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Occhio bionico, riabilitazione al Polo Nazionale

Una malata di retinite pigmentosa riesce a riconoscere grandi lettere e a individuare fonti luminose

Protesi retinica Argus II (Foto: ARVO 2016)

Ha rivisto per la prima volta grandi lettere bianche su sfondo nero dopo una decina d’anni trascorsi nell’oscurità a causa della retinite pigmentosa, una malattia retinica ereditaria. Il brivido di una rinnovata percezione di luce e ombre ha “contagiato” l’oculista e gli ortottisti che la stanno aiutando a (re)imparare a vedere la realtà in digitale. Al Polo Nazionale la riabilitazione è sempre più hi-tech: una persona prima cieca assoluta, grazie al cosiddetto “occhio bionico”, sta imparando a esplorare visivamente la realtà circostante. Oscillando continuamente la testa riesce a individuare grandi linee parallele (strisce bianche), a riconoscere alcune grandi sagome e a localizzare le fonti luminose. È riuscita a leggere persino una breve parola (“IO”).

Dal Careggi al Gemelli

Impianto dell'occhio bionico (foto: Azienda ospedaliero universitaria pisana, dove per la prima volta in Italia sono stati effettuati gli impianti)

L’Ospedale Careggi di Firenze le ha impiantato un chip sulla retina all’inizio del 2016: l’occhio bionico è di fatto uno “stimolatore” dell’attività retinica residua, dato che ci devono essere cellule nervose ancora vitali. Se il nervo ottico è integro i segnali retinici possono giungere alla corteccia cerebrale. Insomma, in qualche modo si è “resuscitata” la capacità di percezione visiva.

L’impianto retinico è possibile solo in alcuni casi, in particolare se si è colpiti da retinite pigmentosa oppure da coroideremia e si hanno almeno 25 anni d’età.

Lo stato dell’arte in Italia

In Italia l’impianto della protesi retinica è stato effettuato in pochi centri al momento in cui scriviamo: in Toscana (Pisa e Firenze), Lombardia (S. Paolo di Milano) e in Veneto (a Camposampiero, in provincia di Padova, il primo ospedale non universitario a tentare questa strada). Dal canto suo il Occhiali con videocamera incorporata collegati in wireless al chip retinico (Immagine dell'occhio bionico: Second Sight, part.) Polo Nazionale riabiliterà alcune persone, in particolare quelle che vivono nel Lazio a cui è stato già impiantato l’occhio bionico.

Come si vede nei casi migliori

Grazie alla protesi retinica si può avere una visione “tubulare” (al centro del campo visivo si vede per un massimo di 20°), si percepiscono scale di grigio e a scacchi attraverso una “feritoia”, si riescono a distinguere forme grandi e molto contrastate. L’occhio bionico può consentire, inoltre, di individuare una fonte luminosa (una finestra) in un ambiente in cui non ci sia una luce troppo forte. Oppure può consentire di seguire un percorso luminoso posto a terra. Gli occhiali speciali sono dotati di una piccola videocamera al centro della montatura, che capta le immagini e le trasmette a un chip attualmente provvisto di 60 elettrodi, almeno nella versione approvata sia dagli Usa che dall’Unione europea.

Visione elettronica, un nuovo futuro?

Questa nuova impresa umana suona come una sorta di “miracolo” tecnologico, capace di emozionare anche gli scienziati più impassibili. Ci sono grandi aspettative, nonostante non sia semplice imparare a vedere in bassa risoluzione. Occorrono indicativamente una decina di sedute di addestramento che durano un paio d’ore ciascuna. Bisogna essere molto motivati e tenaci. Si tratta di percorrere una strada che, in un certo senso, porta al futuro: probabilmente se non si riusciranno a prevenire o a trattare malattie oculari oggi ritenute incurabili sempre più persone potranno recuperare parzialmente la loro vista per via tecnologica.

– Fonti di riferimento: Polo Nazionale, Ophthalmology

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