Bambini, la miopia ha anche cause ambientali

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Studio sulla prevalenza del vizio refrattivo in piccoli di 6 anni. In parte è prevenibile con un migliore stile di vita

bambini-in-giardino-con-adulto-e-passeggino-web.jpgUna forte miopia, pari o superiore alle 6 diottrie, quando si presenta prima dei 10 anni d’età potrebbe, in età più avanzata, portare persino a complicanze che sono anche causa di cecità. Un gruppo di ricercatori olandesi si è preso la briga di trovare una relazione tra la diffusione del più comune vizio refrattivo nei bambini e i gruppi socioeconomici a rischio, mettendoli in rapporto con i loro stili di vita. Si è visto che più i piccoli trascorrono del tempo in spazi chiusi, più tendono a sviluppare la miopia [[ovviamente però ci sono anche importanti cause genetiche, ndr]]. Dunque quest’ultima è, almeno parzialmente, prevenibile grazie a uno stile di vita sano.

Come si è svolto lo studio

Un gruppo di 5711 bimbini di sei anni ha partecipato allo studio che prevedeva una visita oculistica comprensiva di misurazione dell’acuità visiva e un esame obiettivo, in modo da identificare i piccoli miopi (≤-0,5 diottrie). Mediante un questionario sono state raccolte le attività abituali, il gruppo etnico e una serie di aspetti rappresentativi dello status socioeconomico familiare.

Risultati

La prevalenza della miopia è risultata essere del 2,4%. Scrivono i ricercatori sul British Journal of Ophthalmology:

I bambini miopi trascorrevano più tempo dentro casa e meno tempo all’esterno rispetto ai bimbi non miopi (p<0,01), avevano livelli inferiori di vitamina D (p=0,01), un indice superiore di massa corporea e partecipavano meno alle attività sportive (p=0,03).[Tideman JWL, Polling JR, Hofman A, Jaddoe VW, Mackenbach JP, Klaver CC, “Environmental factors explain socioeconomic prevalence differences in myopia in 6-year-old children”, [Br. J. Ophthalmol., 2017 Jun 12. pii: bjophthalmol-2017-310292. doi: 10.1136/bjophthalmol-2017-310292 (Epub ahead of print)]]

Dunque i fattori ambientali, a partire dalle abitudini quotidiane, possono aumentare fortemente il rischio di miopia già a 6 anni. In conclusione “è importante migliorare lo stile di vita nei bambini piccoli che sviluppano la miopia” (o che sono più a rischio perché, ad esempio, entrambi i genitori sono miopi). Il che, tradotto in termini più prosaici, significa che i bimbi devono trascorrere il più possibile tempo all’aria aperta e fare più attività fisica negli spazi esterni. Secondo un precedente studio retrospettivo dell’Università di Cambridge (UK) nei bambini il rischio di miopia si riduce del 2% per ogni ora in più trascorsa all’aperto ogni settimana [Sherwin JC, Reacher MH, Keogh RH, Khawaja AP, Mackey DA, Foster PJ, “The association between time spent outdoors and myopia in children and adolescents: a systematic review and meta-analysis”, [Ophthalmology, 2012 Oct;119(10):2141-51. doi: 10.1016/j.ophtha.2012.04.020, Epub 2012 Jul 17]].

Leggi anche: Prevenire la miopia nei bambini; Giovani meno miopi all’aria aperta

Fonte: BMJ

Se il microbioma oculare difende la cornea

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La superficie dell’occhio ospita batteri che aiutano a neutralizzare gli agenti patogeni

c._mast_e_un_batterio_commensale_che_vive_sulla_superficie_oculare_credits_rachel_caspi_e_anthony_st._leger_-photospip2171dd0b7c987c3b59cb4ee4ab962dbc.jpgSui nostri occhi abbiamo una squadra di batteri “buoni” che consente di neutralizzare molti organismi patogeni. Tra questi commensali protettivi ce n’è uno – Corynebacterium mastitidis (C. mast) – su cui si è concentrato un nuovo studio americano [a cui ha partecipato anche l’università di Tokyo, ndr]], condotto su cavie di laboratorio; i risultati sono stati pubblicati dalla rivista [Immunity.

