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“La Prima Volta”: un viaggio, una rinascita, una possibilità 

Con la sindrome di Stargardt il suo cellulare utilizzato come una videocamera nello zaino, Sabrina Antilli attraversa il Brasile alla ricerca di sé stessa, tra paure, scoperta, danze ancestrali e coraggio. Il suo documentario è un inno alla vita e alla resilienza. 

Quando Sabrina Antilli ha scoperto di avere la sindrome di Stargardt, patologia genetica che compromette progressivamente la vista centrale, la sua vita sembrava destinata a fermarsi. Scoprire di avere una malattia degenerativa, incurabile e destinata a progredire, paradossalmente è come se fermasse il tempo: il resto scorre come sempre, ma dentro qualcosa cambia incontrovertibilmente. La diagnosi però è solo uno degli step: non il primo, ma nemmeno l’ultimo. 

Sabrina fino al momento di scoprire la propria malattia guidava, lavorava come agente immobiliare, si muoveva in autonomia. Fino a quando – a causa di una progressiva perdita della vista – tutto ha cominciato a cambiare. “Mi cadevano le monetine e non le trovavo a terra”, racconta. “Un giorno sono andata al Gemelli per un controllo. Mi hanno detto: ‘Lei ha una malattia degenerativa’. E io, semplicemente, non ci ho creduto”. 

Per anni ha negato quella diagnosi. Poi qualcosa è cambiato. Un gruppo di auto-aiuto promosso da IAPB Italia ETS e Polo Nazionale Ipovisione e Riabilitazione Visiva le ha offerto un primo appiglio. Lì incontra storie simili alla sua; alcune la spaventano — come quella di una donna che non esce più di casa se non accompagnata. Altre, invece, la ispirano profondamente. Come quella di Mario, un uomo ipovedente che ha riorganizzato la sua vita con determinazione, strumenti e coraggio. “Lui mi ha dato un esempio di vita possibile”, racconta Sabrina. “Mi sono detta: se ce l’ha fatta lui, posso provarci anch’io. Ho capito che anche con la mia malattia si poteva costruire una vita piena”. 

La svolta arriva in modo inaspettato, durante un laboratorio di danze afroindigene. Sabrina, che non ha mai studiato quei movimenti, scopre di saperli riprodurre istintivamente. “Era come se il mio corpo li conoscesse già”, dice. La danzatrice che guidava il workshop, Cassia Santos, le racconta di vivere in Brasile, dove conduce ritiri terapeutici legati alla connessione con la Madre Terra. Sabrina, senza soldi né certezze, le risponde: “Io verrò da te”. E lo fa. 

Quella consapevolezza l’ha portata, un anno fa, a fare una scelta coraggiosa: partire per il Brasile.  

Così è nato “La Prima Volta”, un reportage-documentario che racconta un viaggio dentro e fuori di sé. Il titolo, racchiude il senso del viaggio di Sabrina, trasformatosi poi nell’opera autoprodotta in collaborazione con Francesco Cardoni per la regia e Monia Carlone Pescatori per la postproduzione: 54 giorni da sola, con il cellulare come videocamera e la propria vulnerabilità. 

“Non ero mai uscita dall’Europa da sola, e con la mia disabilità era un rischio. Tutti mi dicevano che era pericoloso. Ma ho deciso di fidarmi. Delle mie sensazioni, del mio corpo, della vita”. 

Sabrina ha attraversato Rio, Salvador, la foresta di Chapada Diamantina. Ha vissuto nella natura, affrontato lingue sconosciute, serpenti, blackout tecnologici. “Pensavo che la mia disabilità sarebbe stata il problema maggiore, invece è stato altro: la mancanza di internet, la lingua, l’imprevedibilità. Ho dovuto imparare ad affidarmi al sentire”. 

Non è stato un percorso facile. “Mi svegliavo la notte in preda all’ansia. Chi me lo fa fare? Ma poi pensavo a chi, come me, si è lasciato spegnere. A chi è rimasto chiuso in casa. E allora mi sono detta: “Voglio vivere le mia vita e realizzare i miei sogni”  

Nel documentario,  le immagini alternano momenti di bellezza selvaggia a scene più intime e vulnerabili. Sabrina cammina tra le foglie secche, tocca le pietre, parla alla telecamera mentre racconta le sue emozioni. “Nella foresta c’erano serpenti, tarantole, assenza totale di comfort. Dovevo ricordarmi ogni giorno scarpe, acqua, cappello. E affrontare l’idea reale della morte”. 

Un pericolo non solo simbolico: “Se un cobra ti morde, hai due ore di tempo. Ma l’ospedale più vicino dista due ore. E quasi nessuno ha l’auto”. 

Eppure, paradossalmente, è proprio in questo contatto diretto con la precarietà che Sabrina ritrova la forza. “In Brasile la gente sa che può morire ogni volta che esce di casa. Ma proprio per questo vive. Noi in Italia lo sappiamo, ma lo edulcoriamo. Lì, invece, lo senti addosso. E ogni respiro diventa sacro”. 

Oggi Sabrina racconta la sua esperienza con emozione e forza. Il teaser del documentario – proiettato per la prima volta domenica 27 luglio – ha lasciato il pubblico “incantato”. Perché il messaggio arriva chiaro: non bisogna rinunciare ai propri sogni, anche quando la malattia sembra stravolgere tutto. 

“La Prima Volta” non è un diario di viaggio. È un atto di resistenza esistenziale, una dichiarazione di autonomia, un manifesto emotivo di chi sceglie di non farsi definire da una diagnosi. 
“Non ho mai voluto rinunciare alla vita nella sua pienezza”, dice Sabrina. “E se la mia storia può essere d’aiuto a qualcuno, allora aveva senso partire. Anche se avevo paura”. 

“Il Brasile mi ha insegnato che si può vivere davvero solo se si accetta che si può anche morire”, dice. “Loro danzano, cantano, perché ogni giorno è un dono. Noi, invece, viviamo spesso nell’illusione che ci sia sempre tempo. Ma il tempo è ora. E se respiri, se senti il tuo corpo, sei vivo. E allora puoi ricominciare”. 

Il documentario completo sarà pronto in autunno. Nel frattempo, è in preparazione una raccolta fondi per sostenere un nuovo progetto: Incanto, un viaggio corale tra storie di persone che, con ciò che hanno, hanno trasformato la loro esistenza in un capolavoro: “Incanto significa essere nel proprio canto. E quando sei nel tuo canto, incanti anche gli altri. Non perché sei perfetto, ma perché sei autentico”. 

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