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Cos’è la cornea?

La cornea è un tessuto trasparente che riveste la superficie anteriore dell’occhio (è una sorta di piccola cupola che rappresenta la “barriera” esterna del bulbo oculare). Ha uno spessore di poco superiore al mezzo millimetro (520-540 µm). È composta da 5 strati: epitelio, membrana di Bowman, stroma, membrana di Descemet ed endotelio (secondo altre classificazioni ci sarebbero uno-due strati in più). Deve essere considerata la lente naturale più potente.

In condizioni fisiologiche la cornea è trasparente, avascolare, speculare: è priva di vasi sanguigni, permette ai raggi luminosi di penetrare nell’occhio facendoli convergere sulla retina dopo essere passati attraverso il cristallino. Quando la cornea è danneggiata a causa di traumi, infezioni o malattie perde la sua trasparenza: le immagini non sono più nitide e la vista risulta ridotta o compromessa; nei casi estremi si può arrivare alla cecità, ma spesso è possibile intervenire con un trapianto di cornea totale o parziale (cheratoplastica perforante o lamellare), ripristinando così la funzione visiva.

Cosa fare in caso di traumi?

Un’abrasione corneale è una lesione superficiale dovuta al contatto accidentale con polvere, sabbia e altri corpi estranei (ad esempio schegge di legno o di metallo). Quando la cornea è lesa si può avvertire una sensazione di granulosità nell’occhio (da non confondere con la congiuntivite), dolore, arrossamento, bruciore, copiosa lacrimazione, fotofobia, visione offuscata e mal di testa.

La cornea si può “graffiare” durante il trucco, a seguito di un trauma, per l’utilizzo di lenti a contatto o, ripetutamente, nel caso di distrofie corneali. Si tratta di una condizione molto dolorosa, che guarisce di solito nell’arco di pochi giorni, seguendo la terapia adeguata prescritta dall’oculista. Nel caso in cui si abbia il sospetto di essersi accidentalmente provocati un’abrasione corneale, è importante evitare di toccare o sfregare la superficie oculare e lavare l’occhio ripetutamente e con acqua corrente in abbondanza, in modo da eliminare qualsiasi residuo della sostanza entrata in contatto. È sempre consigliabile consultare un medico oculista o recarsi tempestivamente a un pronto soccorso oculistico.

Cosa fare in caso di sensazione di secchezza oculare?

La secchezza oculare può essere provocata da cause diverse: tra i fattori ambientali vanno ricordati la luce del sole molto intensa, i gas di scarico irritanti, l’aria condizionata o il lavoro prolungato allo schermo di un computer (si possono instillare lacrime artificiali per ridurre il problema); tra i farmaci, ricordiamo che l’occhio secco si annovera tra gli effetti collaterali di alcuni antidepressivi e beta-bloccanti. Le donne in menopausa ne soffrono di frequente, dal momento che le variazioni ormonali possono provocare alterazioni del film lacrimale. Anche i portatori di lenti a contatto sono più a rischio perché la cornea riceve un’ossigenazione minore (per questo non bisogna farne un utilizzo troppo prolungato e seguire scrupolosamente le norme d’impiego). Tra le patologie associate va ricordata la sindrome di Sjögren e altre malattie autoimmuni, come ad esempio il lupus eritematoso sistemico, l’artrite reumatoide, la sclerodermia e la tiroidite di Hashimoto.

Quali malattie possono colpirla?

La cornea è protetta da un sottile strato di lacrime (film lacrimale) e dalle palpebre, ma può essere esposta a traumi e lesionata persino dalle ciglia. Tale evenienza si può verificare in caso di entropion, una patologia delle palpebre che comporta la loro rotazione verso l’interno, oppure quando si ha un’anomala crescita cigliare (invece di estendersi verso l’esterno si rivolgono verso la superficie corneale: trichiasi).

La cornea è soggetta ad infezioni (cheratiti) più o meno profonde, che offuscano anche solo parzialmente la vista e che, una volta guarite, possono – in alcuni casi – lasciare lesioni permanenti. Possono avere origine virale, batterica, fungina o protozoaria e vengono curate in modo specifico a seconda della causa (eziologia). Una cicatrice di piccole dimensioni che permane nel tempo come esito di pregressa infezione corneale si definisce nubecola; quando, invece, si evidenzia un’opacità più profonda ed estesa si parla di leucoma. In base alla sede della cicatrice sulla cornea, si ha una riduzione dell’acuità visiva più o meno grave (lo è tanto più quanto maggiormente è centrale perché compromette la zona ottica).

La cornea si può deformare?

Sì, può accadere a causa di alcune malattie. Per ectasie corneali s’intende un gruppo di patologie congenite, a carattere multifattoriale, caratterizzate dall’alterazione della normale curvatura corneale. Le più frequenti sono: il cheratocono, la degenerazione marginale pellucida, la megalocornea e la microcornea. Le distrofie corneali sono un gruppo di disturbi progressivi, solitamente bilaterali (colpiscono entrambi gli occhi), in gran parte geneticamente determinati, di natura non infiammatoria, che causano opacizzazione del tessuto; l’età di presentazione varia a seconda della malattia considerata.

Quali esami permettono di studiarla?

La cornea può essere studiata con maggior attenzione grazie a diversi esami strumentali:

  • pachimetria;
  • topografia;
  • conta endoteliale;
  • microscopia confocale;
  • OCT(del segmento anteriore).


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Pagina pubblicata il 4 maggio 2007. Ultimo aggiornamento: 25 gennaio 2019.

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Congiuntiva

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Congiuntiva

Cos’è?

La congiuntiva è la mucosa trasparente che ricopre la superficie interna delle palpebre e la superficie anteriore del bulbo oculare (“bianco dell’occhio”). Si estende dai margini palpebrali sulla faccia interna delle palpebre (congiuntiva tarsale), poi si piega e riveste i fornici (spazio tra palpebre e bulbo oculare) fino a ricoprire il bulbo oculare (congiuntiva bulbare) tranne che nella porzione corneale, dove non c’è congiuntiva.

