Zone retiniche rigenerate con le staminali Ottenute nuove cellule ‘di ricambio’ dalla pelle di cavie di laboratorio. Però sono ancora lontane le prospettive di cura per gli esseri umani 20 maggio 2011 – Miglior vista… ma da topo. Negli Stati Uniti si è riusciti a migliorare le capacità visive di cavie di laboratorio utilizzando cellule staminali per riparare la retina danneggiata. Però gli embrioni questa volta non c’entrano: sono state usate cellule adulte della pelle che, mediante un intervento genetico, sono state ringiovanite ‘artificialmente’ per poi essere innestate laddove il tessuto retinico era compromesso. Nell’impresa – che gli scienziati in futuro puntano a replicare sugli esseri umani – è riuscito un prestigioso istituto di ricerca americano che fa capo all’Università di Harvard, lo Schepens Eye Research Institute . Lo studio, in cui si parla di ampie aree retiniche rigenerate, è stato pubblicato sulla rivista PLOS One e, sebbene ancora sperimentale, promette sviluppi per trattare malattie come la degenerazione maculare legata all’età (la cui forma secca è incurabile), la retinite pigmentosa, la retinopatia diabetica e altre patologie della retina più o meno comuni. “Mentre altri ricercatori – sottolinea Budd A. Tucker, il direttore dello studio, dell’Università dello Iowa – hanno avuto successo nel convertire le cellule cutanee in cellule pluripotenti indotte (iPSCs) e, di conseguenza, in neuroni retinici, riteniamo che sia la prima volta che questo livello di ricostruzione e di ripristino della funzione retinica sia stato rilevato”. Scoperte dai giapponesi nel 2006, le staminali ottenute da cellule adulte mediante riprogrammazione genetica danno speranza a milioni di persone colpite da malattie degenerative. Tuttavia, bisogna tenere conto del rischio di tumore: se lo sviluppo delle staminali non è correttamente indirizzato si può verificare un ‘impazzimento’ cellulare che può essere dannoso per la salute. Le cellule staminali da trapiantare sono state introdotte negli occhi di topi colpiti da degenerazione retinica causata da una mutazione genetica. L’équipe di ricercatori ha poi effettuato un esame dell’attività elettrica della retina (ERG) e ha constatato un suo aumento significativo nel tessuto retinico appena ricostruito. Di fatto il livello di attività elettrica è stata all’incirca la metà di quella di una retina sana. I ricercatori hanno visto che, stimolando con la luce le cellule fotorecettrici integrate nella retina, si rilevava nei neuroni un segnale bioelettrico assente nell’occhio non trattato. I passi successivi saranno quelli di ripetere l’esperimento su un numero più ampio di animali colpiti da degenerazione retinica per poi, infine, possibilmente sottoporre gli esseri umani ad esperimenti analoghi. Però le prospettive di cura sugli esseri umani restano ancora lontane perché i tempi di sperimentazione e di verifica dei risultati – che si spera vengano confermati – sono decisamente lunghi.
Fonte: Schepens Eye Resarch Institute