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L'impatto del Covid

La lezione del Covid sulla salute pubblica

L’impatto del Covid-19 è tutt’altro che mitigato e la seconda ondata ha portato nuovi interrogativi: dagli effetti psicologici alle influenze politiche ed economiche, fino alla scarsa fiducia dei cittadini verso un possibile vaccino.

Il numero globale di morti per Covid ha superato 1,3 milioni. Ovunque si sta fronteggiando la seconda ondata della pandemia, il cui impatto avrebbe dovuto essere mitigato dalle conoscenze scientifiche acquisite negli ultimi mesi. Tuttavia, mentre si è acquisito un maggiore controllo su alcuni aspetti, non si è ancora potuta identificare una cura certa. In questo scenario, la ricerca spasmodica del vaccino, con più di cento trials attualmente in diverse fasi di sperimentazione, è diventata non solo l’oggetto di grandissime aspettative, ma ha assunto una valenza politica di importanza strategica.

Nella ricerca vaccinale, precocemente iniziata dopo il sequenziamento del genoma virale, è subito emersa la difficoltà di prevedere il tipo di risposta immunitaria prodotta, pertanto le strategie adottate sono state molto diversificate fra loro. Attualmente, l’identificazione del tipo di vaccino in grado di proteggere dall’infezione si è sviluppata su diversi meccanismi d’azione: vaccini con virus attenuato per la produzione di anticorpi, vaccini vettoriali (basati sull’uso di altri virus che esprimono la proteina spike del SARS CoV-2), vaccini che utilizzano proteine ricombinanti di sintesi, vaccini genetici (che utilizzano il mRNA che codifica la proteina spike). Esistono poi anche i cosiddetti vaccini passivi, basati sul trasferimento dell’immunità tramite plasma di pazienti convalescenti.

Mentre lo sviluppo tradizionale di un vaccino è un processo piuttosto lungo (intorno ai 10 anni), nell’attuale emergenza  è stato proposto un periodo di tempo più ristretto compreso tra 12 e 18 mesi, ritenuto il minimo necessario per dimostrare la sicurezza e l’efficacia di un vaccino e soprattutto quello che ne permette l’uso attraverso una clausola di emergenza con approvazione ufficiale da parte delle autorità di regolamentazione (Food and Drug Administration, Agenzia Europea del Farmaco, Agenzie nazionali).

La natura globale dell’emergenza ha portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a riunire leader mondiali, partner sanitari e vari stakeholder, compresi quelli del settore privato, in un’iniziativa mirata ad accelerare lo sviluppo e la produzione del nuovo vaccino anti Covid-19, di relativi test e trattamenti, e per consentirne un accesso equo in tutto il mondo. L’ACT (Access to Covid-19 Tools) Accelerator è un’iniziativa lanciata dall’OMS insieme all’Unione Europea, la Banca Mondiale, il Global Fund, La Fondazione Gates ed altri attori pubblici e privati che si prefigge, oltre agli aspetti strettamente sanitari, anche il sostegno sociale ed economico a breve e medio termine delle popolazioni colpite.

Da un punto di vista economico, oltre ai massicci finanziamenti governativi (si pensi all’Operazione Warp Speed, la partnership tra governo USA e privati che ha  erogato finora oltre 10 miliardi di dollari per la ricerca e la produzione del vaccino e l’europea Coalition for Epidemic Preparedness Innovations-CEPI che ha fatto la sua parte in Europa), si è assistito, nonostante la recessione globale legata alla pandemia, a speculazioni di borsa senza precedenti nel settore delle biotecnologie (vaccini, test diagnostici e tutto ciò che ruota intorno al Covid-19). Oltre all’aspetto di salute pubblica, rimane inevitabilmente vivo l’interesse delle imprese farmaceutiche per il recupero degli investimenti nella ricerca del vaccino e per i potenziali profitti derivanti dall’arrivare ad un vaccino efficace e sicuro prima degli altri.

L’altro tema spinoso rimane quello dell’accesso al vaccino. Lo scenario più futuribile sembra essere quello in cui i singoli governi, sotto l’enorme pressione dell’obbligo di tutelare i propri cittadini, potrebbero facilmente preferire l’approccio nazionalistico ai vaccini a discapito di un auspicabile e necessario multilateralismo, come del resto si è verificato per altri aspetti nel corso della gestione della pandemia.

C’è infine il dato emergente (e preoccupante), di un crescente scetticismo da parte della popolazione. Un certo tipo di comunicazione spesso conflittuale e sovente fuorviante, che ha accompagnato le varie fasi della pandemia, ha prodotto un generale calo di fiducia, purtroppo riflessosi, in ultima analisi, sulla credibilità del vaccino. L’esitazione sociale nei confronti della sua sicurezza sembra essere in rapido aumento e non solo negli Stati Uniti. Inevitabilmente, una scarsa risposta alla vaccinazione, una volta resa disponibile, comprometterebbe l’immunizzazione su larga scala, rendendola virtualmente inefficace.

L’OMS ha poi recentemente portato l’attenzione sulla stanchezza per la pandemia (pandemic fatigue), causata dalle enormi conseguenze della stessa: la perdita massiccia di posti di lavoro, il danno economico diffuso, la disintegrazione di intere comunità, l’incertezza economica, sociale e politica generalizzata che, in aggiunta alla riduzione delle cure mediche di base (per la pressione sui sistemi sanitari e lo shift di risorse verso il Covid), minano la sicurezza sociale e personale degli individui.

Gli effetti psicologici del Covid incominciano ad essere visibili, con un rapido e preoccupante aumento dei bisogni di salute mentale, soprattutto nelle fasce giovani della popolazione. I continui riadattamenti richiesti dal lockdown, dalla riapertura e poi dalle successive restrizioni, pongono uno stress continuo anche sugli individui sani. L’incertezza sulla possibilità di un’immunità durevole, la non corretta informazione e la consapevolezza del protrarsi della criticità senza poterne intravedere la fine, creano insicurezza generalizzata che spesso sfocia nella scarsa adesione alle norme di comportamento e distanziamento sociale.

La grande lezione del Covid, tra le molte da imparare, è che nessuno si salva da solo. Il virus ha colpito non solo l’individuo, ma la sua natura di essere sociale, la sua comunità. Forse la migliore cura possibile, in attesa di un vaccino che sia sicuro, efficace ed universalmente accessibile, sta nel recupero dell’empatia, della capacità di ascoltare, comprendere, rispettare ed aiutare, riportando i bisogni reali delle comunità al centro dell’attenzione.

La versione integrale dell’articolo a firma di Alessandra Vari, MD, Dipartimento di Chirurgia “Pietro Valdoni” della Sapienza Università di Roma, è disponibile sul nuovo numero di “Oftalmologia Sociale” (Ottobre-Dicembre 2020).

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