I batteri “amici” C. mast possono indurre la produzione di una proteina segnale essenziale per la difesa dell’occhio, chiamata iinterleuchina-17 (IL-17) [[si tratta di una citochina che svolge un ruolo importante nel processo infiammatorio, ndr]], che a sua volta attira globuli bianchi (neutrofili) verso la congiuntiva e stimola il rilascio di agenti con proprietà antimicrobiche nelle lacrime [[in particolare proteine secondo lo studio citato, ndr]]. Quindi quei batteri “alleati” – che vivono sulla cornea per lunghi periodi – lanciano l’allarme e attivano un sistema di protezione della superficie oculare fondamentale per difenderci, ad esempio, dalla Candida albicans (un fungo) o dall’infezione provocata da Pseudomonas aeruginosa.

I ricercatori diretti da Rachel R. Caspi, che lavora presso il National Eye Institute statunitense, spiegano:

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Le nostre scoperte dimostrano in modo diretto che esiste un microbioma commensale residente sulla superficie oculare e identificano i meccanismi cellulari che hanno effetti sull’omeostasi oculare a livello immunitario e sulla difesa dell’organismo ospite.

Grazie a precedenti studi erano già state identificate una media di 221 specie di batteri che vivono sulla superficie oculare di ogni essere umano. Saranno tuttavia necessarie ulteriori ricerche per chiarire le esatte dinamiche che regolano il microbioma oculare ed eventuali sue alterazioni indotte da agenti patogeni.

Leggi anche: “Il microbioma della superficie oculare”

Fonti: Immunity, NIH, Oculista.it

Staminali retiniche, trattamento sperimentale causa cecità

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In una clinica americana tre casi di perdita della vista per una cura impropria dell’AMD. Ne parla il NEJM

intravitreale_iniezione.jpgSi può diventare ciechi sottoponendosi a un trattamento sperimentale con le cellule staminali? È ciò che è accaduto in una clinica americana, dove tre persone hanno perso la vista nel tentativo di migliorarla: avevano già ricevuto una diagnosi di degenerazione maculare legata all’età (AMD) e soffrivano di una forma considerata incurabile; quindi sono state effettuate iniezioni intravitreali oculari a base di cellule staminali ricavate dal loro stesso grasso.

Scrivono i ricercatori americani sul New England Journal of Medicine (NEJM):

Le ‘cellule staminali’ derivate dal tessuto adiposo vengono impiegate sempre più spesso da ‘cliniche’, sia negli Stati Uniti che altrove, per trattare una serie di patologie. Abbiamo valutato tre pazienti in cui si è verificata – in una clinica americana di questo tipo – una grave perdita bilaterale della vista in seguito a iniezioni intravitreali di staminali autologhe derivate dal tessuto adiposo. [[Il testo dei ricercatori prosegue: “In questi tre pazienti l’ultima acuità visiva documentata sull’ottotipo di Snellen variava dai 20/30 [circa 7/10] ai 20/200 [=un decimo]. La grave perdita della vista, avvenuta nei pazienti in seguito all’iniezione, è stata associata a ipertensione oculare, emorragia causata da retinopatia ed emorragia vitreale associata a trazione e a distacco di retina regmatogeno o a dislocazione del cristallino. Dopo un anno l’acuità visiva dei pazienti era compresa tra un decimo e l’assenza di percezione della luce” . (Fonte: Kuriyan AE, Albini TA, Townsend JH, Rodriguez M, Pandya HK, Leonard RE 2nd, Parrott MB, Rosenfeld PJ, Flynn HW Jr, Goldberg JL, “Vision Loss after Intravitreal Injection of Autologous ’Stem Cells’ for AMD”, N Engl J Med. 2017 Mar 16;376(11):1047-1053. doi: 10.1056/NEJMoa1609583)]]

Allo stato attuale le uniche cellule staminali considerate clinicamente efficaci a livello oculare sono quelle corneali per rigenerare la superficie dell’occhio in seguito, ad esempio, a gravi causticazioni chimiche. Al contrario nel mondo non esiste oggi alcun trattamento con staminali retiniche considerato clinicamente efficace.