La congiuntiva è costituita dall’epitelio (più superficiale), a sua volta composto da diversi strati, e dallo stroma. È poi presente un sistema ghiandolare prevalentemente formato da cellule caliciformi che contengono granuli di mucina e altre ghiandole. La congiuntiva è innervata da filamenti del nervo trigemino. Ha una vascolarizzazione complessa: non solo vi giungono i vasi palpebrali, ma anche quelli muscolari e cigliari anteriori.

A che serve?

La principale funzione della congiuntiva è proteggere esternamente il bulbo oculare, grazie al suo rivestimento. Esistono, inoltre, meccanismi di difesa a livello immunitario mediati dal tessuto congiuntivale.

Cosa bisogna fare se sento gli occhi gonfi e sono molto arrossati?

È molto importante che, ad esempio in presenza dei sintomi di una congiuntivite (come bruciore, prurito, occhio rosso e secrezione), ci rechi a un pronto soccorso o presso un oculista di fiducia. Questo perché le terapie sono differenti a seconda della causa (batterica, virale, allergica) ed eventuali trattamenti fai-da-te errati potrebbero persino determinare complicanze più gravi della malattia.

L’altra causa frequente di occhio rosso è l’emorragia sottocongiuntivale: anche se si vede l’occhio improvvisamente insanguinato senza lesioni esterne, spesso la preoccupazione non corrisponde a un reale pericolo. Di per sé, infatti, non è un fenomeno particolarmente grave per l’occhio: il rossore tende a scomparire spontaneamente in 15 giorni circa. Però è importante controllare la pressione sistemica del sangue arterioso: la causa più frequente di emorragia sottocongiuntivale è l’ipertensione.

Da quali altre malattie può essere colpita la congiuntiva?

Può essere colpita da tumori (come il melanoma): è importante che, in presenza di macchie pigmentate o di neoformazioni, vi rechiate da un oculista per un controllo. Meno gravi sono invece quelle degenerazioni congiuntivali come la pinguecola o lo pterigio, che possono essere causa di arrossamento e fastidio, ma non sono da considerarsi dei tumori. In alcuni casi lo pterigio invade la cornea e determina la necessità di asportarlo chirurgicamente; purtroppo, tuttavia, non è raro che in seguito all’intervento lo pterigio si rigeneri.

Il calazio e l’orzaiolo possono causare una lieve infiammazione della congiuntiva, che il più delle volte guarisce spontaneamente.


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Pagina pubblicata il 11 aprile 2018. Ultimo aggiornamento: 11 aprile 2018.

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Trapianto di cornea

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Trapianto di cornea

Cos’è?

corneaIl trapianto di cornea consiste nella sostituzione della porzione della superficie oculare divenuta opaca con una porzione di eguale grandezza prelevata da un donatore.

Quando si deve ricorrere al trapianto?

Si può ricorrere al trapianto quando le terapie a base di farmaci non consentono più alla cornea di guarire o quando essa si è indebolita troppo e, quindi, rischia una rottura spontanea. Ad esempio, l’intervento chirurgico è necessario quando c’è stato un taglio profondo della superficie oculare posta davanti all’iride, quando questa è stata colpita da un’infezione grave che ha creato ulcerazioni profonde, qualora si fossero verificate causticazioni (provocate da acidi o da altre sostanze chimiche).

Che alterazioni deve aver subito la cornea?

la cornea, quando è in salute, è perfettamente trasparente e non presenta alterazioni morfologiche. Ha la forma di una calotta su cui si può notare il caratteristico riflesso
Il trapianto è necessario quando risulta alterata la struttura microscopica della cornea o il suo metabolismo. Ciò, infatti, si traduce nella perdita (localizzata o diffusa) della sua trasparenza a causa della formazione di tessuto cicatriziale o per la formazione anomala di vasi sanguigni in una zona in cui normalmente sono assenti; oppure si può essere verificata un’alterazione della curvatura della cornea (ad esempio, nel cheratocono compare un’area di suo assottigliamento e sfiancamento).

Quali sono le cause dell’opacità della cornea?

Le cause che possono compromettere definitivamente la trasparenza della cornea sono: infiammazioni, infezioni, cause meccaniche, tossiche o distrofiche (come nel caso del cheratocono). Fondamentale per la trasparenza corneale è la funzione dello strato più profondo (endotelio) che, se danneggiato, non consente più di mantenere entro i limiti fisiologici la quantità di acqua all’interno della cornea che, di conseguenza, si opacizza (causando quello che viene definito “scompenso” corneale). Ciò che avviene è che si inizia a vedere come se si guardasse attraverso un vetro smerigliato.

Quali sono le indicazioni per il trapianto?

Le indicazioni al trapianto di cornea sono ottiche (miglioramento della visione per opacizzazione corneale), ricostruttive (ad esempio, sostituzione di una cornea perforata) o terapeutiche: si ricorre al trapianto quando le terapie farmacologiche non riescono a preservare la funzione corneale.

Quando operare?

La condizione necessaria per effettuare il trapianto di cornea è l’assoluta certezza di avere l’occhio “in quiete”: strati della corneal’eventuale processo infettivo e infiammatorio deve essersi esaurito. Si deve procedere al trapianto quando lo spessore corneale è talmente basso da rischiare una rottura spontanea della cornea e, quindi, un’apertura del bulbo oculare… Attualmente, il rischio di rottura è considerato molto elevato sotto i 100-150 micron. Oggi, con le nuove tecniche lamellari si ricorre all’intervento quando le caratteristiche ottiche sono compromesse o, nel caso del trapianto di endotelio, quando si ha un iniziale èdema corneale (maggiore quantità di acqua all’interno della cornea).

