Il confronto della seconda sessione della Giornata Mondiale della Vista, in diretta streaming sulla pagina Facebook di Iapb Italia Onlus, si è sviluppato a partire dalla necessità di prendersi cura della salute degli occhi ancor prima che la malattia sopraggiunga. Una prevenzione che comincia fin dai primi mesi di vita.
Una buona prevenzione è il primo passo lontano dalla riabilitazione. Spesso si sottovalutano i segnali che il nostro occhio ci invia fin dalla tenera età: un invito a dargli la giusta attenzione arriva da IAPB Italia Onlus che, in occasione della Giornata Mondiale della Vista tenutasi l’8 ottobre 2020, ha riportato le testimonianze di esperti durante una maratona live sul proprio canale Facebook.
In questa seconda sessione è emerso come siano molteplici i fattori che influenzano la salute del nostro occhio. Primi tra tutti, gli stili di vita, ovvero «l’insieme di tutti i comportamenti o abitudini di vita che ognuno mette in atto durante la sua esistenza» A spiegarlo è stato Federico Marmo, Oculista Tenente Generale del Corpo Sanitario dell’Esercito, evidenziando come i corretti stili di vita siano risultato di «educazione, cultura e istruzione». «Per esprimere e mettere in atto corretti stili di vita è necessario avere una mentalità, e quindi una educazione di base, che vede nella cura della persona un valore fondamentale» ha continuato Marmo, sottolineando come l’educazione al benessere sia il risultato di una azione di concerto «a cui deve contribuire famiglia, scuola e mondo del lavoro oltre a istituzioni e associazioni che intervengono nella formazione dei cittadini, comprese quelle sportive». Tra gli stili di vita che Marmo ha ricordato, un ruolo centrale è svolto dall’alimentazione: «È da tempo assodato che una alimentazione scorretta dal punto di vista quantitativo e qualitativo è un fattore di rischio per diverse malattie, come quelle metaboliche e le vasculopatie». Altro elemento importante «è l’abitudine all’attività fisica: la sedentarietà incide molto negativamente sulla salute e sulla longevità degli individui». «La salute è un diritto ma anche un dovere» ha quindi concluso Marmo, ricordando che il benessere del nostro corpo, occhio incluso, comincia proprio da noi.
A volte si può trattare di piccole accortezze, come ha successivamente ricordato Elena Piozzi, Direttore Emerito S.C. Oculistica Pediatrica Osp. Niguarda Ca’ Granda Milano, parlando in particolare della miopia nei bambini. «Una delle domande che i genitori mi rivolgono più spesso è come proteggerli quando utilizzano device elettronici» ha raccontato, sottolineando il rischio all’esposizione continuativa alla luce blu dei display. «L’uso dei device è consentito, ma sempre con una certa attenzione e soprattutto va valutata postura, distanza e se la stanza in cui si trova è illuminata o meno. È molto importante limitare il tempo che i più piccoli passano davanti agli schermi. Ogni tanto bisogna interrompere favorendo anche l’uscita all’esterno». Infatti «la vita all’aperto è considerata un fattore protettivo della miopia e stimola la vista da lontano. L’eccesso di lavoro da vicino è uno dei fattori ambientali che rende i casi di miopia più numerosi e insorgenti». Un aumento che pone il focus non solo sull’uso di lenti, ma anche di metodologie correttive, soprattutto nei più piccoli. «Oggi cosa possiamo fare? – si è chiesta la dottoressa Piozzi – Esami nei tempi giusti, anamnesi della storia genitoriale e familiare». «Attenzione – ha però ricordato – le lenti non bastano a fermare la miopia, questa cresce continuamente. Quindi la letteratura negli ultimi anni ha cercato metodiche e strategie per ridurre la progressione, ad esempio, sotto correzione da vicino, ortocheratologie (indosso notturno), uso di lenti a contatto. Di tutte queste metodiche la letteratura è abbastanza univoca nel dire che quello che sembra essere la risposta migliore è l’uso del collirio, in particolare un collirio di atropina con concentrazioni basse, che non dà quindi effetti collaterali ma consente una riduzione della progressione della miopia». Anche la dottoressa ha comunque invitato i genitori a non trascurare test e visite oculistiche dei propri figli.
«La prevenzione comincia fin da subito – ha infatti ricordato il dottor Roberto Perilli, Dirigente Responsabile UOS Oculistica Territoriale ASL Pescara, durante il suo intervento alla maratona – i reperti si possono trovare alla nascita e nei primi anni di vita: più è precoce la diagnosi meglio è». In particolare, è stato posto l’accento sull’importanza del test del riflesso rosso. «Altro non è che l’esatto equivalente clinico di quando facciamo le foto e vengono gli occhi rossi – ha spiegato il dottor Perilli –. Il test viene eseguito dai pediatri: si proietta luce nell’occhio, si osserva quella di ritorno che è rosso-arancione. Se questa è uniforme e lineare, siamo in presenza di un occhio sano perché la luce non incontra ostacoli, che potrebbero altrimenti far pensare a tumori, modifiche, glaucoma congenito, cataratta etc».