Ci sono gruppi di ricerca anche molto seri che ci stanno lavorando, ma per ora gli unici esperimenti incoraggianti sono stati effettuati su cavie animali. Al contrario una sperimentazione effettuata in Giappone su persone affette da AMD secca, con tanto di beneplacito del Ministero della Salute nipponico, è stata interrotta a causa di effetti avversi. Tra i rischi potenziali non c’è solo la cecità, ma persino la possibilità di indurre un tumore.

Fonti: NEJM, AAO

Diete con meno zuccheri, retina più protetta

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Le cavie sono meno suscettibili alla degenerazione maculare legata all’età se alimentate con cibi integrali

cavia_laboratorio_topolino_web.jpgAssumere alimenti meno zuccherini e puntare a cibi integrali [possibilmente non trattati, ndr]] aiuta a prevenire o a rallentare la degenerazione maculare legata all’età (AMD), in particolare la forma secca o atrofica, quella più diffusa. Un gruppo internazionale di 25 ricercatori universitari ha studiato l’impatto della dieta su questa malattia oculare cronica, arrivando alla conclusione che un’alimentazione con un indice glicemico più basso può ridurre le probabilità di danno retinico oppure ritardarlo[[“Il cibo è una medicina e la dieta ha un impatto sul rischio e la progressione della degenerazione maculare legata all’età” ([PNAS)]].

Nei Paesi sviluppati l’AMD è la prima causa di cecità: è una patologia caratterizzata da una perdita della visione centrale causata dalla distruzione di fotorecettori (coni) e da una disfunzione dell’epitelio pigmentato retinico. La sua causa non è ancora oggi chiara [“L’eziologia dell’AMD resta un enigma, ma è chiaramente multifattoriale. I fattori stressanti ad essa associati comprendono l’ambiente, l’età e la genetica. È frustrante il fatto che non ci siano biomarcatori precoci che la anticipano” ([PNAS)]].

amd-avanzata-simulazione_visione-scotoma-photospipd02c442b4735b046ba2cdd901535c9e3.pngLo studio è stato effettuato su cavie di laboratorio (topi), divise in tre gruppi: il gruppo è stato alimentato con cibi non integrali (ricchi di zuccheri e carboidrati); il secondo ha seguito una dieta ipoglicemica a base di alimenti integrali, mentre; il terzo gruppo è passato da una dieta “zuccherina” (iperglicemica) a una dieta ipoglicemica. Con grande sorpresa dei ricercatori anche un cambiamento tardivo dello stile alimentare – che prevedeva una riduzione dell’apporto dei carboidrati (soprattutto di quelli raffinati) – ha avuto un impatto positivo sulla malattia oculare, limitando decisamente ulteriori danni retinici correlati invece a una glicemia elevata.

In conclusione i ricercatori danno, nella loro pubblicazione scientifica (PNAS), un consiglio pratico:

La semplice sostituzione di cibi ad alto indice glicemico (come il pane bianco) con alimenti a basso indice (come il pane integrale) può ridurre significativamente i picchi glicemici, senza richiedere un cambiamento complessivo dello stile alimentare.[[Taylor A et al., “Involvement of a gut-retina axis in protection against dietary glycemia-induced age-related macular degeneration”, Proc Natl Acad Sci U S A (PNAS), 2017 May 30;114(22):E4472-E4481. doi: 10.1073/pnas.1702302114. Epub 2017 May 15]]

Le persone più a rischio, ovvero quelle che hanno altri parenti affetti da AMD e fumatori, si ricordino di queste parole, anche se i risultati dovranno comunque essere confermati sugli esseri umani. Anche chi già ne fosse affetto potrebbe trarre giovamento da una dieta più sana e meno ricca di zuccheri ma, innanzitutto, dovrà smettere di fumare.

Fonte principale: PNAS

Riabilitazione visiva con la Stargardt

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Il Polo Nazionale e la Clinica oculistica del Gemelli hanno effettuato un’accurata analisi della retina degli ipovedenti, studiando anche le capacità di lettura

foto_fondo_sovrapposizione_esami-web-ok.jpgPensate a una malattia come la maculopatia di Stargardt. Le persone che ne sono affette presentano grandi difficoltà nella lettura, sono abbagliate alla luce del sole e le loro capacità visive s’indeboliscono progressivamente in una età giovanile e lavorativa, in particolare al centro del campo visivo. Cosa si può fare? Oggi non si conosce una cura, trattandosi di una distrofia retinica geneticamente trasmessa, ma si può imparare a sfruttare al meglio le proprie capacità visive residue, ritrovando fiducia in se stessi e migliorando la propria qualità della vita. Tutto questo grazie alla riabilitazione visiva.

