Boom diabete in città

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Roma scelta per il 2017 in un progetto globale che affronta la malattia cronica. Il convegno organizzato dall’Ambasciata danese

convegno-immagine.jpgPrevenire il diabete partendo dai grandi centri urbani. È Roma la metropoli scelta per il 2017 dal programma Cities Changing Diabetes® [[l’iniziativa realizzata in partnership tra University College London (UCL) e il danese Steno Diabetes Center con il contributo di Novo Nordisk che coinvolge Istituzioni nazionali, amministrazioni locali, mondo accademico e terzo settore]], con l’obiettivo di evidenziare il legame fra questa malattia e le città, promuovendo iniziative per salvaguardare la salute dei cittadini e prevenire la malattia. L’annuncio è stato dato nella Città eterna martedì 29 novembre, durante il convegno “Sustainable cities promoting urban health” [[organizzato nella capitale dall’Ambasciata di Danimarca in collaborazione con Ministero della salute, Istituto Superiore di Sanità, SDU-National Institute of Public Health di Danimarca, ANCIAssociazione nazionale comuni italiani, Health City Institute, Danish Healthy Cities network, sotto l’egida della Presidenza del Consiglio dei ministri]]. Secondo l’Oms i diabetici nel mondo hanno toccato la cifra record di 422 milioni.

Diabete, più rischi nelle realtà urbane

retinopatia_diabetica_locandina-campagna_info_2013-piccola.jpgPer combattere il diabete – che tra l’altro comporta il rischio di retinopatia – è necessario aumentare l’attenzione sulla salute e sullo sviluppo urbano in modo da creare “città vivibili” (come Copenhagen). Insomma, occorre creare un ambiente urbano che promuova la salute. Si stima che oggi oltre 3 miliardi di persone nel mondo vivano in città metropolitane e megalopoli: Tokyo conta 37 milioni di abitanti, Nuova Delhi 22 milioni, Città del Messico 20 milioni. Dieci anni fa, per la prima volta nella storia dell’umanità, la popolazione mondiale residente in aree urbane ha superato la soglia del 50%. Le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità indicano che tale percentuale è in crescita. Nel 2030 si calcola che 6 persone su 10 vivranno in grandi agglomerati urbani. Erik Vilstrup Lorenzen, Ambasciatore di Danimarca, ha dichiarato in proposito:
Nel 1960 un terzo della popolazione mondiale viveva nelle città. Oggi si tratta di più della metà e nel 2050 sarà il 70 per cento. Allo stesso tempo, circa 400 milioni di persone soffrono di diabete e si prevede un aumento fino a 600 milioni nel 2035. A Copenaghen, la salute pubblica costituisce una responsabilità condivisa dell’intera città, e tutte le amministrazioni lavorano per il sostegno della salute e la riduzione dell’ineguaglianza salutare. Tutto ciò coinvolge la pianificazione urbana, ma anche gli asili nido, i programmi doposcuola e le aree sociali e dell’occupazione. Le politiche e le pianificazioni locali e nazionali (educazione, lavoro e settore residenziale inclusi), sono riconosciuti come elementi prioritari nella promozione della salute.
Su questi aspetti sono intervenuti diversi relatori, tra cui Enzo Bianco, Presidente del Consiglio Nazionale dell’ANCI:
Le città stesse ed il loro modello di sviluppo sono oggi in prima linea nella lotta contro le criticità connesse al crescente inurbamento e, ovviamente, la salute pubblica occupa fra queste un posto di primaria importanza.
centro-urbano-mex-citta.jpgOggi sappiamo che vive nelle città il 64% delle persone con diabete, l’equivalente di circa 246 milioni di abitanti, e anche questo numero è destinato a crescere. Inoltre, la maggior parte di loro (l’80% circa) vive in Paesi a basso-medio reddito, dove gli agglomerati urbani si espandono più rapidamente. Vivere in città è associato a un peggioramento dello stile di vita: è un fattore chiave dell’aumento delle malattie non trasmissibili. Diversi studi internazionali evidenziano la connessione fra stile di vita degli abitanti delle aree urbane e prevalenza del diabete. Spiega Andrea Lenzi, coordinatore di Health City Institute, gruppo di esperti che ha recentemente messo a punto il manifesto “La Salute nelle città: bene comune”:
Questa è una tendenza che, di fatto, negli ultimi 50 anni sta cambiando il volto del nostro Pianeta e che va valutata in tutta la sua complessità. Grandi masse di persone si concentrano nelle grandi città, attratte dal miraggio del benessere, dell’occupazione e di una qualità di vita differente, e la popolazione urbana mondiale, soprattutto nei Paesi medio-piccoli cresce anno dopo anno.
Un filo sottile ma evidente lega il fenomeno dell’inurbamento alla crescita di malattie come il diabete. Non esiste infatti solo una suscettibilità genetica a sviluppare questa malattia, ma ci sono fattori ambientali legati allo stile di vita. Precisa quindi Lenzi:
Ciò significa che nel definire le politiche di lotta a questa malattia si deve tenere conto del contesto urbano in cui essa si manifesta: risulta fondamentale pianificare lo sviluppo e l’espansione delle città in ottica di prevenzione delle malattie croniche, per incoraggiare stili di vita salutari. I dati evidenziano come città che non considerano questi aspetti nell’urbanizzazione finiscano per contribuire alla crescita di patologie croniche, e questa situazione può diventare esplosiva dal punto di vista sanitario soprattutto nelle megalopoli. Vivere in città aumenta da 2 a 5 volte il rischio di sviluppare il diabete.
Il programma Cities Changing Diabetes® ha visto in questi primi anni il coinvolgimento di sette grandi città: Houston, Copenhagen, Tianjin, Shanghai, Vancouver, Johannesbourg e Città del Messico. Nel 2017 sarà, appunto, la volta di Roma. Vedi il programma Fonte originale: west-info.eu

