Prevenzione troppo magra Circa un miliardo di euro il sotto-finanziamento nazionale stimato dalla Fondazione Ambrosetti solo nel 201311 novembre 2015 – Lo Stato italiano dovrebbe investire di più per evitare la malattie (tra cui quelle oculari). “La spesa in prevenzione, come indicato da Agenas [l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali], è stata pari a 4,9 miliardi di euro nel 2013, valore pari al 4,19% del totale, il che significa, rispetto ad un obiettivo del 5% stabilito nei Livelli Essenziali di Assistenza , un sotto-finanziamento di circa 1 miliardo. Questo – scrive la Fondazione Ambrosetti, che il 10 novembre ha presentato a Roma un nuovo Rapporto sulla Sanità – nonostante le evidenze scientifiche sostengano da tempo il valore della prevenzione (primaria, secondaria, terziaria) e gli studi di farmaco-economia abbiano evidenziato ripetutamente profili di costo-efficacia particolarmente positivi per le attività di prevenzione”.Insomma, prosegue la Fondazione, occorre “riconoscere il ruolo determinante della prevenzione e della promozione e tutela della salute per lo sviluppo sociale, la crescita economica e la sostenibilità del welfare”. Se da un lato bisogna quindi combattere le malattie infettive, dall’altro bisogna intervenire riducendo i fattori di rischio delle patologie croniche non trasmissibili ad «alto impatto» sul sistema in termini di salute e di costi sanitari, tra cui c’è anche il diabete (che tra l’altro può provocare retinopatia).La spesa privata dei cittadini per la salute è in aumento: nel 2013 per le visite oculistiche il cosiddetto out-of-pocket è stato del 50,1%, precedute dalle visite ostetrico-ginecologiche, odontoiatriche, dietologiche e dermatologiche.
Il futuro della sanità italiana Più digitale, più innovazione e più open data: a Roma si è svolto il 4° Healthcare Summit col Ministro della Salute LorenzinAvere una visione chiara della sanità futura. In particolare tenendo conto dell’invecchiamento demografico in Italia, cogliendo le sfide della ricerca (farmaci innovativi) e consentendo a tutti l’accesso dei dati sanitari digitali in tempo reale. Sono questi, in sintesi, gli obiettivi più significativi trattati durante il 4° Healthcare Summit del Sole 24 Ore che si è svolto a Roma l’11 novembre. Un cruscotto digitale con i dati sanitari L’evento si è aperto con un intervento del Ministro della Salute Lorenzin, che ha sottolineato l’importanza della dematerializzazione e del digitale anche sul piano dei dati sanitari. Già l’introduzione della ricetta elettronica è stata un passo importante. Però il Ministro ora intende realizzare una sorta di “cruscotto” digitale, con i flussi di dati che idealmente dovrebbero arrivare in diretta dalle diverse aziende sanitarie (pubblicati anche su internet preservando la privacy dei cittadini). Inoltre la Lorenzin ha fatto riferimento al “ Patto della sanità digitale ”. Avendo in mano i flussi sulle ricette elettroniche si può avere un dato comparato sull’appropriatezza e soprattutto su alcune patologie. “Questo ci consentirà di fare meglio programmazione, prevenzione, di lavorare anche sulla cura”. Naturalmente i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) devono essere preservati. Se da un lato si è parlato del “problema dell’aumento della spesa farmaceutica ospedaliera”, dall’altro il Ministro Lorenzin ha rilevato un “aumento inevitabile del fondo per le spese legate alla sanità per l’invecchiamento demografico”. “Contro la corruzione ci vuole più trasparenza”, ha asserito Lorenzin. Ovvero una centrale unica degli acquisti per evitare variazioni di prezzo tra una Regione e l’altra, obbligo di pubblicare i dati sanitari anonimizzati…La sanità è per tutti Il sistema universalistico deve essere mantenuto: lo ha ribadito Emilia Grazia De Biasi, Presidente della 12° Commissione Permanente Affari Igiene e Sanità del Senato. Bisogna però anche “lavorare per la ricerca come punto d’incontro tra risorse pubbliche e private”: non se ne può fare a meno (“non cediamo all’ideologia perché le università italiane brevettano molto poco”). Però “abbiamo bisogno di una visione: tra dieci anni come vogliamo il Sistema sanitario nazionale? Abbiamo bisogno di programmazione”. Bisogna gestire meglio anche il ricambio delle professioni sanitarie: “ce ne sono alcune in cui l’età media, in Italia, è di 60 anni”. Tuttavia, per fare questo, ha concluso la Sen. De Biasi, “ci deve essere un rapporto armonico tra Stato e Regioni”.Più integrazione e telemedicina Dal canto suo Mario Marazziti, Presidente della XII Commissione Permanente Affari Sociali e Sanità della Camera, ha denunciato il “problema dello scollamento tra sociale e sanità”. Tra l’altro nel 2020, solo per motivi demografici, si prevede che il Sistema sanitario nazionale spenderà sette miliardi di euro in più a parità di prestazioni. Però, ha proseguito l’On. Marazziti, “al centro ci deve essere la salute e non la spesa sanitaria”. Dunque bisogna soprattutto combattere la frammentazione, lavorando all’integrazione tra dimensione sociale e rete ospedaliera (ad esempio con l’assistenza domiciliare). Sicuramente sarà sempre più importante la telemedicina.Valorizzare le risorse e i settori di punta Tra l’altro Walter Ricciardi, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, ha osservato che l’Italia “ha scontato vent’anni d’immobilismo”. Insomma, le professionalità devono essere messe a sistema, devono essere valorizzate e deve migliorare la progettualità e l’organizzazione. Ci sono, comunque, settori in cui l’Italia è leader mondiale come, ad esempio, “nella genomica di sanità pubblica”.L’evento è stato moderato dal vicedirettore del Sole 24 Ore Sanità Roberto Turno.