Lo studio scientifico

Quindici persone affette dalla malattia di Stargardt sono state sottoposte – presso il Polo Nazionale di Servizi e Ricerca per la Prevenzione della Cecità e la Riabilitazione Visiva degli Ipovedenti e nella Clinica oculistica del Policlinico A. Gemelli di Roma – a una visita oculistica completa e a una serie di esami diagnostico-strumentali quali OCT, autofluorescenza del fondo oculare (FAF) e microperimetria.

Gli specialisti hanno individuato, mediante la loro accurata analisi, una correlazione significativa tra l’ingrandimento utilizzato, la velocità di lettura e la sensibilità retinica. Quest’ultima è fondamentale per la valutazione della capacità visiva residua degli ipovedenti che, in media, avevano 42,6 anni, con una storia della malattia di almeno un lustro.

Nel loro articolo scientifico pubblicato sul Canadian Journal of Ophthalmology i medici oculisti e gli ortottisti del Polo Nazionale e del Gemelli hanno, quindi, concluso:

L’attività residua degli strati retinici esterni, nell’area di fissazione eccentrica, sembra correlata all’ingrandimento richiesto e alla velocità di lettura. L’identificazione dei parametri morfo-funzionali è utile per elaborare un programma riabilitativo personalizzato.

Link utile: Centri d’ipovisione in Italia

Fonte principale: Can. J. Ophtalmology

Il Ministero della Salute ha creato un nuovo organo

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Istituito il Comitato tecnico nazionale per la prevenzione della cecità

ministero_della_salute-eur-rm-scritta-web.jpgRaccogliere dati sulle menomazioni della vista, prevenire la cecità, sviluppare linea guida per evitare la disabilità visiva (ipovisione compresa) e promuovere campagne d’informazione sulle malattie oculari. Sono queste le missioni principali del nuovo organo creato dal Ministero della Salute presso la Direzione generale della prevenzione sanitaria. Grazie a un Decreto ministeriale [[del 13 giugno 2017, a firma del Ministro Beatrice Lorenzin, ndr]], infatti, è stato istituito il Comitato tecnico nazionale per la prevenzione della cecità. La riunione d’insediamento si è tenuta il 3 luglio 2017 presso il Dicastero della Salute. Tra gli ultimi appuntamenti segnaliamo quello che si è tenuto l’11 giugno 2018.

Tra l’altro porta avanti – si legge del Decreto istitutivo – iniziative di “monitoraggio delle iniziative di cooperazione internazionale svolte dagli enti e dalle associazioni italiane per la prevenzione delle menomazioni della vista nei Paesi in via di sviluppo e nelle aree povere, in armonia con le linee guida OMS”. Inoltre punta ad attuare il Piano Nazionale di prevenzione 2014-2018, in particolare col seguente obiettivo:

“Prevenire le conseguenze dei disturbi neurosensoriali” (ipovisione e cecità), basato sullo screening oftalmologico pediatrico in due momenti importanti: la nascita e l’età di 3 anni; [si aggiungano inoltre] conseguenti iniziative di prevenzione di disturbi della vista in età prescolare e scolare.

occhi_azzurri_bambino_foto-hodan-web.jpgLa promozione e l’orientamento dei programmi d’informazione e prevenzione dovranno essere in accordo con l’azione dell’Organizzazione mondiale della sanità, in particolare col Global Action Plan 2014-2019, in modo da favorire la prevenzione primaria (campagne d’informazione per ridurre o rimuovere i fattori di rischio delle malattie oculari), la prevenzione secondaria (sviluppo e diffusione di metodi per la diagnosi precoce di patologie oftalmiche a impatto sociale [come la [retinopatia diabetica, la degenerazione maculare legata all’età e il glaucoma]]) e la prevenzione terziaria (riabilitazione visiva).

