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Cellule retiniche progenitrici ottenute da staminali embrionali (Fonte: University of California)

Staminali embrionali animali per rigenerare la retina

Cellule retiniche progenitrici ottenute da staminali embrionali (Fonte: University of California)Staminali embrionali per rigenerare la retina Ricercatori californiani hanno creato una struttura retinica con cellule nervose animali progenitrici 27 maggio 2010 – Le cellule staminali alimentano nuove speranze in chi soffre di malattie degenerative retiniche oggi incurabili. Presso l’Università della California è stata creata una retina ai primi stadi di sviluppo impiegando cellule progenitrici. Si tratta di una struttura tridimensionale ad otto strati, costituita da staminali embrionali animali, che rappresenta un ulteriore passo avanti verso il trapianto di retina (attualmente non possibile), al fine di trattare malattie come la retinite pigmentosa o la forma più diffusa di degenerazione maculare legata all’età (detta secca). Mediante un procedimento chiamato differenziazione, a partire da cellule ‘bambine’ indifferenziate si possono ottenere – indirizzandone correttamente lo sviluppo – cellule nervose retiniche funzionanti che, almeno in teoria, possono poi essere impiantate nei malati. Per far sì che le staminali diventassero Staminali embrionalicellule retiniche sono stati utilizzati appositi terreni di coltura. Se questi test condotti su animali da laboratorio avranno successo nel migliorare la visione delle cavie, si potranno cominciare i test sperimentali anche sugli esseri umani. Esiste, tuttavia, anche la possibilità di riprogrammare geneticamente le cellule adulte senza ricorrere alle embrionali: qualunque cellula dell’organismo può ringiovanire mediante un intervento sul suo Dna fino a tornare allo stadio di staminale; dopodiché si può scegliere se farla sviluppare fino a diventare una cellula retinica ( clicca qui per approfondire). In tutti i casi si tratta, comunque, di terapie sperimentali.

Fonte principale: University of California , Irvine (Usa). L’articolo originale è pubblicato dal Journal of Neuroscience Methods.

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