In che misura la cornea deve essere sostituita?

Il trapianto di cornea può consistere nella sostituzione della porzione opacizzata di cornea in tutto il suo spessore (cheratoplastica perforante) o solo di alcuni strati (cheratoplastica lamellare). Oggi si cerca di ricorrere il più possibile al trapianto parziale della cornea per la maggiore velocità di ripresa postoperatoria e per la minore invasività dell’intervento.

Quali sono i vantaggi del trapianto lamellare e quali le sue indicazioni?

Il trapianto lamellare della cornea permette di sostituire solo gli strati patologici con strati equivalenti prelevati da una cornea sana di un donatore. Tale tecnica consente di lasciare in sede gli strati corneali sani. Il trapianto lamellare della cornea consente di ottenere gli stessi risultati del trapianto a tutto spessore, ma con una ripresa funzionale molto più rapida e minori complicanze (si riduce il rigetto immunologico).
Le nuove tecniche possono essere applicate al trattamento delle più comuni malattie della cornea: il cheratocono, le distrofie corneali e le opacità corneali da infezioni virali (erpetiche) oppure batteriche e da traumi.
La possibilità di sostituire solo alcune parti della cornea è data dalla caratteristica della struttura corneale a strati. Questa tecnica permette quindi di sostituire solo gli starti irreversibilmente danneggiati dal processo patologico. Le tecniche definite profonde permettono, in caso di scompenso corneale (in seguito a un altro intervento chirurgico) di poter sostituire solo gli strati profondi della cornea come l’endotelio corneale, spesso responsabile della perdita della trasparenza corneale.

Quando si utilizza il trapianto di cornea a tutto spessore?

cornea artificiale
Il trapianto di cornea a tutto spessore viene definito cheratoplastica perforante e viene utilizzato sempre meno. Rimane l’unica via percorribile per ripristinare la funzione visiva quando la cornea è danneggiata in tutti i suoi strati. Questa tecnica ha dei tempi di recupero molto più lunghi rispetto alla cheratoplastica lamellare. Ciò è dovuto al fatto che il tessuto che viene impiantato non poggia più su un tessuto già presente: è necessario che vi sia una ripresa della forma il più possibile regolare per avere un’efficienza ottica adeguata. I punti che vengono applicati dovranno essere tolti fino a un anno dall’intervento.

Il trapianto di cornea in cosa differisce rispetto ad altri trapianti?

La cornea non è vascolarizzata, per cui non ci sono connessioni sanguigne o linfatiche da ripristinare tra l’organismo e la cornea trapiantata; questo comporta un minore rischio di rigetto e un’elevata compatibilità tra i vari donatori e i riceventi. Inoltre, grazie a queste caratteristiche non è necessaria la terapia immunosoppressiva per i pazienti che dovranno sottoporsi al trapianto di cornea, sia esso lamellare o perforante.

Quali sono le possibilità di successo del trapianto di cornea?

Il trapianto di cornea ha probabilità di successo potenzialmente molto elevate, soprattutto in caso di cheratocono o di altre patologie che non presentano una neovascolarizzazione corneale. Di fondamentale importanza, per il successo del trapianto, è la condizione della parte della cornea su cui inserire il lembo da trapiantare. Infatti, le cornee che presentano vascolarizzazioni anomale o tessuti fibrotici hanno un rischio di rigetto più elevato.

Quali sono le complicazioni?

Cornea artificiale (al computer)
Le complicanze sono di vario genere: si va dal classico rigetto arrivando a quelle di origine traumatica (si può separare il lembo e il ‘letto’ su cui viene innestato), passando per le infezioni (si può riaprire una ferita chirurgica) e problemi refrattivi (come un forte astigmatismo).
Il rigetto è una complicanza di origine immunologica che va trattata precocemente mediante assunzione di farmaci immunosoppressori e cortisonici. Può essere un evento reversibile, ma a volte è necessario effettuare un nuovo trapianto. Di fondamentale importanza, ancora una volta, è ascoltare attentamente le indicazioni del medico oculista, seguendo con precisione la terapia prescritta.

Quanto dura una cornea trapiantata?

In realtà non esiste una durata minima o massima per la cornea trapiantata. Ci sono casi in cui il trapianto non causa problemi o li crea dopo varie decine di anni, mentre in altri si rende necessario un nuovo trapianto in tempi minori. Ciò dipende da un insieme di fattori, tra cui la patologia per la quale si è effettuato il trapianto, lo stato della cornea al momento del trapianto e le condizioni del ricevente.

Quali sono malattie trasmissibili tramite il lembo?

Non vi sono rischi effettivi di contagio, sia per le caratteristiche del tessuto, sia per i controlli che vengono effettuati prima e dopo l’espianto. Queste procedure sono affidate alle banche degli occhi, che sono strutture controllate dal Ministero della Salute, che si occupano della selezione dei donatori, dell’espianto e dell’analisi e della conservazione del lembo. In Italia la disponibilità del lembo è elevata, per cui l’attesa per il trapianto è generalmente contenuta.

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Pagina pubblicata il 9 aprile 2009. Ultimo aggiornamento: 20 ottobre 2016. 

Ultima revisione scientifica: 22 settembre 2016.

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Trabeculectomia

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Trabeculectomia

Cos’è la trabeculectomia?

trabeculectomia
La trabeculectomia è un intervento chirurgico il cui scopo è quello di arrestare il progredire dei danni oculari provocati dal glaucoma, correlati a una pressione oculare elevata. È comunque indispensabile che il medico oculista consultato sia certo che il valore pressorio sia patologico per l’occhio in esame e che, quindi, sia necessario ottenere una sua riduzione (anche con i rischi che il procedimento chirurgico comporta).

