Boom di test genetici in Italia: +30% in tre anni
L’importante è rivolgersi a strutture certificate
12 novembre 2008 – è boom di test genetici in Italia, cresciuti del 30% in tre anni. Alla ricerca spasmodica di malattie scritte nel Dna, spesso persone preoccupate per la propria salute o per quella dei futuri figli cercano di scrutare nel codice della vita rivolgendosi a una delle 278 strutture che esistono nel nostro Paese; altri, invece, optano per laboratori all’estero, magari trovati sul web, inviando il materiale genetico (può essere sufficiente un po’ di saliva).
La regione che detiene il record di richieste è la Lombardia (col 22-24%), a cui seguono a una certa distanza il Lazio, la Toscana e la Sicilia. Esiste però uno squilibrio territoriale: mentre al Nord il 64% dei laboratori è in possesso di certificazione, nel Meridione solo il 12% ha un attestato di qualità. Si pone, quindi, il problema della qualità di tali esami, che generalmente vengono condotti con prelievi sanguigni. Lo scorso anno sono stati eseguiti complessivamente circa 560.000 test genetici; tuttavia le consulenze genetiche sono state solamente 70.154, sebbene l’interpretazione dei dati sia essenziale ai fini di una corretta diagnosi o previsione.
“Il numero di strutture è in continuo e ingiustificato aumento – sottolinea Bruno Dallapiccola,
genetista e direttore scientifico dell’Istituto Css-Mendel di Roma – e non ha un corrispettivo in nessun altro Paese analogo al nostro: in Francia sono 2-4 volte meno. Questo, per l’Italia, vuol dire un pullulare di centri piccoli, con qualità inferiore e costi superiori”. Inoltre solo il 40% circa delle strutture certificate – avverte Dallapiccola – partecipa a programmi per il controllo esterno della qualità.
Le malattie oculari di certa origine genetica sono le retiniti (la pigmentosa, l’amaurosi congenita di Leber, malattia di Stardgardt, malattia di Best), ma anche patologie quali l’atrofia girata. Un’altra patologia oculare con una base genetica è la degenerazione maculare legata all’età (Amd), che colpisce la zona centrale della retina (detta macula). Persino una malattia tanto diffusa quanto il glaucoma ha, tra i fattori di rischio, una predisposizione genetica; secondo l’Organizzazione mondiale della sanità è responsabile del 10,1% dei casi di cecità nel mondo (oltre quattro milioni e mezzo di persone hanno perso la vista per danni al nervo ottico dovuti generalmente a una pressione intraoculare troppo elevata). Recentemente ricercatori dell’Università di Alberta, in Canada, sono riusciti ad andare alle radici della forma giovanile del glaucoma, che può rendere ciechi anche i bambini a partire dai cinque anni. Gli studiosi sono stati in grado di localizzare le sequenze del Dna responsabili della malattia.
“Oggi la genetica molecolare – ha scritto il Prof. Stefano Zenoni, Direttore Oculistica degli Ospedali Riuniti di Bergamo – può aprire delle porte per comprendere e gestire la malattia, e definire le basi genetiche delle forme ereditarie. In questi ultimi anni sono stati identificati loci cromosomici (punti dei cromosomi costituiti da Dna, ndr) e geni (unità che compongono i cromosomi, ndr) correlati al glaucoma e in futuro test genetici più sensibili e specifici potranno cambiare – conclude il professore – il nostro approccio terapeutico”. Però è essenziale, per non incorrere in errori, che l’analisi genetica sia sempre accompagnata da una corretta diagnosi clinica effettuata da uno specialista; altrimenti si può incorrere in errori perché non sempre una mutazione genetica è responsabile di una sola malattia che, tra l’altro, non è detto che si sviluppi.
Tra gli entusiasti dei test genetici c’è Sergey Brin, cofondatore del motore di ricerca Google, la cui madre è affetta da Parkinson, una malattia degenerativa che colpisce il sistema nervoso. La possibilità di analizzare il proprio codice genetico è – secondo Brin – assolutamente straordinaria: “Ho conosciuto precocemente nella mia esistenza ciò a cui sono predisposto. Ora ho l’opportunità di modificare la mia vita in modo da ridurre la probabilità di contrarre il Parkinson (ci sono esercizi che possono proteggere). Ho sia il tempo che l’opportunità – osserva l’americano – di effettuare e sostenere ricerche sulla malattia molto prima che possa colpirmi. Indipendentemente dalla mia salute personale, può aiutare – conclude Brin – anche i miei familiari e altre persone”.
Fonti: Adn, Blog di Sergey Brin, Eco di Bergamo.
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