Elisir, Rai Tre, 9 novembre 2015 Intervista a F. Cruciani, Coordinatore scientifico del Polo Nazionale per la riabilitazione visiva della IAPB Italia onlus
Oms, sconfitto Ebola in Sierra Leone Oltre a minacciare la vita, il virus può causare uveiti. A un medico ha persino cambiato il colore di un occhio9 novembre 2015 – Il virus Ebola è stato sconfitto in Sierra Leone, un Paese africano tra i più colpiti. Il lieto annuncio è stato dato il 7 novembre dall’Organizzazione mondiale della sanità ( Oms ). Sono infatti trascorsi 42 giorni da quando è guarita l’ultima persona colpita dalla grave malattia. Per precauzione, tuttavia, il Paese è entrato in un periodo di sorveglianza che proseguirà sino al 5 febbraio 2016.“Da quando la Sierra Leone – ha detto Anders Nordström, rappresentante Oms nel Paese africano – ha registrato il prima caso di Ebola, a maggio 2014, un numero totale di 8704 persone sono state infettate, delle quali 3589 sono decedute, tra cui 221 operatori sanitari”. Attualmente è allo studio un vaccino, che sul tipo di Ebola che ha colpito l’Africa “si è dimostrato efficace in oltre il 75% dei casi”. Dunque il temibile virus potrebbe essere “efficacemente prevenuto grazie a un nuovo vaccino ricombinante basato sull’espressione di una proteina di superficie che caratterizza il virus stesso, di cui è stata utilizzata una versione attenuata e ingegnerizzata”. Ne ha parlato recentemente la rivista The Lancet in riferimento a una ricerca condotta in Guinea (Paese che confine con la Sierra Leone).Ebola è una grave patologia, fatale in circa la metà dei casi. I primi focolai si sono riscontrati in villaggi sperduti dell’Africa centrale, in prossimità delle foreste tropicali, ma i casi successivi hanno investito anche le maggiori città dell’Africa occidentale e le aree rurali. L’assistenza sanitaria tempestiva necessita di reidratazioni e trattamenti sintomatici, che aumentano il tasso di sopravvivenza. C’è poi il caso di Ian Crozier, un medico che lavorava in Sierra Leone. Contagiato da Ebola, è riuscito a guarire dopo molte cure. Senonché dopo oltre due mesi dalla remissione, all’improvviso si è manifestata all’occhio sinistro una malattia oculare chiamata uveite anteriore acuta. Il medico aveva entrambi gli occhi azzurri, ma quello in cui si è annidato Ebola è diventato verdastro. La pressione oculare è aumentata molto oltre i livelli di guardia e l’occhio ha manifestato un forte arrossamento. Dopo le opportune cure oculistiche l’acuità visiva è tornata a essere buona.
Occhio alle lenti a contatto colorate Opportune cautele supplementari a causa dei coloranti. L’American Academy of Ophthalmology avverte: potenziali rischi per la vista 6 novembre 2015 – Le lenti a contatto colorate possono creare problemi oculari da non sottovalutare. Si posso verificare, ad esempio, abrasioni o ulcere corneali (lesioni della superficie dell’occhio). In rari casi estremi di gravi complicazioni, avverte l’ American Academy of Ophthalmology , si prospetta persino il rischio di cecità. Un recente studio giapponese pubblicato su Eye & Contact Lens fa luce sui potenziali problemi oculari: grazie all’uso di un microscopio elettronico a scansione sono stati studiati i coloranti contenuti nelle lenti cosmetiche, che contengono materiali quali titanio, ferro e cloro. Questi ultimi si possono depositare sulla superficie delle lenti, risultando tossici o dannosi per i tessuti oculari. Il problema si pone soprattutto in quei Paesi dove le lenti a contatto colorate possono essere utilizzate senza la prescrizione di un oculista, ad esempio l’Italia. Perciò è più facile che i giovani non siano ben istruiti sul loro corretto utilizzo e sulle norme igieniche da rispettare : ne risulta una maggiore probabilità di andare incontro ad infiammazioni oculari o, nei casi più gravi, a cheratiti . è importante, prima di iniziare a farne uso, che l’oculista si accerti che non ci siano controindicazioni. Va ricordato che è sconsigliato l’uso delle lenti a contatto in spiaggia e in piscina, ed è assolutamente necessario recarsi dallo specialista non appena insorgano alterazioni visive o irritazione oculare.