Trattandosi, infatti, di un intervento invasivo può essere effettuato solo su persone con diagnosi certa di glaucoma che avessero una ridotta risposta ai farmaci (colliri ipotonizzanti) e/o una scarsa tolleranza nei loro confronti, oppure sui quali non abbia funzionato la parachirurgia laser. Lo scopo della chirurgia è dunque quello di bloccare il deterioramento della funzione visiva, delle fibre del nervo ottico e del campo visivo. Nel momento in cui si ottiene la normalizzazione del tono oculare attraverso l’intervento chirurgico, si osserva, nella maggior parte dei casi, un arresto nella progressione della malattia.

In cosa consiste?

L’intervento di trabeculectomia rientra tra quelli definiti “filtranti protetti”. Viene eseguito solitamente in anestesia locale, e prevede l’asportazione di una piccola porzione profonda di tessuto oculare esterno (limbus corneo-sclerale contenente il trabecolato e il canale di Schlemm) creando una sorta di “sportellino” da cui far defluire l’umor acqueo. 

In pratica, si forma una bozza congiuntivale, più o meno rilevata, detta bozza filtrante, che costituisce una via di deflusso alternativa del liquido all’interno dell’occhio (umore acqueo), consentendo un abbassamento della pressione oculare.

Che problemi si possono presentare?

Gli eventuali insuccessi nella trabeculectomia sono fondamentalmente legati a una cicatrizzazione indesiderata che ostacola il deflusso dell’umor acqueo. Per prevenire questo normale processo, che si manifesta più rapidamente nei giovani o nei diabetici, si utilizzano farmaci quali il 5-fluorouracile (5-FU)e la mitomicina-C,  che inibiscono la proliferazione del tessuto cicatriziale o si procura artificialmente un aumento del deflusso innestando una valvola artificiale. 

Ci possono essere complicazioni?

Ovviamente sì. Si possono distinguere complicanze che avvengono nel corso dell’operazione (intraoperatorie) da quelle successive (postoperatorie). Tra le prime principalmente vanno ricordate le emorragie,  ma possono verificarsi anche: perforazione congiuntivale e/o sclerale, perdita di vitreo, prolasso dell’iride, distacco di coroide. Tra le seconde, invece, si segnalano infezioni, un eccessivo deflusso dell’umor acqueo verso l’esterno, che causa un’importante riduzione della pressione intraoculare (ipotono); si tratta, comunque, di un inconveniente limitato nel tempo e facilmente gestibile.

intervento di trabeculectomia
Inoltre, si può verificare la formazione di aderenze nell’angolo della camera anteriore dell’occhio (goniosinechie) e di anomale dislocazioni dell’umore acqueo appena formato. Infine, è importante ricordare che talvolta le manovre chirurgiche eseguite possono determinare un’opacità del cristallino  (cataratta) per effetti traumatici.

 

 

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Pagina pubblicata il 6 novembre 2013. Ultimo aggiornamento: 4 ottobre 2022. 

Ultima revisione scientifica:  4 ottobre 2022. 

Topografia corneale

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Topografia corneale

Cos’è?

Topografia corneale (malato di cheratocono: la superficie dell'occhio appare deformata nella zona rossa) È un esame diagnostico che consente di studiare la forma della cornea [1] e alcune sue caratteristiche ottiche.

A cosa serve?

La topografia permette di misurare con estrema precisione la curvatura della superficie anteriore della cornea in ogni suo punto. Il risultato dell’esame è una mappatura colorata. Ad ogni colore corrisponde un raggio di curvatura: i colori freddi (tendenti al blu) indicano i punti di cornea più piatti (raggio di curvatura maggiore), mentre quelli caldi (che tendono al rosso) indicano una maggiore curvatura. [2]

Una topografia normale mostra al centro una sorta di immagine a clessidra che indica l’astigmatismo fisiologico; di solito ha colori più caldi rispetto alla periferia, che appare più piatta. Oltre alla scala dei colori, i moderni topografi indicano anche il potere della cornea (quanto riesce a ingrandire un’immagine). Inoltre esistono altri strumenti che studiano la superficie posteriore della cornea e il suo spessore in ogni suo punto.

Come si fa la topografia corneale?

Persona con cheratocono (astigmatismo regolare)Si effettua mediante il topografo corneale. Lo strumento è composto da una parte (il “cheratoscopio”) che proietta sulla cornea una serie di anelli concentrici e legge la riflessione dell’immagine sulla cornea. Un computer elabora quest’immagine e, in base alla distorsione che gli anelli hanno subito, calcola la curvatura. I moderni topografi possono elaborare diverse mappe (tangenziale, assiale, altitudinale, assoluta) che permettono un accurato studio della superficie oculare trasparente. La procedura è analoga a ciò che avviene quando si proietta una diapositiva su una parete: quanto più è irregolare la superficie tanto più l’immagine proiettata apparirà distorta. Ricordiamo che la cornea ha di fatto una forma simile a una calotta sferica.

Come si esegue?

L’esecuzione della topografia corneale è semplice e non invasiva e, tra l’altro, non richiede colliri. Va effettuata almeno 24 ore dopo l’uso di lenti a contatto morbide o 48 ore nel caso in cui si siano portate lenti a contatto rigide: bisogna evitare che la forma della cornea risulti impropriamente alterata. Mentre vengono scattate le fotografie che vengono acquisite dal computer si deve fissare un punto centrale.

In quali casi si ricorre alla topografia?

La topografia si usa quando è necessario ottenere informazioni precise sulla curvatura corneale. È un esame molto importante per valutare la gravità del cheratocono, una malattia oculare che consiste in una deformazione della cornea e consta di quattro stadi. Inoltre, quest’esame è fondamentale per impostare il programma chirurgico in caso di chirurgia refrattiva: occorre per sapere dove e in che misura bisogna agire col laser; inoltre, serve alla valutazione post-operatoria.

