Uno strumento in più per la diagnosi precoce del glaucoma, una malattia cronica degenerativa che colpisce il nervo ottico, è rappresentato dall’Indice di Rischio Integrato (IRI) sviluppato dal Dott. Pier Franco Marino, Honorary Fellow in Oftalmologia presso il Dipartimento di Medicina e Scienze della Salute “V. Tiberio” dell’Università degli Studi del Molise. A disposizione degli specialisti una funzione algoritmica su una chiave USB e una applicazione per smartphone che può arrivare fino alla diagnosi della patologia.
Con i suoi 64 milioni di pazienti, il glaucoma, ovvero “il ladro silenzioso della vista”, è la seconda causa di cecità nel mondo dopo la cataratta[1]. È possibile ridurre le conseguenze mediche ed economiche di questa patologia purché essa sia diagnosticata e curata tempestivamente attraverso visite oculistiche periodiche complete. Da oggi, però, esiste un’arma in più per trattare precocemente questa neuropatia ottica multifattoriale che è più prevalente dopo i 40 anni e lentamente porta ad un deficit della funzione visiva: è la strategia di “case finding” basata su un algoritmo, ideata dal Dott. Pier Franco Marino e in fase di ottimizzazione presso l’Università del Molise.
Il modello consiste nell’utilizzare i dati ottenuti nel corso di una visita oculistica di base, per “profilare” i pazienti a maggior rischio di sviluppo della patologia: “Per lo screening del glaucoma – spiega l’Autore del metodo – è fondamentale selezionare sottopopolazioni caratterizzate da un aumento del rischio di prevalenza della patologia, ovvero persone con età maggiore di 40 anni e un tono oculare superiore a 20 mmHg. Parliamo di pazienti che afferiscono agli ambulatori territoriali per diversi motivi, anche per una semplice visita di controllo. Grazie a questo metodo otteniamo un valore numerico, chiamato Indice di Rischio Integrato (IRI), alla cui composizione concorrono diversi fattori di rischio della patologia, opportunamente ‘ponderati’ in base a studi di epidemiologia sulla popolazione”.
“Razza, età, familiarità, difetto rifrattivo, tono oculare e spessore corneale sono i principali elementi riconosciuti significativi per la diagnosi del glaucoma, che misuriamo singolarmente, integrandoli in una funzione lineare. Non tutti i fattori posseggono lo stesso peso, ma ognuno è tarato opportunamente in maniera da ottenere un valore numerico”.
Grazie a questo algoritmo si attiva un percorso diagnostico a tre livelli, “customizzato” per ciascun paziente: “La formulazione della diagnosi passa attraverso l’esecuzione mirata e sequenziale di sei step diagnostici. Se il valore dell’Indice di Rischio Integrato è inferiore a 0,3, il paziente è osservato nuovamente entro un anno. Se invece il valore dell’IRI. è superiore a 0,3, il paziente è sottoposto ad un secondo livello di esami (osservazione della papilla e dell’area peripapillare ed effettuazione della curva tonometrica diurna). Se questi esami risultano entrambi negativi, il paziente sarà rivalutato dopo 6 mesi, ma se uno o entrambi gli esami risultano patologici, il paziente sarà sottoposto al terzo ed ultimo step diagnostico, rappresentato dalla perimetria computerizzata e dalla gonioscopia. Il percorso è estremamente personalizzato e tutti i pazienti a rischio sono seguiti fino alla definizione del sospetto diagnostico”.
Sono circa 600 i pazienti visitati finora con questo screening mirato: “La controprova statistica della validità del metodo – spiega il Dott. Marino – è che la percentuale di pazienti individuati con questa strategia è simile ai dati di prevalenza ufficiale del glaucoma in Italia, pari all’1,3%”. Ma i vantaggi dello screening non finiscono qui: “Questo percorso è facilmente eseguibile negli ambulatori territoriali e il calcolo può essere eseguito anche dal personale ancillare con il risultato di aver messo a disposizione degli specialisti una chiavetta USB e una applicazione telefonica, nella quale poter inserire i dati e far lavorare l’algoritmo, che può arrivare anche alla diagnosi”.
Secondo i dati dell’Istituto Mario Negri di Milano, i costi sociali del glaucoma sono ancora elevati: “Il peso economico della malattia è pari a 800 euro l’anno – commenta il Dott. Marino – e i suoi costi sono ripartiti tra farmaci, esami specialistici e visite di controllo. Diversamente, per una persona esente da malattia la spesa dell’intera pista diagnostica è di circa 120 euro. Questa patologia deve essere considerata una vera pandemia che va combattuta attraverso la diagnosi precoce per poter ridurre la disabilità visiva”.
Sulla base di questo metodo, è possibile ottimizzare le risorse a disposizione degli ambulatori territoriali, dove afferisce il paziente che ha bisogno di terapia: “Profilare il paziente è importante, perché permette di concentrare le poche risorse economiche a disposizione sui pazienti più a rischio, consentendo così di investire maggiormente dove il rischio è più elevato. Gli ambulatori territoriali rappresentano il punto di incontro tra le esigenze di salute del cittadino e il Servizio Sanitario Nazionale e, generalmente, sono caratterizzati da un elevato volume di utenza e da una scarsità di mezzi diagnostici strumentali. I care givers devono quindi cercare di ottenere più informazioni cliniche possibili con i mezzi e il tempo che hanno a disposizione”.
Un percorso, questo, di good medical practice nato sei anni fa, a partire dai dati della letteratura scientifica internazionale, e del quale sono stati già pubblicati due studi preliminari[2]: “Grazie alla Cattedra di Malattie dell’Apparato Visivo dell’Università del Molise e del Prof. Ciro Costagliola, Direttore del Dipartimento di Medicina e Scienze della Salute – conclude il Dott. Marino – abbiamo allargato la coorte dei pazienti e nei prossimi mesi pubblicheremo uno studio più ampio”.
[1] Dati dell’OMS: World Report on Vision, Ottobre 2019.
[2] Cfr. P.F. Marino, Applicazioni cliniche di una case-finding strategy per il glaucoma primario ad angolo aperto (poag): efficacia e razionalizzazione dei costi, in “Ottica Fisiopatologica”, Giugno 2014 e P.F. Marino, Case-finding strategy per il glaucoma primario ad angolo aperto (POAG),in “Ottica Fisiopatologica”, Dicembre 2012.