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Sguardi puntati sulla salute

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Lo stato dell’assistenza nell’Ue secondo un nuovo Rapporto Ocse: investire di più in prevenzione

ue-bandiera_animata_-_ok.gifUna maggiore efficienza sul piano della prevenzione e dell’assistenza sanitaria. La auspica l’Ocse per l’Unione europea affinché “‘vi sia un miglioramento dello stato di salute della popolazione ed una riduzione delle disuguaglianze in ambito sanitario”. Lo scenario che emerge da un nuovo Rapporto intitolato Health at Glance (Panorama della Salute) è però complessivamente abbastanza positivo, nonostante alcune note dolenti. Tra cui il fatto che gli Stati Ue spendano mediamente solo il 3% circa dei loro bilanci sanitari per campagne di salute pubblica e di prevenzione. “Molte più vite potrebbero essere salvate se gli standard di cura venissero fissati al livello migliore in tutti i paesi dell’Unione europea”, ha affermato il segretario generale dell’Ocse Angel Gurría a Bruxelles – in occasione del lancio del Rapporto [[curato sia dalla stessa Ocse (Oecd) che dalla Commissione europea]] il 23 novembre 2016 –, affiancato dal Commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare Vytenis Andriukaitis. “Gli sforzi – ha proseguito – devono essere raddoppiati per la lotta contro le disuguaglianze nell’accesso alle cure e la qualità. I sistemi sanitari europei devono anche diventare più efficienti”.

Troppe diseguaglianze nell’Unione europea

ocse-copertina_rapporto-ue-salute-2016.bmpL’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico promuove nel complesso la qualità dell’assistenza nei 28 Stati del Vecchio Continente: “È migliorata nella maggior parte dei Paesi dell’UE, ma permangono diseguaglianze”. Il che significa spesso che, chi non ha possibilità di spesa, non ha garanzia di cura in tutte le nazioni prese in considerazione. Certo, nella gestione delle urgenze e delle emergenze [[ad esempio dell’infarto cardiaco, dell’ictus e in diversi tipi di cancro]] si sono compiuti progressi, consentendo un aumento della sopravvivenza; “tuttavia – nota ancora l’Ocse – in molti Paesi vi sono ancora margini di miglioramento per quanto concerne l’attuazione delle migliori prassi nella cura delle malattie acute e croniche”. All’interno delle singole nazioni permangono forti disuguaglianze in termini di salute e di aspettativa di vita tra chi accede a livelli d’istruzione e di reddito più elevati e quelli più svantaggiati. “‘Ciò è in gran parte dovuto – si legge nel Rapporto – ad una diversa esposizione ai rischi per la salute, ma anche a disuguaglianze nell’accesso ad un’assistenza di qualità elevata”.