Anche nel trapianto di cornea la topografia è necessaria per un miglior posizionamento del lembo corneale (per ottenere il miglior risultato refrattivo); si usano topografi corneali in sede operatoria. Viene usata in contattologia per valutare gli effetti della lente a contatto sulla cornea e per le costruzioni delle lenti a contatto.

[1è un tessuto trasparente che si trova davanti all’iride e costituisce la lente più potente che abbiamo nell’occhio (rappresenta circa il 60% del suo potere refrattivo) Il suo potere medio è più del doppio di una lente di ingrandimento classica.

[2Qualcosa di analogo avviene con la topografia terrestre: mentre il blu (il mare) rappresenta una superficie tendenzialmente piatta, i rilievi tendono al rosso.

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Pagina pubblicata il 17 febbraio 2009. Ultimo aggiornamento: 18 febbraio 2019. 

Ultima revisione scientifica: 17 febbraio 2009.

Tonometria

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Tonometria

Cos’è la tonometria?

Consiste nella misurazione della pressione interna dell’occhio. Si misura in millimetri di mercurio (mmHg).

Cosa accade se la pressione intraoculare è troppo elevata?

Le strutture interne dell’occhio si possono danneggiare. A correre i rischi più elevati è, in ogni caso, il nervo ottico: a lungo andare, se la pressione alta generalmente associata al glaucoma non viene ridotta, la vista diminuisce fino alla cecità. Infatti, se il nervo ottico subisce danni, gli impulsi bioelettrici che partono dalla retina (stimolata dalla luce) non riescono più ad arrivare al cervello [[l’area principale deputata alla visione si trova nella zona occipitale della corteccia cerebrale]].

La pressione intraoculare può essere anche troppo bassa?

Sì, ma è più raro. Può avvenire, ad esempio, come complicanza di un intervento chirurgico (ad esempio del trapianto di cornea oppure in seguito a trabeculectomia, un’operazione a cui si può ricorrere nelle forme di glaucoma che non rispondono all’impiego di farmaci).

Quali tipi di strumento sono più usati per misurare la pressione intraoculare?

1) Tonometro a soffio (non a contatto)

È uno strumento utilizzato per misurare la pressione intraoculare, ma non richiede alcun contatto con la superficie oculare (cornea). È composto da una base, dalla quale viene estratto una sorta di puntatore che viene avvicinato all’occhio della persona a cui si effettua la misurazione: lo sguardo del paziente dovrà essere fisso e gli occhi ben aperti. Quindi dal puntatore viene prodotto un getto d’aria verso l’occhio, che schiaccia leggermente la cornea e un raggio di luce viene riflesso dalla cornea stessa e viene captato da una fotocellula (presente sul puntatore stesso).

Il tempo necessario ad “applanare” la cornea, in funzione della forza del getto d’aria, fornisce i valori della pressione intraoculare, che vengono poi mostrati su uno schermo digitale che si trova sul puntatore stesso. In genere per ottenere valori più precisi vengono effettuate diverse misurazioni, data la possibile variabilità tra una misurazione e l’altra. Il grande vantaggio di questa tecnica è che – non essendoci un contatto diretto con la cornea -; lo strumento può essere usato senza anestesia topica e senza il rischio di trasmettere infezioni oculari: è per questo che risulta di grande utilità per lo screening di massa della pressione intraoculare.

2) Tonometro ad applanazione di Goldmann (a contatto)

È lo strumento più diffuso e più preciso: si compone di un corpo contenente all’interno dei meccanismi simili a quelli di un bilancino. La porzione superiore è invece costituita da una sottile staffa metallica alla cui estremità viene posizionato un cono semitrasparente. Questo cono viene portato dall’oculista a contatto con l’occhio e, in base alla resistenza opposta dalla superficie oculare, si ottiene il valore della pressione intraoculare. Per eseguire questa misurazione è necessario che il paziente sia seduto e posizionato con la faccia alla lampada a fessura, con la fronte ben premuta contro il poggia-fronte e con lo sguardo diretto di fronte a sé. A questo punto va instillata una goccia di anestetico topico nel fornice inferiore; l’occhio deve essere colorato con un liquido giallo (fluoresceina) e il paziente deve ammiccare per diffondere la colorazione. Quindi il cono viene illuminato con luce blu e viene portato avanti fino a toccare l’apice della cornea; l’oculista, ruotando una scala graduata, rileva la pressione intraoculare. Questa tecnica viene applicata, dunque, toccando la superficie oculare; per questo motivo deve essere eseguita soltanto da medici oculisti. È importante che prima di ogni misurazione il cono luminoso venga disinfettato o, se si tratta del monouso, che venga sostituito. Il paziente deve rimanere fisso con lo sguardo e limitare il più possibile il movimento di chiusura delle palpebre per evitare errori nella misurazione. Esistono anche altri strumenti per misurare la pressione intraoculare che sono meno diffusi, utilizzati in particolari condizioni o per finalità di studio scientifico [[Tonometro di Schiotz, Tono-Pen, Pneumotonometro, Tonometro Pascal, Tonometro di Mackay-Marg]].

3) Tonometro a rimbalzo

Nella tonometria a rimbalzo viene utilizzata una sonda molto leggera che entra momentaneamente in contatto con la cornea. Vengono, quindi, analizzati i parametri di movimento della sonda stessa (generalmente una piccolissima asticella plastica tondeggiante a un’estremità). La decelerazione della sonda che si verifica al contatto con la cornea è correlata con la pressione intraoculare. Maggiore è la pressione interna all’occhio, maggiore è il rallentamento della sonda: il bulbo oculare offre una resistenza maggiore. È come se si tirasse un calcio a un pallone: il movimento del piede rallenterà maggiormente se il pallone è più gonfio ossia se la sua pressione interna è maggiore. Inoltre, più elevato è il valore della pressione stessa dell’occhio, più breve è la durata del contatto (e viceversa). I parametri di movimento vengono misurati indirettamente da un sistema a sensori magnetici che utilizza l’induzione prodotta dalla sonda magnetica in movimento. L’energia cinetica totale della sonda è estremamente ridotta, pari a circa un microjoule e solo una minima parte di questa viene assorbita dall’occhio.