Il Comitato tecnico nazionale per la prevenzione della cecità è composto da 18 esperti, tra cui il Presidente Mario Stirpe della Fondazione Bietti. Tra i suoi componenti si annoverano Filippo Amore (Polo Nazionale per la Riabilitazione Visiva); Filippo Cruciani (Polo); Silvio Mariotti (OMS); Serena Battilomo, Raniero Guerra e Filippo Cicogna (Ministero della Salute); Giuseppe Castronovo (Presidente della IAPB Italia onlus); Emilio Balestrazzi (già primario di Oculistica al Gemelli); Francesco Bandello (San Raffaele di Milano); Mario Angi (CBM); Teresio Avitabile (Università di Catania); Leonardo Mastropasqua (Università di Chieti); Edoardo Midena (Università di Padova); Paolo Nucci (Università di Milano); Giovanni Staurenghi (Ospedale Fatebenefratelli Sacco di Milano); Monica Varano (IRCSS Fondazione G. B. Bietti) e Gianni Virgili (Ospedale Careggi di Firenze).

Fonte principale: Ministero della Salute

Quella riabilitazione visiva che tutela la qualità della vita

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Servizio di Medicina33 (Tg2) sulle maculopatie e le attività del Polo Nazionale

visione_malato_amd-scotoma-med33-web.jpgCome vive chi è affetto da maculopatia e cosa può fare? La malattia, che colpisce il centro della retina, può avere un’evoluzione drammatica: inizialmente si distorcono le immagini al centro del campo visivo e poi compare un’area di non visione centrale (scotoma). Insomma, questa patologia – che in realtà ne comprende una serie: la più comune è la degenerazione maculare legata all’età (AMD) – provoca la perdita della visione al centro del campo visivo: non si possono più riconoscere i volti delle persone, non si può più guidare… (Continua a leggere).

Peggior dieta, più cataratta

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Esiste una relazione tra una cattiva alimentazione e la cataratta nucleare senile

cataratta_con_blefarostato-chirurgia_in_diretta-web.jpgMiglior cibo uguale miglior vista. Anche se questa equazione potrebbe sembrare poco rigorosa, ci sono invece studi scientifici che ne confermano la fondatezza.

Un’alimentazione sana, ricca in particolare di vitamine e Omega-3, ad esempio fa bene alla retina. Quando si mangia correttamente [con pochi grassi animali, molta vitamina C, ecc.]] anche la [cataratta tarda ad arrivare e, se si presenta, comunque progredisce più lentamente. Infatti il cristallino si può opacizzare a causa di accumuli proteici. Pur avendo una base genetica [abbiamo un orologio biologico che fa invecchiare anche il nostro cristallino]] – che peserebbe per circa un terzo sulla sua insorgenza in persone d’età media o appartenenti alla terza età – la cataratta sarebbe perlopiù evitabile grazie a uno stile di vita sano [[In un numero d’archivio di [Ophthalmology si legge: “Secondo il miglior modello l’ereditarietà della progressione della cataratta nucleare pesava per il 35% […], mentre i fattori ambientali individuali rendevano conto del rimanente 65%. La vitamina C della dieta ha avuto un effetto protettivo sia contro la cataratta nucleare all’inizio dello studio che sulla sua progressione”]] (anche se ciò è spesso contestato dagli oculisti “tradizionalisti”).

Fattori evitabili

cataratta_operazione_chirurgica_in_italia-web.jpgSi può prevenire la cataratta? Secondo gli studi internazionali più recenti in parte sì o, almeno, se ne può ritardare l’insorgenza. Il fumo, il sole forte preso senza protezioni (ossia senza lenti scure con filtri a norma di legge) e la mancanza d’esercizio fisico vanno evitati. Inoltre, è stato confermato ora un altro fattore che la favorirebbe: la cattiva alimentazione.