Più di un adulto su 5 fuma ogni giorno, troppi gli obesi

Nella maggior parte dei paesi dell’UE sono stati compiuti considerevoli progressi per quanto riguarda la riduzione del consumo di tabacco, grazie all’effetto congiunto di campagne di sensibilizzazione, regolamentazioni e tassazione. Ciononostante più di sigarette_in_digitale-fonte_freedigitalphotos.net-photospip7d4defc5de6c05efbefca886fa47194a.jpgun adulto su cinque continua a fumare quotidianamente. È inoltre necessario intensificare gli sforzi volti a contrastare il consumo nocivo di alcol e l’obesità, questioni di sanità pubblica per le quali si osserva un tendenziale aumento in molti paesi dell’UE. Nel 2014, nei paesi dell’Unione, per più di un adulto su cinque è stato individuato aver abusato del consumo di alcol almeno una volta al mese. Lo stesso anno un adulto su sei (in media) è risultato affetto da obesità.

La vita si allunga

Dal 1990 l’aspettativa di vita negli Stati membri dell’UE è aumentata di oltre sei anni, passando da 74,2 anni nel 1990 a 80,9 nel 2014. “Nei Paesi dell’Europa occidentale che vantano la più elevata aspettativa di vita, si continua a vivere – spiega l’Ocse – oltre otto anni in più in media rispetto a quanto accada nei paesi dell’Europa centrale ed orientale caratterizzati dai livelli di aspettativa di vita più bassi”.

Più malattie croniche con l’invecchiamento demografico

anziana-volto-en_plein_air-web-photospipa3e85118e593952d63cf3f1bcfb9c67e.jpgCirca 50 milioni di cittadini nell’Ue sono affetti da due o più malattie croniche e generalmente hanno più di 65 anni. Per questo, secondo l’Ocse:
L’invecchiamento demografico e i rigidi vincoli di bilancio renderanno necessari profondi adeguamenti dei sistemi sanitari dei paesi dell’Ue al fine di migliorare la qualità dell’invecchiamento e di rispondere, in un’ottica maggiormente integrata ed incentrata sul paziente, alle crescenti e mutevoli esigenze nel campo dell’assistenza sanitaria. ln media, nei paesi dell’UE, la percentuale della popolazione di età superiore ai 65 anni è passata a quasi il 20 per cento nel 2015 e sembrerebbe destinata ad aumentare fino a sfiorare il 30% nel 2060. Nel 2015 la spesa sanitaria è stata pari al 9,9 per cento del PIL nell’Unione europea nel suo complesso, a fronte dell’8,7% registrato nel 2005.
Quindi l’Ocse prevede che la spesa sanitaria in rapporto al PIL cresca nell’Ue, principalmente a causa dell’invecchiamento demografico e alla diffusione di nuove tecnologie diagnostiche e terapeutiche. Quindi “i governi dovranno affrontare pressioni sempre maggiori al fine di rispondere alle crescenti esigenze di assistenza a lungo termine”.

Prevenire conviene

I problemi di salute pesano sulla spesa per le prestazioni sociali: mediamente ogni anno l’1,7% del PIL dei Paesi Ue viene speso per le pensioni di invalidità e pagato in congedi di malattia, dati superiori alla spesa per i sussidi di disoccupazione. Secondo lo stesso Rapporto Ocse, tuttavia, ulteriori investimenti nella prevenzione – comprese le misure per facilitare l’accesso dei disabili al mondo del lavoro – avrebbero effetti positivi significativi sul piano economico e sociale nei paesi dell’Unione.

Tempi d’attesa per la cataratta

Nonostante le diffuse lamentele nostrane riguardo ai tempi d’attesa per gli interventi, nel panorama europeo l’Italia si comporta bene per quanto riguarda la cataratta: il Belpaese, con una cinquantina di giorni d’attesa in media, tra quelli censiti è secondo solo all’Olanda (con una quarantina di giorni), nettamente meglio della Polonia che conquista la maglia nera sfiorando i 450 giorni d’attesa medi per l’intervento. Spagna, Finlandia e Portogallo si attestano, invece, tutti attorno ai 100 giorni (approfondisci). Fonte: OECD (Ocse)

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Dieta mediterranea toccasana per la vista

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Dimostrati gli effetti positivi sullo stadio avanzato dell’AMD in un vasto studio europeo

verdure_colorate.jpgGli studiosi vogliono vederci chiaro: è vero che la dieta mediterranea contribuisce a proteggere la salute oculare? Un nuovo vasto studio europeo anticipato online da Ophthalmology è riuscito a dimostrare che, in effetti, tale “stile alimentare” ha un effetto positivo sulle persone affette da degenerazione maculare legata all’età (AMD), in particolare in chi è colpito da una forma avanzata. Precedenti studi avevano già evidenziato gli effetti protettivi sulla retina degli Omega-3 (contenuti soprattutto nel pesce), delle verdure a foglia verde e delle noci.

