovute alla presenza delle fibre proteiche collagene, disposte in una struttura reticolare tridimensionale. Il vitreo è un importante mezzo di refrazione (attraverso di esso passano i fasci luminosi provenienti dal mondo esterno) e contribuisce a mantenere la tensione oculare (pressione dell’occhio).

Quali sono le sue funzioni?

Il corpo vitreo ha essenzialmente due funzioni:
a. strutturale: tiene la retina adesa al fondo oculare;
b. serve a trasportare sostanze nutritive alla retina e da essa.

Quali sono le principali patologie del corpo vitreo?

A causa di vari processi patologici, all’interno del vitreo possono formarsi degli addensamenti chiamati corpi mobili vitreali, responsabili della visione di opacità od ombre scure simili a punti (“mosche volanti”), filamenti o ragnatele.

Cosa sono esattamente i corpi mobili?

Sono ombre scure od opache che si spostano rapidamente con i movimenti dell’occhio, che possono disturbare la visione soprattutto se, spostandosi, si collocano in posizione centrale (tra la pupilla e la macula). Sono percepiti più nettamente quando c’è più luce e sulle superfici chiare: si percepisce l’ombra che gli addensamenti proteici del vitreo proiettano sulla retina stessa.

Come si “curano” i corpi mobili vitreali?

Di per sé non sono trattabili (ad eccezione di un tipo di laser che però presenterebbe elevati rischi). Tuttavia è possibile ridurne la quantità e le dimensioni bevendo molta acqua (almeno 1,5 litri al dì) ed, eventualmente, assumendo integratori specifici (prescritti dall’oculista) per evitare una eccessiva disidratazione del vitreo e la formazione di altri addensamenti. Effettuare visite oculistiche periodiche di controllo con esame del fondo oculare, soprattutto se le ombre aumentano notevolmente di numero o sono accompagnate dalla visione di flash. Di fatto bisogna imparare a convivere col problema, anche se, con il passare del tempo, le ombre appariranno sempre più sbiadite e si percepiranno con minore frequenza, poiché il cervello tenderà ad “annullarle” (a non considerarle più).

Cos’è il distacco posteriore di vitreo?

Il vitreo aderisce intimamente alla retina, soprattutto nella sua porzione posteriore; per varie cause (età, traumi, miopia elevata, ecc.) può distaccarsi e determinare la comparsa improvvisa di un’ombra mobile a forma di anello al centro del campo visivo.
Generalmente è un’affezione benigna che, in alcuni casi, può essere accompagnata da:
1. visione di “lampi” o “flash”, espressione della trazione meccanica che il vitreo esercita sulla retina, determinandone la stimolazione;
2. visione annebbiata per la presenza di una piccola emorragia causata dalla rottura di un vaso durante il distacco del vitreo (il sangue generalmente si riassorbe spontaneamente).



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