Negli Usa, in occasione dell’ARVO, lo scorso maggio è stata infatti presentata una ricerca intitolata “Associazioni tra il microbioma intestinale, una dieta sana e la cataratta nucleare correlata all’età” [[autori: Ekaterina Yonova et al., Ophthalmology, King’s College London, UK. ARVO è una sigla che designa l’americana The Association for Research in Vision and Opthalmology, la quale organizza un meeting annuale, l’ultimo dei quali si è tenuto dal 7 all’11 maggio 2017 a Baltimora]]

Studio condotto su donne gemelle

cataratta-indiana_operata-degenza-india-web-photospipe27f054674c68a36c1a0458f1cc81a16.jpgI ricercatori britannici sottolineano che “una dieta sana, ricca d’antiossidanti protegge dalla cataratta correlata all’età” [[cataratta senile, ndr]]. Lo studio è stato condotto su 757 donne gemelle britanniche. Tali ricercatori si sono basati soprattutto sulla compilazione di un questionario e almeno su una visita oculistica (età media dei partecipanti 62,4 anni [[fascia d’età dei soggetti compresa tra i 45,2 anni e gli 83,6]]). Hanno quindi constatato “il legame protettivo tra la cataratta nucleare e una dieta sana”. Invece non è stata scoperta alcuna evidenza statistica tra i batteri intestinali e lo sviluppo della cataratta.

Leggi anche: “Quella vitamina C che protegge il cristallino”

Fonte: ARVO.org (pdf)

Censis: per la salute si spende di più di tasca propria

Oculista

Si allungano le liste d’attesa in oculistica in Italia: in media nel pubblico circa tre mesi d’attesa

Nell’ultimo anno un italiano su cinque ha rinunciato o rinviato almeno una prestazione sanitaria per motivi economici: parliamo di 12,2 milioni di persone, con un incremento di 1,2 milioni rispetto al 2016 (+10,9%). Si allungano, inoltre, i tempi d’attesa nel pubblico, che per una visita oculistica raggiungono mediamente i tre mesi circa: se bisognava aspettare 70 giorni nel 2014, oggi sono saliti a 87 [indicativamente +24%, ndr]. Queste cifre sono contenute in una pubblicazione presentata a Roma il 7 giugno 2017 (VII Rapporto RBM Assicurazione Salute-Censis sulla Sanità Pubblica, Privata e Integrativa) dal titolo “Per tanti… Non più per tutti. La sanità italiana al tempo dell’universalismo selettivo”.

Si spende di più di tasca propria

La spesa sanitaria privata annuale (che ammonta, secondo il Censis, a 35,2 miliardi di euro) attesta – si legge nel Rapporto – “che oggi il fabbisogno sanitario degli italiani non trova piena copertura nell’offerta di servizi e prestazioni del servizio sanitario pubblico”.

Non potrebbe essere altrimenti, “visto che il doloroso ma necessario ripristino degli equilibri finanziari delle sanità regionali è proseguito con successo ricorrendo ad un taglio in termini reali della spesa sanitaria pubblica procapite” [[la Corte dei Conti ha quantificato in media in -1,1% annuale per il periodo 2009-2015]].

Nello stesso lasso di tempo in Francia la spesa sanitaria pubblica è cresciuta in termini reali in media dello 0,8% annuo e, in Germania, del 2% medio annuo. In rapporto al Pil la spesa sanitaria pubblica in Italia è pari al 6,8%, più bassa sia rispetto alla Francia (8,6%) che alla Germania (9,4%). [[La tendenziale erosione del Sistema sanitario nazionale italiano rischia di penalizzare la prevenzione, ndr]]

Scrive il Censis:

Gli italiani ormai devono ricorrere sempre più spesso all’acquisto di tasca propria di servizi e prestazioni sanitarie appropriate per esigenze che non trovano nel pubblico risposte adeguate, a causa della lunghezza delle liste di attesa che non smettono di allungarsi, o perché risiedono in un territorio in cui certe prestazioni non sono erogate o hanno una qualità inadeguata.

Eppure la sanità pubblica “resiste” sia a livello di gradimento che di qualità percepita dei servizi offerti. Il Censis ci dice infatti che il 64,5% degli italiani è soddisfatto del Servizio sanitario nazionale (SSN), mentre il 35,5% non lo è. [[Sono soddisfatti il 76,4% al Nord-Ovest, l’80,9% al Nord-Est, il 60,4% al Centro ed il 47,3% al Sud-Isole]] Il 31,8% dei nostri connazionali è convinto che nell’ultimo anno il SSN sia peggiorato, mentre per il 12,5% che sia migliorato e, infine, per il 55,7% che sia rimasto stabile.

