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Cellule gangliare retinica (Immagine: UC SAN DIEGO SCHOOL OF MEDICINE, USA)

Quel glaucoma silente che colpisce le cellule nervose

Cellule gangliare retinica (Immagine: UC SAN DIEGO SCHOOL OF MEDICINE, USA)Quel glaucoma silente che colpisce le cellule nervose Basta una settimana di pressione oculare elevata perché inizino a danneggiarsi la retina e il nervo ottico Tra le prime “vittime” della pressione oculare troppo alta ci sono le cellule retiniche dette gangliari (o ganglionari). Ricercatori dell’Università della California (San Diego, Usa) hanno fatto ricorso a cavie di laboratorio geneticamente modificate per studiare i primi effetti del glaucoma , la prima causa di cecità irreversibile al mondo. Bastano sette giorni di pressione oculare troppo elevata per iniziare a provocare già danni alla retina e alla testa del nervo ottico (papilla ottica). Dunque è fondamentale tenere sempre sotto controllo la pressione oculare per prevenire danni irreversibili: il glaucoma, se non trattato (generalmente con colliri ipotensivi), causa il restringimento progressivo del campo visivo (visione tubulare) fino alla perdita della vista. Le cellule gangliari sono neuroni specializzati i cui assoni confluiscono nel nervo ottico e, attraverso di esso, conducono fino alla corteccia cerebrale i segnali elettrici in cui le immagini sono state tradotte a livello retinico. Già dopo una settimana di pressione oculare elevata tutte le cellule ganglionari retiniche studiate nel modello murino hanno subito danni significativi a livello strutturale come, ad esempio, la riduzione del numero e della lunghezza delle ramificazioni dendritiche. Insomma, questi neuroni retinici particolarmente importanti è come se si fossero “rinsecchiti”, analogamente ad alberi che non vengono annaffiati. “Nel glaucoma il comprendere la tempistica e la modalità dei cambiamenti cellulari che conducono alla morte delle cellule ganglionari retiniche dovrebbe facilitare lo sviluppo di strumenti che diagnosticano e rallentano o bloccano tali cambiamenti, preservando infine la visione”. È quanto ha affermato il prof. Andrew D. Huberman, coautore californiano dello studio pubblicato su The Journal of Neuroscience.

Fonti: University of California – San Diego (Usa), The Journal of Neuroscience

Pagina pubblicata il 13 febbraio 2015.

Ultima modifica: 27 marzo 2015

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