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Pagina pubblicata il 16 dicembre 2008. Ultimo aggiornamento: 1 marzo 2018. 

Ultima revisione scientifica: 1 marzo 2018.

Pachimetria

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Pachimetria

Esecuzione dell'esame con pachimetro

Cos’è?

È un test che serve per misurare lo spessore della cornea. La sua misura si indica in millesimi di millimetro (micron, abbreviato con la lettera greca μ). Per avere un’idea lo spessore normale al centro della cornea è di circa 520-540 μ.

Come si esegue?

L’esame si esegue in modo rapido e procura un disagio minimo. A tal fine è necessario instillare una goccia di anestetico nell’occhio da esaminare. In seguito viene applicata una piccola sonda ad alta frequenza (simile a una penna) che sfrutta gli ultrasuoni per effettuare la misurazione.

Quali sono le metodiche?

Quella più diffusa sfrutta le tecniche di ecografia monodimensionale (A-scan), con sonde ad alta frequenza. La seconda tecnica utilizza, invece, formule matematiche applicate alla misurazione dei riflessi di proiezioni luminose sulla superficie anteriore e posteriore della cornea.

A cosa serve?

L’esame viene eseguito in persone affette da glaucoma. Infatti le relazioni tra pachimetria corneale e questa patologia oculare – associata generalmente a una pressione dell’occhio elevata – sono state scoperte dopo che si è diffusa la chirurgia refrattiva.

Prima di eseguire questi interventi è, infatti, necessario eseguire la pachimetria. Essi spesso provocano un assottigliamento della cornea, con una conseguente riduzione della pressione intraoculare.

Eseguendo la pachimetria anche su persone non operate colpite da glaucoma si sono dimostrate in modo inequivocabile due importanti relazioni:

  1. I pazienti con cornea sottile hanno un maggior rischio di sviluppo e progressione di danni glaucomatosi, mentre quelli con una cornea spessa sarebbero più protetti da questo rischio;
  2. Nei pazienti con cornea sottile la misura della pressione oculare risulta minore di quella reale e, viceversa, la pressione appare superiore al vero in persone con una cornea spessa.

Pertanto, in presenza di una cornea sottile si rischia di ignorare (se le misure della pressione oculare sono normali) o sottostimare (se le misure della pressione risultano poco alterate) il principale fattore di rischio associato al glaucoma [[ossia la pressione intraoculare troppo elevata]]. Viceversa, in caso di cornea molto spessa ci si può preoccupare meno anche in presenza di valori pressori lievemente superiori alla norma (generalmente 20 millimetri di mercurio).

Quando si esegue?

L’esecuzione della pachimetria fornisce una misurazione dello spessore corneale che, diversamente dall’esame del campo visivo e di altre misurazioni eseguite per la valutazione del danno glaucomatoso (che può progredire nel tempo), non subisce significative variazioni negli anni. Quindi, nella maggior parte dei casi è sufficiente eseguire la pachimetria corneale una sola volta. Inoltre, questo esame è utile per valutare la superficie e lo spessore della cornea e per studiarla sia prima che dopo gli interventi e durante l’evoluzione di una patologia (tipo il cheratocono). Se vi sono alterazioni dell’endotelio corneale (ad esempio, la cheratopatia bollosa) lo spessore della cornea aumenta notevolmente.

Scheda informativa a cura dell’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità-IAPB Italia onlus 
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Pagina pubblicata il 10 marzo 2009. Ultimo aggiornamento: 25 settembre 2017. 

Ultima revisione scientifica: 4 agosto 2014.

Microperimetria

Riabilitazione presso il Polo Nazionale per la Riabilitazione Visiva: microperimetria

I tuoi occhi

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Microperimetria

Cos’è?

microperimetria È un’indagine diagnostica che permette di creare una mappa della sensibilità della retina (misurata in decibel).
Consente, infatti, di effettuare uno studio della fissazione e della soglia di sensibilità retinica visualizzando in tempo reale il fondo oculare. In questo modo, con estrema precisione topografica, viene definita la sensibilità visiva in ogni punto della regione centrale della retina (la macula) nonché la sede e la stabilità della fissazione, anche se si vede molto poco (persino se si è in condizioni di acutezza visiva compromessa).

Cosa consente di ottenere?

Consente di valutare la capacità di vedere stimoli luminosi di diversa intensità in varie posizioni della regione retinica esaminata. Lo studio microperimetrico fornisce delle informazioni importanti (da integrare con la misurazione dell’acuità visiva) per valutare in maniera più precisa la funzionalità maculare. Infatti la microperimetria è stata introdotta nella pratica clinica proprio per lo studio funzionale di patologie maculari, che determinano più o meno precocemente uno scotoma centrale (zona di non visione al centro del campo visivo).

Come si esegue?

Si viene posizionati di fronte all’apparecchio (solitamente prima vengono dilatate le pupille): mentre si fissa una mira luminosa rossa centrale e stabile (generalmente una piccola croce, ma si possono utilizzare anche croci multiple o un cerchio) bisogna premere un pulsante ogni qualvolta appare un punto luminoso di intensità variabile. In questo modo viene testata la funzionalità della retina: proiettando stimoli in posizioni selezionate, viene generata una mappa accurata della sensibilità retinica. L’esame, che non è invasivo, ha una durata di circa un quarto d’ora ed è indolore. Inoltre, è molto specifico, altamente ripetibile e offre la possibilità di confrontare in tempo reale il difetto campimetrico e la sede del danno. In pazienti pochi collaboranti, l’esame può durare più a lungo e mostrare una notevole fluttuazione dei risultati.

Quando si effettua?

