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Molecola della rodopsina, pigmento su cui è basato il funzionamento dei bastoncelli

‘Ritratto molecolaré per i pigmenti retinici

Molecola della rodopsina, pigmento su cui è basato il funzionamento dei bastoncelli‘Ritratto molecolare’ per i pigmenti retinici A Berlino i ricercatori hanno studiato a fondo la funzionalità visiva in condizioni di bassa luminosità 1 marzo 2011 – I meccanismi biochimici che consentono alla retina di funzionare vengono messi sempre più a fuoco. Nella retina un’interazione tra proteine contribuisce alle straordinarie potenzialità della sensibilità visiva. Le ‘danze’ molecolari che sono alla base della visione in condizioni di bassa luminosità sono state studiate con particolare solerzia da un’équipe di ricercatori che lavorano a Berlino. L’interazione proteica può costituire un modello di funzionamento anche degli altri sensi e di altre innumerevoli funzioni fisiologiche. Retina (fondo oculare) “Nel corpo umano sono presenti quasi un migliaio di tipi diversi di queste proteine, di cui quasi la metà sono obiettivo di trattamenti farmacologici”, spiega Marta E. Sommer, ricercatrice presso l’Istituto di Fisica Medica e Biofisica della Charité Medical School. Fotorecettori retiniciLa retina può essere considerata, data la sua struttura neuronale, un’estensione del cervello e, di conseguenza, parte del sistema nervoso centrale. ‘Incastonati’ nella retina ci sono circa 150 milioni di fotorecettori detti bastoncelli, che funzionano grazie a un pigmento chiamato rodopsina. Se quest’ultimo viene attivato da un minimo bagliore (persino da un singolo fotone), la molecola si lega a un’altra proteina e avvia una cascata di reazioni biochimiche che consentono di vedere; in questo caso si tratta della visione periferica e di quella che si ha in condizioni di bassa luminosità. “Dopo questo evento di segnalazione – spiega Sommer – l’attività della rodopsina deve essere interrotta. Questo compito viene assolto da una terza molecola chiamata arrestina, che lega la rodopsina che è stata attivata dalla luce, bloccando ulteriori segnalazioni”. Quando questa attività non viene del tutto inibita, un ‘sovraccarico’ bioelettrico può avere come effetto una diminuzione della sensibilità alla luce fino alla morte di cellule retiniche. Le persone che difettano di arrestina sono, infatti, colpite da una forma di cecità notturna chiamata malattia di Ogushi. Questi individui, conclude la ricercatrice, “sono ciechi in condizioni di bassa luminosità e col tempo possono soffrire di degenerazione retinica”. Comprendendo a fondo questi meccanismi un giorno si potranno probabilmente mettere a punto nuovi farmaci per combattere l’ipovisione e la cecità.

Fonti: Journal of Biological Chemistry , American Society for Biochemistry and Molecular Biology.

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