Modalità dello studio

I partecipanti sono stati visitati da un oculista e sono state scattate fotografie retiniche digitali a colori. I 5060 partecipanti sono stati scelti casualmente tra i 7 centri europei che vi hanno preso parte [[Norvegia, Estonia, GB, Francia, Italia, Grecia e Spagna]]: avevano un’età media di poco superiore ai 73 anni.

Le foto del fondo oculare sono state inviate a un unico centro di valutazione presso l’Università di Rotterdam, che ha classificato lo stadio dell’AMD da 0 (assenza di addensamento proteici chiamati “drusen” nella macula) a un massimo di 4 (degenerazione retinica causata da AMD neovascolare).

L’alimentazione dei partecipanti nei 12 mesi precedenti è stata analizzata sulla base di un questionario dettagliato che è stato loro somministrato.

Conclusioni

Bisogna incoraggiare l’adesione a una dieta mediterranea, considerata tra le più sanesalmone-piatto-foto-di-rakratchada-torsap-freedigitalphotos_net-2.jpg al mondo. Nei questionari si sono presi, ad esempio, in considerazione il consumo d’olio d’oliva, vino, frutta, verdura, pesce e il basso consumo di carne e dei suoi derivati. Un ulteriore punto è stato assegnato nel caso in cui si sia assunta almeno una porzione di frutta e verdura al dì (considerata però decisamente insufficiente dagli esperti). Mentre è stata penalizzata un’assunzione eccessiva di pane bianco o di riso, è stato privilegiato invece il consumo di pane integrale (almeno cinque porzioni la settimana). Insomma, se non si mangia con gli occhi, si può almeno… mangiare per gli occhi.

Fonte originale: Ophthalmology (pdf)

Servono più investimenti in sanità e prevenzione

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Presentato il Rapporto Meridiano Sanità: in Italia il 38% della popolazione ha almeno una malattia cronica

fondazione-ambrosetti-foto-gallery-rapporto.jpgOggi il 38% della popolazione ha almeno una patologia cronica, valore che sale a 74,8% nella popolazione tra i 65 e i 74 anni e supera l’85% negli over 75. Un motivo in più per investire in sanità e prevenzione. È quanto sostiene la Fondazione Ambrosetti, che la settimana scorsa ha pubblicato un nuovo Rapporto (Meridiano Sanità 2016).

Scommettiamo sulla prevenzione

La prevenzione è una delle principali soluzioni al “peso” delle spese sanitarie sul Prodotto interno lordo. È una scommessa vincente che, nel lungo periodo, genera più salute. Per questo la Fondazione Ambrosetti scrive:
L’investimento in prevenzione ha un impatto positivo sulla spesa sanitaria; il modello di previsione di Meridiano Sanità ha altresì stimato che un euro investito in prevenzione genera 2,9 euro di risparmio nella spesa per prestazioni terapeutiche e riabilitative e che l’orizzonte temporale nel quale l’investimento in prevenzione manifesta i suoi impatti sulla spesa per prestazioni curative e riabilitative, in percentuale della spesa sanitaria totale, è di 10 anni.
Il nostro Paese, invece, ancora non investe sufficientemente in prevenzione. Anche per questo perde posizioni nel campo della sanità. Nota infatti la Fondazione:
Ad oggi l’Italia spende in prevenzione 98,4 euro pro-capite. Se il nostro Paese investisse quanto la Germania (126,4 Euro) la spesa sanitaria al 2050 sarebbe l’8,7% del PIL con un risparmio di 4 miliardi di Euro l’anno.