Ecco perché «bisogna controllarsi a scadenze fisse, grosso modo ogni 2-3 anni fino ai 50, rendendole più frequenti con l’aumento dell’età. Molti rischi sono infatti silenziosi, si veda ad esempio il glaucoma, e vengono notati quando è troppo tardi» ha quindi sollecitato Perilli, sottolineando come la visita diventi fondamentale «non appena si percepisce che qualcosa non funziona».
Dove però non arrivano buone abitudini e prevenzione, arrivano invece la cura e la riabilitazione. A spiegare in particolare l’intervento chirurgico per il glaucoma è stato Alessandro Tiezzi, Oftalmologo Casa di Cura Fabia Mater: «Laddove le terapie farmacologiche non sono sufficienti e la pressione endooculare si innalza, diventa necessario operare per impedire conseguenze come la compromissione del nervo ottico e del campo visivo». «La chirurgia è varia, sono state introdotte nuove tecniche e sempre meno invasive – ha continuato Tiezzi – che hanno il loro ambito di applicabilità e sono riservate a determinati casi di glaucoma e ipertono». In particolare, «la chirurgia del glaucoma è la creazione di una via di filtraggio valida (far uscire umore acqueo), mentre l’estrazione della cataratta è la chirurgia più usata al mondo. Ecco perché non viene più considerata tra le malattie più invalidanti, rimanendo comunque una condizione seria e non scevra di rischi e conseguenze».
A portare la propria testimonianza, in forma di lettera, è stata Renata Palma, giornalista ipovedente che ha raccontato come «perdere la vista sia una esperienza devastante». «Per chi come me, assolutamente indipendente, cessa di vedere in maniera “normale” da un giorno all’altro, tutto quello che si era costruito si distrugge. Così arrivano giornate solo a dormire, a non uscire mai di casa. Sopravviene la paura». Ecco allora che il percorso di riabilitazione diventa fondamentale non solo dal punto di vista fisico ma anche psicologico. «Voi mi vedete oggi e tutto sembro meno che un’invalida. Anche perché spesso si collega l’immagine di un invalido ad un essere che la sofferenza trasforma e pertanto assume canoni estetici diversi dal “normale”. Ma per fortuna non è così. Comunque mi ci sono voluti quattro anni di lavoro su di me. Sulla costruzione di una nuova percezione di me e delle mie capacità. E certamente non ho potuto fare tutto questo da sola». Renata Palma ha raccontato che a segnalarle un centro per la prevenzione della cecità e la riabilitazione visiva fu la sua portiera. «Davanti a lei ho composto il numero di telefono e senza nemmeno aspettare molto tempo ho avuto dall’altro capo del filo una voce gentile che ha saputo dare risposte alle mie innumerevoli domande, che uscivano dalla mia bocca come un fiume in piena. Così mi viene dato un appuntamento con la psicologa».
Parole toccanti a cui ha fatto eco Stefania Fortini, Vice Direttore del Polo Nazionale Ipovisione - WHO Collaborating Centre: «La malattia crea spaccatura tra un prima e un dopo – ha commentato – dove emozioni, come un senso di impotenza e uno stato di frustrazione, fanno da padrone». «Chi entra nel nostro Polo viene accolto, lo ascoltiamo con attenzione e sensibilità» ha continuato Fortini, evidenziando come «la minorazione visiva è l’unica disabilità che invade e pervade tutti gli ambiti della vita: personale, interpersonale, lavorativa…».
« Mai come in questo momento il percorso psicologico è fondamentale nell’intraprendere un percorso riabilitativo. Noi interveniamo per recuperare e far vedere, aiutare la persona ad accettare i limiti che la minorazione impone». La dottoressa Fortini si è quindi unita al messaggio di speranza che la paziente Renata Palma ha lanciato tramite la sua lettera: «Non arrendersi mai. Affidarsi agli esperti e riscoprire le frecce a disposizione nel proprio arco […] Ridere fa bene e prendersi in giro ancora di più. È la tristezza la madre di tutti i malanni. Bisogna credere nella possibilità di svolgere la matassa della vita in altra maniera. Con il tempo si sviluppano altre abilità e si accentuano altri sensi. A me per esempio si è sviluppato moltissimo l’udito. Non dobbiamo dimenticarci che Siamo noi artefici del nostro destino».