I tempi s’allungano, rischi in vista

Oculista
Oculista
Circa tre mesi d’attesa per una visita oculistica: è un record assoluto che assegna la maglia nera al Nord-Est (104 giorni), mentre il Sud e le Isole sono più “virtuose” (74 giorni); il Centro e il Nord-Ovest si attestano in parità con un valore intermedio (89 giorni ciascuno).

L’allungamento dei tempi di attesa – conclude il Censis – non è certo secondario rispetto al boom del privato e il ricorso ai soldi propri per pagarsi, in tempi molto più stretti, una visita specialistica privata. Con buona pace per il risparmio degli italiani, che di questi tempi si fa sempre più difficile.

Fonte: Censis 2017

Se la corteccia visiva ha uno sviluppo continuo

Aree corticali visive (Univ. di Monaco)

Fondamentale prevenire l’occhio pigro: lo conferma il Journal of Neuroscience

Aree corticali visive (Univ. di Monaco)
Aree corticali visive (Univ. di Monaco)
C’era una volta il cervello come lo intendeva la scienza medica. In età adulta era praticamente considerato anatomicamente immutabile (salvo gravi traumi o malattie degenerative). Negli ultimi anni, invece, sempre più scienziati si sono resi conto che il suo sviluppo è pressoché continuo. Anche se la sua plasticità si riduce col passare degli anni, le connessioni sinaptiche continuano a trasformarsi [[intra e inter-corticali. In particolare durante la ricerca sono state esaminate le sinapsi glutamatergiche, ndr]].

Secondo una nuova ricerca pubblicata sul Journal of Neuroscience, i cambiamenti maggiori nella zona della corteccia cerebrale deputata alla visione [[in particolare la corteccia visiva primaria chiamata V1]] si osservano tra i 5 e gli 11 anni. Però anche dopo questa fascia d’età la visione umana prosegue il suo sviluppo a livello neurale.

Rischio occhio pigro

Gli scienziati dell’Università canadese McMaster Hamilton hanno confermato che l’infanzia è il periodo nel quale l’occhio pigro si può sviluppare con maggiore probabilità (ambliopia). Dunque sono fondamentali visite oculistiche periodiche sin dall’infanzia, per evitare anche il rischio che non si sviluppino correttamente i circuiti cerebrali che controllano le capacità visive. Infatti l’occhio pigro è una malattia silente: ci sono genitori che non si accorgono che i figli sfruttano solo un occhio. Anche se l’altro occhio è anatomicamente integro, è venuto meno alla sua funzione. Normalmente, quindi, l’oculista prescrive un semplice bendaggio dell’occhio sano per indurre ad attivarsi.

Orizzonte 40 anni e oltre

La dott.ssa Kathryn Murphy e i suoi colleghi canadesi hanno studiato l’espressione di una serie di proteine che regolano la trasmissione tra i neuroni della corteccia visiva primaria nella maggioranza delle sinapsi. Le analisi post-mortem sono state condotte su campioni di cervello prelevati da individui d’età variabile, dalla nascita agli 80 anni.

Scrive la Società di neuroscienze americana:

I risultati mostrano che lo sviluppo del V1 umano avviene in cinque diversi stadi e rispecchia mutamenti della visione. Ad esempio, l’espressione di tre di queste proteine ha un picco tra i 5 e gli 11 anni d’età, in coincidenza con la fine del periodo in cui i bambini sono suscettibili di sviluppare l’ambliopia (occhio pigro). Un’altra proteina ha raggiunto il suo picco solo intorno ai 40 anni per poi diminuire drasticamente, di circa il 75%, negli adulti con più di 55 anni, forse indice di una degenerazione […].

Questi risultati potrebbero essere considerati persino come una conferma dell’efficacia della riabilitazione visiva: si possono “riprogrammare”, in una certa misura, non solo i propri comportamenti visivi (si può, ad esempio, imparare a vedere con la zona paracentrale della retina), ma si possono anche modificare delle connessioni sinaptiche sfruttando la plasticità cerebrale residua.

Fonti: Journal of Neuroscience, Society for Neuroscience (Usa)