Il Belpaese in ritardo su efficienza e appropriatezza sanitarie

istogramma-fondazione-ambrosetti-qualita_assitenza_sanitaria.bmp Il Meridiano Sanità Index – elaborato da The European House-Ambrosetti (III rilevazione) – mostra come il nostro Paese manifesti un sensibile ritardo dalla media europea sul fronte dell’efficienza e appropriatezza dell’offerta sanitaria. Idem per quanto riguarda la capacità di risposta del sistema sanitario ai bisogni di salute, anche se va detto che persistono notevoli squilibri regionali (il Centro-Nord fa meglio del Sud Italia [[in coda si attestano Puglia, Sicilia, Calabria e Campania, mentre ai primi quattro posti troviamo Emilia Romagna, Lombardia, Trentino Alto Adige e Toscana]]). Sul fronte della qualità dell’offerta sanitaria siamo assolutamente in linea con l’Europa, mentre sul fronte dello stato di salute mostriamo (ancora) performance migliori della media tra 14 Paesi Ue (vedi valutazione multidimensionale).

Gli stili di vita peggiorano

Secondo la Fondazione Ambrosetti in Italia “aumentano i fattori di rischio delle patologie croniche sia tra i bambini che tra gli adulti. Diversi fattori di rischio concorrono all’insorgenza di patologie croniche. Se si esclude l’età e l’ereditarietà – fattori di rischio non modificabili – si può agire su tanti altri aspetti: alimentazione, attività fisica, consumo di tabacco i quali, a loro volta, influiscono su altri fattori di rischio intermedi (ad esempio: ipertensione, glicemia, ipercolesterolemia, sovrappeso e obesità)”.

No all’abuso di antibiotici

L’utilizzo improprio di antibiotici o il loro abuso possono essere causa di resistenza batterica. Anche il Ministero della Salute insiste molto su questo punto. Eppure, si legge nel nuovo Rapporto:
Cresce la resistenza agli antibiotici di batteri che possono portare a gravi infezioni. L’Italia è uno dei Paesi europei con il più alto tasso di utilizzo di antibiotici sia in ambito ospedaliero che extra ospedaliero e inoltre è il Paese europeo con il più alto livello di disinformazione (secondi i dati Eurobarometer). Queste sono alcune delle cause che portano l’Italia ad essere tra i Paesi europei con il maggior livello di resistenza agli antibiotici.

Le proposte

Tra le proposte lanciate dalla Fondazione segnaliamo quella di una maggiore importanza da attribuire alla prevenzione:
  • Lanciare una campagna informativa sull’importanza, il valore e la sicurezza delle vaccinazioni.
  • Investire maggiori risorse in prevenzione (raggiungendo almeno il 5% della spesa sanitaria con i Livelli Essenziali di Assistenza).
  • Implementare il nuovo Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale in modo omogeneo sul territorio nazionale.
Inoltre non poteva mancare l’aspetto dell’innovazione. Infatti occorrerebbe:
  • Diffondere gli strumenti di sanità digitale per migliorare l’accessibilità e garantire la continuità delle cure.
  • Diffondere la sperimentazione di soluzioni di telemedicina.

Per il Ministro della Salute c’è un primato Italia

Forte dissenso nel merito da parte del Ministro Beatrice Lorenzin, intervenuta a Roma il 15 novembre a Palazzo Rospigliosi, in occasione della presentazione del Rapporto Meridiano Sanità. Riguardo all’Italia ha dichiarato senza mezzi termini:
Noi non siamo la Grecia […]. E del resto anche altri Paesi come Inghilterra, Francia, Paesi Bassi, hanno i loro problemi. Questo non vuol dire che da noi va tutto bene, ma vorrei che ci fosse meno il vizio italiano di vedere l’erba del vicino sempre più verde e si valorizzassero i nostri punti forti. […] Secondo parametri oggettivi siamo i primi nell’Ue sia in aspettativa di vita sia come possibilità di accesso dei singoli cittadini per le prestazioni di primo livello.
Fonte principale: Fondazione Ambrosetti

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È entrato in vigore lo screening neonatale esteso

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Più facile individuare una quarantina di malattie genetiche metaboliche con un prelievo di sangue dal neonato

neonata-prem-dito.jpgMercoledì 16 novembre 2016 è entrato in vigore il Decreto ministeriale sulla diagnosi precoce delle malattie metaboliche ereditarie. Lo ha reso noto oggi il Ministero della Salute: questa novità consentirà di dare avvio, su tutto il territorio nazionale, allo screening neonatale esteso (ampliato a una quarantina di malattie genetiche rispetto alle tre di prima).

