Al Polo Nazionale Ipovisione, ospitato all’interno del Policlinico Gemelli di Roma, la stimolazione elettrica si aggiunge al supporto psicologico e alle altre più collaudate tecniche riabilitative, nel trattamento del paziente ipovedente.
Le patologie retiniche ereditarie provocano una riduzione progressiva ed irreversibile della funzione visiva, talora emergente sin dai primi anni di vita. Non esistono cure, ma si possono imparare a gestire le malattie e i loro effetti migliorando la qualità di vita delle persone. Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Francesca De Rossi, Oculista del Polo Nazionale Ipovisione e Riabilitazione visiva.
Cosa sono le patologie retiniche ereditarie? Qual è la loro incidenza complessiva?
«Le patologie retiniche ereditarie sono delle patologie che colpiscono la retina e vengono determinate da una o più mutazioni genetiche trasmesse familiarmente o che compaiono per la prima volta nell’ambito familiare (in questo caso la mutazione viene definita ‘spontanea’). Ne abbiamo di diverse tipologie, tra queste, ad esempio, alcune colpiscono la funzione visiva periferica, portando nel tempo ad un restringimento sempre maggiore del campo visivo del paziente e talora alla cecità assoluta. Altre, invece, colpiscono la funzione visiva centrale con conseguente impossibilità di fissare gli oggetti, visualizzare i dettagli, leggere fluentemente. La loro incidenza è inferiore ad 1 su 5000, pertanto vengono definite patologie rare».
In quale fascia di età si manifestano tali tipologie?
«Le patologie retiniche ereditarie in alcuni casi possono essere diagnosticate già in età pediatrica, di qui l’importanza di sottoporre i bambini agli screening oculistici di routine, a maggior ragione se nel contesto familiare sono presenti persone affette. In altri casi, però, i sintomi possono essere avvertiti in ritardo, specie per le patologie che causano una riduzione del campo visivo, e la diagnosi può essere più tardiva».
Se la patologia viene diagnosticata tempestivamente, è maggiore la probabilità di guarigione?
«Ad oggi, una diagnosi precoce consente una migliore gestione della patologia, perché l’intervento riabilitativo migliora la qualità di vita del paziente. Non c’è purtroppo possibilità di guarigione, poiché attualmente non esiste una cura. Sebbene ci siano studi scientifici molto promettenti, ed in particolare mi riferisco a quelli sulla terapia genica che lasciano ben sperare per il futuro, al momento non abbiamo ancora un trattamento in grado di risolvere o, quanto meno, bloccare l’evoluzione di questo tipo di malattie».
Come vengono trattate al Polo Nazionale queste tipologie di malattie?
«Il nostro è un approccio soprattutto funzionale. Al Polo Nazionale, come prima cosa, ci concentriamo sui problemi di vista effettivi che riporta il paziente e sulla limitazione di autonomia che questi provocano. In base al tipo di deficit funzionale e alle necessità che ha il paziente, stiliamo un programma riabilitativo personalizzato, che oltre al supporto psicologico ed alla riabilitazione con ausili, può prevedere anche tecniche di stimolazione visiva o di stimolazione elettrica».
Che cos’è la stimolazione elettrica?
«La stimolazione elettrica non invasiva con corrente alternata avviene tramite degli elettrodi posti in sede oculare o perioculare ed è un tipo di trattamento che viene ormai studiato da una decina di anni. Tale stimolazione viene fatta in diversi modi: transpalpebrale, transcorneale attraverso l’utilizzo di lenti a contatto specifiche oppure transorbitaria, ossia con degli elettrodi messi vicino alle orbite. La stimolazione elettrica ha diversi effetti: induce il rilascio di una serie di fattori neurotrofici, stimola la proliferazione e la sopravvivenza cellulare, ha effetto vasodilatatorio migliorando la circolazione. Studi recentissimi addirittura hanno evidenziato una risposta da parte delle cellule di Muller in senso riparatorio e di neurorigenerazione. Abbiamo avuto modo di utilizzare la stimolazione elettrica transorbitaria in pazienti affetti da retinite pigmentosa, malattia per cui non c’è terapia e che può condurre alla cecità. Abbiamo ottenuto dei risultati importanti, certo non possiamo dire che i pazienti abbiano riacquistato la vista, ma il miglioramento è stato percepito e la vita di queste persone è migliorata».
Sono state riscontrate delle controindicazioni a questo trattamento?
«Assolutamente no ed in questo concordano anche gli studi scientifici. Gli effetti collaterali riscontrati sono di lievissima entità e sono per lo più relativi alla stimolazione transcorneale che, nella peggiore delle ipotesi, può determinare una lieve cheratite puntata superficiale. Nella nostra esperienza, utilizzando la stimolazione transorbitaria non abbiamo avuto alcun effetto collaterale».
Si utilizzerà in futuro la tecnica della stimolazione?
«Certamente. Il prima possibile avremo un dispositivo di nostra proprietà che ci consentirà non solo di approfondire il nostro studio sull’efficacia nei pazienti affetti da retinite pigmentosa, ma ci permetterà di verificarne i risultati anche per le altre patologie retiniche ereditarie, oltre che per le patologie del nervo ottico per cui la stimolazione transorbitaria ha la principale indicazione».