L’esame viene eseguito per lo studio delle degenerazioni maculari senili e giovanili (come la malattia di Best o la malattia di Stargardt), dell’edema maculare, delle retinopatia miopica e diabetica e dei fori maculari. Può essere utile nei controlli che vengono effettuati in seguito a terapie retiniche come, ad esempio, dopo iniezioni intravitreali per trattare la forma essudativa della degenerazione maculare legata all’età (AMD). È importante, quindi, per guidare le scelte nel periodo che segue le operazioni chirurgiche e nel valutare i risultati degli interventi. Riveste, inoltre, un ruolo importante nell’esecuzione di programmi riabilitativi degli ipovedenti.

A cosa serve esattamente la riabilitazione visiva con microperimetro?

Biofeedback Il training microperimetrico serve anche a individuare il miglior punto di fissazione retinica. Quando, infatti, si perde la vista centrale, il cervello cerca di sfruttare le aree retiniche adiacenti alla zona di non visione (scotomatosa) ricorrendo alla cosiddetta fissazione eccentrica. La regione di retina utilizzata in maniera preferenziale per sostituire la fissazione foveale viene detta PRL (Preferred Retinal Locus). Col microperimetro lo scopo della riabilitazione visiva è quello di far utilizzare in modo stabile l’area retinica più adatta. La rieducazione all’uso di questa nuova zona viene effettuata mediante biofeedback : si impara a vedere in modo “diverso“ dopo un opportuno addestramento. Inoltre l’esame microperimetrico, in associazione col campo visivo, fornisce informazioni importanti riguardanti l’estensione e la localizzazione delle diverse aree della retina (sia di quelle poco sensibili che di quelle ancora funzionanti), dando indicazioni precise riguardo all’ausilio più idoneo. Quest’ultimo potrà essere, ad esempio, utilizzato per la lettura e, soprattutto, con un ingrandimento più adatto per una buona comprensione del testo (attualmente si può ricorrere anche ai tablet che consentono di ingrandire il testo a piacere e di regolare opportunamente luminosità e contrasto).

In cosa consiste la rieducazione mediante biofeedback ?

La prima fase prevede l’esecuzione di una microperimetria. Vengono poi effettuate una serie di sedute in cui, guidati da uno stimolo sonoro e visivo, si impara a riconoscere e a utilizzare al meglio il proprio PRL (possono anche essere più di uno) e a stabilizzarlo nel tempo, con un successivo miglioramento sia della capacità e velocità di lettura sia della sicurezza nello svolgere le comuni attività quotidiane. Quindi, mediante un pulsante, si dovranno riconoscere stimoli luminosi d’intensità variabile.

In cosa consistono gli esercizi riabilitativi?

Lo schema di training consiste in una serie di 5-10 sedute, solitamente una alla settimana della durata di 10 minuti per occhio; quindi, si fa una pausa di circa tre mesi e, in seguito, si possono effettuare altre cinque sedute. Questo “modulo” è ripetibile nel tempo come terapia di mantenimento, personalizzandolo a seconda delle sedute e delle modalità di esecuzione, in base alla patologia, agli obiettivi e ai risultati che si ottengono. La microperimetria sembra offrire, per questo motivo, nuove valide applicazioni nello studio della funzionalità maculare; certamente sarà sempre più importante per lo studio e il trattamento delle malattie della retina centrale (macula).

 

 

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Pagina pubblicata il 9 maggio 2011. Ultimo aggiornamento: 21 settembre 2016. 

Ultima revisione scientifica: 11 ottobre 2022.

Intravitreali

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Intravitreali

Cosa sono?

Intravitreale

Le iniezioni intravitreali permettono di introdurre direttamente nell’occhio un determinato farmaco attraverso la sclera (la parte bianca dell’occhio), iniettandolo nel liquido gelatinoso che riempie l’occhio (corpo vitreo), il quale è a contatto con la retina: il principio attivo viene assorbito da quest’ultima.

Da chi possono essere effettuate?

Vengono praticate da un oculista qualificato. I farmaci attualmente approvati ed utilizzati per uso intraoculare sono gli anti-VEGF (inibitori della formazione di nuovi vasi sanguigni retinici anomali) e cortisonici.

In quali casi specifici possono essere utili?

Gli anti-VEGF sono utilizzati nel trattamento della degenerazione maculare legata all’età (forma umida o essudativa), nell’edema maculare diabetico e nell’edema causato da trombosi dei vasi retinici.
I cortisonici sono approvati ed utilizzati per il trattamento dell’edema maculare dovuto a una trombosi dei vasi retinici, per l’edema maculare diabetico  e per patologie infiammatorie dell’occhio (ad esempio l’uveite).

Come si effettuano?

L’iniezione viene eseguita in ambiente controllato (sala operatoria), in condizioni di sterilità. E’ eseguita in anestesia topica, cioè mediante istillazione di colliri anestetici. Il tempo d’iniezione è molto veloce, circa un minuto, e la sensazione avvertita è minima e della durata di pochi secondi. Dopo l’iniezione è possibile vedere delle mosche volanti (corpi mobili) all’interno del campo visivo che scompaiono, in genere, dopo qualche ora e nel punto d’iniezione potrà comparire una piccola emorragia. Una volta ricevuta l’iniezione, quindi, si può tornare a casa accompagnati. La terapia successiva è a base di colliri antibiotici e cortisonici (per controllare l’infiammazione  e prevenire le infezioni). Il primo controllo viene eseguito in ambulatorio il giorno successivo. A distanza di circa 2-3 settimane e, in base ai casi, sarà eseguito un ulteriore controllo.

Che efficacia hanno?

L’efficacia delle iniezioni intravitreali dipende dal tipo di malattia trattata e dal grado di avanzamento della malattia stessa.

Quanto durano gli effetti?