Sistema sanitario, l’Italia spende menoNuovo rapporto Ocse denuncia: indietro negli investimenti in prevenzione e nell’assistenza agli anziani 5 novembre 2015 – L’Italia è indietro nell’assistenza agli anziani e nella prevenzione sul piano della spesa. Eppure occorrono entrambi. Lo evidenzia l’Ocse in un nuovo Rapporto ( Health at Glance ), in cui tuttavia sottolinea come gli standard sanitari del nostro Paese siano al di sopra della media delle nazioni sviluppate. Però ricorda che da noi la spesa sanitaria pro-capite è diminuita in termini reali a partire dal 2011. Insomma, il mondo della sanità si è ritrovato a stringere la cinghia e gli italiani a esborsare di più per pagare ticket e prestazioni sanitarie. L’Italia, globalmente parlando, ha un buon sistema sanitario (rientra nel gruppo di testa degli Stati Ocse). Però, anche se è un Paese di anziani, l’aspettativa di vita in buona salute a 65 anni è al di sotto della media europea. Ai primi posti, invece, si trovano una serie di nazioni nordiche: Islanda, Norvegia, Svezia, Danimarca e Irlanda. Eppure viviamo a lungo: l’aspettativa di vita alla nascita è quasi di 83 anni.Il numero di posti letto nel Belpaese (3,4 per mille nel 2013) è decisamente inferiore alla media Ocse (4,8 per mille tra una quarantina di Stati). Al top della classifica si trova il Giappone (13,3 posti letto per mille), mentre la maglia nera va all’India (0,5 per mille).“La spesa sanitaria pro capite in Italia – scrive l’Ocse – è diminuita del 3,5% in termini reali nel 2013, il terzo anno consecutivo che vede una restrizione della spesa, e dati preliminari per il 2014 indicano un’ulteriore riduzione dello 0,4%”.“Una serie di misure di contenimento della spesa sanitaria sono state implementate in Italia a seguito della crisi economica. Alcune misure – osserva l’Ocse – hanno interessato la spesa farmaceutica. La quota di mercato rappresentata da farmaci generici è quadruplicata dagli anni 2000, contribuendo alla riduzione dei prezzi e della spesa. Tuttavia, la penetrazione dei farmaci generici resta relativamente bassa in Italia, rappresentando il 19% del mercato farmaceutico totale in volume nel 2013”. Come a dire che non si fa ancora sufficientemente uso dei farmaci equivalenti, che consentono di risparmiare in modo considerevole.
Alimentazione scorretta, pigrizia, troppo fumo e alcol. Studio su oltre 8500 studenti universitari
3 novembre 2015 – Poca frutta e verdura, troppo alcol, tabacco e sedentarietà. A livello di stile di vita sono questi i “peccati” principali degli studenti universitari italiani, almeno secondo il ritratto che ne ha fatto l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma (Facoltà di Medicina e chirurgia) assieme all’Istituto Superiore di Sanità.
Nel 2015 l’indagine “Sportello Salute Giovani” è stata pubblicata integralmente sugli Annali dell’Istituto Superiore di Sanità. La ricerca è stata condotta su 8516 studenti di dieci università italiane, d’età compresa tra i 18 e i 30 anni: 5702 donne (67%) e 2814 uomini (33%), con età media di poco superiore ai 22 anni. Eppure la stragrande maggioranza degli universitari italiani – ben 8 su 10 – si sentono in buona o ottima salute. Altissima l’attitudine verso le nuove tecnologie, con rischio di abuso e dipendenza: tutti gli studenti hanno almeno un telefono cellulare e 7 su 10 usano il loro smartphone per essere sempre connessi.
Tra gli studenti universitari “solo 4 su 10 seguono – si legge in una nota congiunta dell’Istituto Superiore e dell’Università Cattolica – le raccomandazioni nazionali per il corretto consumo quotidiano di frutta e solo 2 su 10 quelle relative all’assunzione delle giuste quantità di verdura Sono troppi gli studenti sedentari, cioè ben 3 su 10 non svolgono attività fisica, mentre un numero consistente di universitari cedono alle lusinghe di Tabacco e di Bacco: 3 studenti su 10 hanno l’abitudine al fumo e 4 su 10 consumano settimanalmente vino e birra.
“Questi dati – ha concluso Walter Ricciardi, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità – ci impongono di prestare una maggiore attenzione in tutte le politiche, e non solo in quelle sanitarie, all’educazione agli stili di vita salutari. Il vantaggio è doppio, individuale e collettivo: essere anziani con un buon tempo da spendere e poter affrontare una spesa sanitaria maggiormente sostenibile”.
Fonti: Istituto Superiore di Sanità, Università Cattolica del Sacro Cuore