Come il cervello legge la realtà dopo il recupero visivo Una signora ipovedente dalla nascita ora vede dopo il trapianto di cornea artificiale. Fondamentale è la riabilitazione, ma da adulti il recupero può essere incompleto 23 gennaio 2015 – Vedere il mondo con altri occhi. Lo fa una signora cinquantenne del Quebec che, ipovedente alla nascita, ha ripreso a vedere all’occhio destro grazie al trapianto di cornea artificiale (cheratoprotesi). Tuttavia, il recupero visivo – a distanza di 7 mesi – non è stato completo, poiché i circuiti della corteccia cerebrale deputati alla visione si erano già sviluppati privilegiando, per compensazione, altri sensi (udito, tatto). In virtù della plasticità cerebrale, infatti, avviene un parziale cambio di ‘destinazione d’uso’ delle aree corticali. La corteccia visiva è situata principalmente dietro alla testa, nella zona occipitale. Questa stessa plasticità, anche se decisamente più limitata in età adulta, può consentire di recuperare parzialmente la funzionalità visiva perduta; ma quando occorre può servire anche per interpretare i segnali sonori o tattili (plasticità cross-modale). Nonostante la riabilitazione visiva sia essenziale in questo percorso, difficilmente il recupero della vista può essere completo. Se da un lato è vero che i circuiti cerebrali sono già sviluppati, tuttavia il cervello mantiene comunque una certa capacità di modificarsi in funzione all’esperienza. “Questa importante riorganizzazione cerebrale – spiega Giulia Dormal, direttrice della ricerca – rappresenta una sfida per persone sottoposte a chirurgia oculare per recuperare la vista, poiché la corteccia occipitale deprivate e riorganizzata potrebbe non essere in grado di vedere più dopo aver trascorso anni al buio”. Per questo la diagnosi e il trattamento precoci delle malattie oculari, specialmente di quelle potenzialmente più invalidanti, sono fondamentali. Un esempio per tutti: l’ambliopia (occhio pigro). Lo studio è stato condotto dall’Università di Montreal in collaborazione con l’Università di Trento.
Fonti principali: University of Montreal , Journal of Neurophysiology