Alla ricerca della cura della retinite pigmentosa Esperimenti condotti sulle cavie di laboratorio fanno sperare: in futuro iniezioni o colliri per rallentare o bloccare la degenerazione retinica 12 ottobre 2010 – Colpisce i fotorecettori , soprattutto quelli della periferia retinica, facendoli morire: il campo visivo si restringe fino a diventare ‘a tubo’ e si può, infine, piombare nel buio. Parliamo della retinite pigmentosa , una malattia genetica che in futuro potrebbe trovare una cura bloccandone l’evoluzione o, almeno, rallentandola. Per ora gli studi sono stati condotti unicamente su un modello murino, ovvero su topi di laboratorio in cui è stata indotta geneticamente la malattia; dopodiché, grazie a un trattamento locale a base di miriocina, si riesce a ridurre – inibendo un enzima – la quantità della ceramide serina-palmitoil transferasi (SPT) nella retina, una sostanza che in quantità eccessive nuoce ai neuroni sensibili alla luce. La sperimentazione è in corso da molti anni, ma l’ultimo capitolo è stato firmato da ricercatori italiani che hanno appena pubblicato uno studio su PNAS . L’idea è quella di praticare iniezioni da negli occhi degli esseri umani oppure di ricorrere a un semplice collirio (contenente nanoparticelle che trasportano il principio attivo) ad uso di chi è affetto da retinite pigmentosa. Secondo i ricercatori un trattamento di 10-20 giorni sui topi ha prolungato la vita dei fotorecettori e, di conseguenza, ha incrementato la capacità della retina di rispondere agli stimoli luminosi (così come dimostrato dall’elettroretinogramma). Si è riaccesa così una speranza per chi è colpito da una malattia che, allo stato attuale, è ancora considerata incurabile.
Fonti: PNAS , ricercaitaliana.it