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Intelligenza artificiale e cecità: la nuova frontiera della discriminazione

Intelligenza artificiale e cecità: la nuova frontiera della discriminazione

Cosa succede quando la nuova tecnologia si basa sull’IA? Cosa accade quando non tutti possono averne accesso? Il presidente della Royal Society for Blind Children parla di una nuova forma di discriminazione che deve essere arginata

L’intelligenza artificiale è ormai parte della nostra quotidianità, ma proprio per questo può essere motivo di ulteriori disagi per chi ogni giorno affronta innumerevoli difficoltà come le persone cieche e ipovedenti.

A prendere posizione è il nuovo presidente dell’associazione inglese Royal Society for Blind Children, Tom Pey, il quale ha affermato come “un nuovo livello di discriminazione” sia scaturito dalla nascita e dal seguente utilizzo dell’intelligenza artificiale.

Soffrendo lui stesso di cecità da quando era bambino, Pey è il creatore dell’app Waymap progettata per dare istruzioni di navigazione audio passo dopo passo, così da facilitare la mobilità in autonomia delle persone con deficit visivi gravi.

La critica nei confronti dell’intelligenza artificiale emerge a seguito di una valutazione attenta delle offerte di mercato. Le aziende tecnologiche che lanciano sistemi basati sull’IA, infatti, spesso impiegano immagini come elemento principale, ma queste non sono fruibili da chi non riesce a vedere.

Un esempio? La gamma d’occhiali Meta e la funzione Google Lens si basano prevalentemente sull’uso di fotocamere che devono essere puntate in direzione di oggetti e luoghi.

“Se guardiamo all’hardware che circonda l’IA, la maggior parte di esso è di tipo visivo e ignora le esigenze dei non vedenti e delle persone che hanno difficoltà, non solo a non vedere, ma anche a interpretare le immagini – ha dichiarato Pey – tali persone, come me e altri, sono semplicemente escluse”.

L’esclusione digitale delle persone cieche e ipovedenti è una tematica da non sottovalutare: secondo una recente ricerca del Royal National Institute of Blind People, i soggetti con problemi visivi hanno meno possibilità di usare Internet ogni giorno e di possedere uno smartphone che sia adeguato alle loro esigenze.

Le grandi aziende tecnologiche, come Google, Meta e Open AI hanno risposto a queste critiche intraprendendo iniziative volte a utilizzare la loro tecnologia al fine di supportare le persone cieche e ipovedenti.

Ad esempio, nel mese di settembre 2024, Meta ha annunciato una partnership rivoluzionaria con Be My Eyes, l’azienda che mette in contatto persone cieche e ipovedenti con volontari e aziende vedenti attraverso video in diretta e intelligenza artificiale.

Attraverso la pluripremiata tecnologia intelligente degli occhiali Ray-Ban Meta, l’utente potrà avviare l’esperienza “Call a Volunteer” (Chiama un volontario) di Be My Eyes utilizzando un semplice comando vocale. In questo modo, l’utente entrerà in contatto con un volontario che parlerà la sua lingua tramite una chiamata unidirezionale e audio bidirezionale; grazie a tale integrazione il volontario vedrà attraverso le lenti degli occhiali intelligenti per fornire una descrizione in tempo reale all’utente mediante autoparlanti open-ear, il tutto mantenendo le mani libere del soggetto cieco o ipovedente, che potrà così procedere con le attività quotidiane come preparare un pasto, impostare un termostato o individuare il percorso migliore al supermercato.

Google, d’altro canto, offre un’app basata sull’IA chiamata Lookout, la quale descrive foto, legge testi e risponde a domande degli utenti.

Nonostante le iniziative virtuose introdotte dai maggiori brand tecnologici, Pey afferma che i giovani ciechi o ipovedenti lamentano un divario esistente tra la loro esperienza e quella dei coetanei non disabili, che possono sperimentare giochi, realtà alternative e nuovi tipi di tecnologia guidata proprio dall’IA.

Pey ha quindi definito “un nuovo livello di discriminazione, che potrebbe essere evitato pensando in anticipo. I designer devono semplicemente rendersi conto che dovrebbero progettare anche per persone disabili”.

Fonte: The Guardian

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