Cos’è

Lo screening neonatale rappresenta uno degli strumenti più avanzati della pediatria preventiva: si effettua attraverso il prelievo di alcune gocce di sangue dal piede del neonato, che vengono versate su un apposito cartoncino. Si possono così individuare – in modo precoce e tempestivo – i piccoli a rischio per una serie di malattie congenite, per le quali sono disponibili anche trattamenti e terapie in grado di modificare la storia della malattia.

Cosa contiene il Decreto

Il Decreto ministeriale del 13 ottobre 2016 contiene indicazioni sulla lista delleImmagine: Dna rotante patologie, l’informativa e il consenso, le modalità di raccolta e invio dei campioni, il sistema di screening neonatale con gli elementi della sua organizzazione, regionale o interregionale. Ciò serve a garantire l’intero percorso dello screening neonatale dal test di primo livello fino alla presa in carico del neonato, le modalità di comunicazione e richiamo e le iniziative di formazione e informazione. Bisognerà tuttavia attendere l’applicazione effettiva del Decreto a livello regionale.

Il Dicastero della Salute conclude:

Così si cerca di assicurare la massima uniformità nell’applicazione della diagnosi precoce neonatale sul territorio nazionale, anche per garantire idonei standard qualitativi, ridurre il numero di richiami dei nati esaminati, ottimizzare i tempi di intervento per la presa in carico clinica e favorire l’uso efficiente delle risorse su adeguati bacini di utenza, anche tramite appositi accordi interregionali.

Fonte: Ministero della Salute

SOI, dall’hi-tech alle patologie oculari dei migranti

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Il 96° congresso degli oculisti italiani si è tenuto a Roma dal 23 al 26 novembre. Intervenuti anche Alfano e Amato

soi-pto_info-iapb-italia-onlus.jpgUn evento pensato soprattutto per gli oculisti italiani, molti dei quali si sono dati appuntamento a Roma il 23 novembre 2016 per il 96° Congresso nazionale della Società Oftalmologica Italiana (SOI). Quattro giorni ad alta intensità per fare il punto sulle novità in ambito diagnostico e terapeutico, con un serrato confronto tra specialisti.

ll programma è stato suddiviso in simposi, corsi SOI, corsi monotematici, comunicazioni orali, oltre all’esposizione di poster scientifici. Gli argomenti trattati nelle sezioni del congresso coprono tutte le aree d’intervento dell’oculistica classica: si va dal glaucoma alla cataratta, passando per le uveiti , l’oftalmologia pediatrica e lo strabismo. Tuttavia quest’anno ci sono anche temi inediti quali, ad esempio, le patologie oftalmiche di chi arriva in Italia per fuggire da gravi situazioni socio-economiche, per fuggire da guerre, persecuzioni… (leggi la notizia completa)

AMD umida, quando l’occhio teme i grassi

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L’eccesso lipidico può alterare la flora intestinale, favorendo la proliferazione incontrollata dei vasi retinici

embo-picture.jpgUna dieta ad alto contenuto di grassi è il secondo fattore di rischio di degenerazione maculare legata all’età (AMD) dopo il fumo. Ciò è stato dimostrato da un nuovo studio canadese nello stadio avanzato della forma umida o neovascolare della malattia retinica effettuando sperimentazioni su cavie animali (topi di laboratorio).

Troppi lipidi nemici della vista

Il motivo è legato al fatto che un’alimentazione troppo lipidica o ricca di grassi può causare prima obesità e, quindi, un’alterazione della flora intestinale (disbiosi), provocando una reazione immunitaria anomala che, a sua volta, provoca una lieve infiammazione retinica a lungo termine attraverso le citochine. Infine si verifica un’alterazione della vascolarizzazione retinica (anomala proliferazione dei vasi), che può provocare la perdita della vista.

AMD prima causa di cecità tra over 60 nei Paesi benestanti

Scrivono i ricercatori dell’Università di Montreal (Canada) nel loro nuovo studio pubblicato su EMBO Molecular Medicine:

La degenerazione maculare legata all’età è, nella sua forma neovascolare (NV AMD), la prima causa di perdita della vista tra gli adulti di almeno 60 anni.[…] Ricorrendo a modelli murini di AMD neovascolare, trapianti di microbioma e altri paradigmi sperimentali per modificare il microbioma intestinale, è stato separato l’aumento di peso dagli altri fattori: è stato così dimostrato che le diete ad alto contenuto di grassi esacerbano la neovascolarizzazione coroideale (CNV) alterando la microflora intestinale.

Fonte originale: EMBO Molecular Medicine