Edema maculare diabetico (fondo oculare)Nella degenerazione maculare essudativa viene praticata un’iniezione al mese per i primi tre mesi; in seguito l’oculista controlla mensilmente la vista e il quadro clinico somministrando ulteriori iniezioni in caso di peggioramento della vista. Nell’edema maculare diabetico o dovuto a trombosi dei vasi retinici viene praticata un’iniezione al mese sino al raggiungimento di una visione che si mantenga stabile per tre mesi consecutivi. La durata degli effetti è dunque variabile.

Quali sono i possibili rischi delle intravitreali?

I rischi si dividono in generali ed oculari.

Complicanze generali: ogni farmaco è potenzialmente in grado di determinare una reazione allergica in una ridotta percentuale della popolazione. I sintomi della reazione allergica sono rappresentati da: reazione cutanea, orticaria, prurito, insufficienza respiratoria e raramente morte. Ogni forma di allergia, sospetta o conclamata, deve essere riferita al proprio oculista.

Complicanze oculari: si distinguono in intraoperatorie e postoperatorie.

  • Complicanze intraoperatorie: lacerazione della congiuntiva, lesione del cristallino, emorragia vitreale, emorragia coroideale.
  • Complicanze postoperatorie: lacerazione della retina, distacco di retina, distacco di coroide, endoftalmite (infezione del globo oculare), alterazioni della macula, emorragia retinica e/o vitreale (sanguinamento della parte posteriore dell’occhio), cataratta, rottura della scleraglaucoma.

A quali esami è necessario sottoporsi?

Prima dell’iniezione intravitreale e per monitorare nel tempo gli effetti di tale terapia è necessario sottoporsi ad esame della vista, tonometria, fondo o culare,  OCT (esame non invasivo che consente di visualizzare i singoli strati della retina) e, quando necessario, alla fluorangiografia.

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Fluorangiografia

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Fluorangiografia

retinografo

Cosa è la fluorangiografia?

La fluorangiografia è un esame fondamentale per lo studio della circolazione della retina e coroide. Serve anche come guida per il trattamento delle patologie retiniche mediante laser argon. Infatti tale esame consente di mettere in evidenza aree non irrorate dal sangue (aree ischemiche) e lesioni provocate da nuovi vasi che si sviluppano a causa della carenza di ossigeno. In sostanza si può realizzare una sorta di “mappa retinica”, la quale consente al medico oculista di colpire poi col raggio laser e con maggiore precisione le zone malate.

Come funziona?

Viene iniettato con una siringa un colorante in vena che, sciogliendosi nel sangue, consente di visualizzare eventuali anomalie della retina. La tipologia di tale colorante varia a seconda della patologia da studiare (può essere la fluoresceina o il verde d’indocianina). Dopo la dilatazione delle pupille in seguito a instillazione di uno speciale collirio (midriatico), ci si siede di fronte al retinografo; quindi viene iniettato il colorante e vengono scattate una serie di foto che saranno studiate dal medico per evidenziare eventuali anomalie.

La fluorescina verrà smaltita dal corpo tramite l’urina che, nelle ore successive, assumerà un colore diverso (giallastro fluorescente); il verde di indocianina, invece, è smaltito attraverso il fegato.

Cosa bisogna fare prima dell’esame?

La fluorangiografia è un esame di routine, ma è invasivo; dovrà, quindi, essere valutata la funzionalità cardiaca e quella renale e, soprattutto, andrà accertato se si sia allergici al colorante. L’esame viene effettuato a digiuno, ma si consiglia di effettuare una colazione molto leggera, evitando sia i latticini (latte, yogurt, formaggi) che la frutta.

Per quali patologie viene richiesto?

La fluorangiografia trova applicazione in tutte le malattie della macula, comprese quelle che coinvolgono il nervo ottico e i vasi della retina (diabete, emorragie, trombosi, ecc.), patologie infiammatorie, infettive, tumorali, causate da farmaci, patologie traumatiche e retinopatia sierosa centrale.

L’esame viene effettuato prima di iniziare il trattamento laser. Dopo l’introduzione della tomografia a coerenza ottica (OCT), la fluorangiografia è stata impiegata sempre meno per le patologie maculari. L’OCT e la fluorangiografia vanno, comunque, considerati esami complementari: l’uno non esclude l’altro perché, mediante il secondo esame, si mette in evidenza la dinamica del flusso sanguigno, mentre col primo si analizza esclusivamente lo stato della macula e del nervo ottico attraverso una ricostruzione al computer degli strati retinici. Va, tuttavia, detto che recentemente è stato introdotto l’angio-OCT o angiografia senza iniezione di colorante (OCTA), che consente di studiare la vascolarizzazione retinica senza l’uso di un mezzo di contrasto.fluorangiografia

Che effetti collaterali può avere la fluorangiografia?

Eventuali effetti collaterali sono legati all’uso del colorante che viene iniettato in vena. Potrebbero verificarsi, ad esempio, problemi ai reni; ma per prevenirli può essere sufficiente ricorrere all’idratazione salina o al bicarbonato di sodio[[Am J Kidney Dis online 2009 (pubblicato il 6/4/2009) ]]. Inoltre, va evitato l’uso del colorante (mezzo di contrasto) in persone colpite da gravi problemi al fegato.

In linea di massima, comunque, né il verde di indocianina né la fluorescina presentano effetti collaterali significativi (a meno che non si sia allergici a queste sostanze [[in questo caso si possono verificare difficoltà respiratorie, battito cardiaco irregolare, convulsioni, perdita di coscienza]]). Infine possono raramente verificarsi effetti collaterali minori, quali nausea, tosse, starnuti, colorazione giallastra della pelle e malessere generale.

Leggi anche: Consenso informato sulla fluorangiografia

Scheda informativa a cura dell’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità-IAPB Italia onlus 
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Pagina pubblicata il 10 aprile 2009. Ultimo aggiornamento: 5 febbraio 2018. 

Ultima revisione scientifica: 4 agosto 2014.