Scoperto gene coinvolto nella distrofia di Fuchs

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DnaScoperto gene coinvolto nella distrofia di Fuchs Secondo l’università di Oregon una sua variante aumenta il rischio di sviluppare la malattia corneale 2 settembre 2010 – Scrutare da vicino il codice genetico è uno degli ‘esercizi’ prediletti degli scienziati. Nella speranza che le terapie geniche possano avere successo, essi studiano a fondo il nostro codice della vita cercando di capire anche che ruolo abbia nelle malattie oculari. Un’équipe di tredici ricercatori dell’Università dell’Oregon guidati da Albert O. Edwards, ha scoperto il gene che probabilmente è responsabile della distrofia corneale di Fuchs, una malattia ereditaria che danneggia la superficie dell’occhio. Grazie a un confronto tra DNA di persone 410 sane e 280 malati, è stata individuata a partire dai 40 anni un’alterazione nel gene TCF4. Questa scoperta – pubblicata sul New England Journal of Medicine – non ha immediati vantaggi clinici, ma potrà aiutare a combattere la malattia. L’importanza di trovare una cura è dovuta al fatto che spesso rende necessario il trapianto di cornea. Tanto per avere un’idea, su circa 40mila trapianti effettuati ogni anno negli Usa, circa un quarto sono riconducibili alla distrofia di Fuchs. Il ruolo della mutazione del gene TCF4 nello sviluppo della malattia è stato confermato anche da studi successivi, uno dei quali è stato pubblicato su Plos One .

Fonti: Università dell’Oregon, Plos One Ultimo aggiornamento: 12 dicembre 2012

Nuovi sentieri in oftalmologia

Nuovi sentieri in oftalmologia Il primo ottobre si terrà il primo corso AIMO sul cheratocono e le terapie intravitreali 2 settembre 2010 – Sarà il primo corso tenuto dalla neonata Associazione italiana medici oculisti (A.I.M.O.). Si terrà il prossimo primo ottobre e verterà sul cheratocono – malattia che provoca lo sfiancamento della cornea – nonché sulla degenerazione maculare legata all’età ( AMD , che colpisce la zona retinica centrale). Si affronterà il tema del trattamento della forma umida dell’AMD, a più rapida evoluzione, con iniezioni intravitreali (praticate nel bulbo oculare al fine di bloccare la proliferazione dannosa dei vasi retinici dopo i 55 anni). “L’AIMO – spiega nel suo sito ufficiale l’Associazione fondata lo scorso 9 aprile – vuole essere la casa di tutte le categorie professionali coinvolte nella prevenzione e nella tutela della salute visiva con lo scopo di aggiornare gli associati, promuovere ed affiancare utili e comuni iniziative”.

Fonte: AIMO

Nanoparticelle contro le degenerazioni retiniche

A sinistra: danno retinico (zona rosa). A destra: le nanoparticelle avrebbero protetto la retina dai danni (Credit: Image courtesy of Rajendra Kumar-Singh, Tufts University School of Medicine)

A sinistra: danno retinico (zona rosa). A destra: le nanoparticelle avrebbero protetto la retina dai danni (Credit: Image courtesy of Rajendra Kumar-Singh, Tufts University School of Medicine)Nanoparticelle contro le degenerazioni retiniche Sperimentata su cavie di laboratorio una nuova terapia genica per ‘riparare’ i geni difettosi 1 settembre 2010 – Nanoparticelle per bloccare la morte delle cellule retiniche. Le hanno messe a punto ricercatori che lavorano negli Usa, i quali le hanno sperimentate su cavie di laboratorio col fine di bloccare l’evoluzione di alcune malattie oculari e di preservare la vista. Grazie a questa terapia genica sono stati, quindi, messi a punto dei ‘contenitori molecolari’ in grado di trasportare i geni sani, con l’obiettivo di sostituire le zone malate del Dna. Topo mutante con Dna I ricercatori hanno trattato le cavie (topi di laboratorio) con nanoparticelle che trasportavano una proteina chiamata GDNF, nota per i suoi effetti protettivi sui fotorecettori. Tali effetti sono stati dimostrati confrontando le cavie trattate con quelle non trattate; ciò si è tradotto in una miglior vista a una settimana di distanza dalla cura. Infatti, negli animali esposti a luce blu in cui erano state iniettate le nanoparticelle si è avuta una morte di cellule retiniche significativamente inferiore (23,6%-39,3%) rispetto al gruppo di controllo. “Le nanoparticelle sono capaci di prevenire la morte cellulare retinica e di preservare la visione – spiega il direttore della ricerca Rajendra Kumar-Singh, professore associato di oftalmologia presso la Tufts University School of Medicine (Boston, Usa) –: sono sufficientemente piccole da penetrare nelle cellule e sufficientemente stabili da proteggere il Dna”. Tuttavia questi effetti benefici – una migliore funzionalità retinica del 27-39% misurata con l’elettroretinogramma – non si sono mantenuti fino al quattordicesimo giorno. Dunque “il prossimo passo di questa ricerca è di prolungare questa protezione aggiungendo degli elementi al Dna [introdotto], consentendone la ritenzione all’interno della cellula”. Visione di malato di AMD Con questo metodo si intende fare a meno dei classici vettori virali, ossia dei virus preventivamente svuotati del loro contenuto genetico, che funzionano come ‘cavallo di Troia’ per penetrare nel codice genetico umano e animale. “Anche se i virus – osserva ancora Kumar-Singh – sono vettori molto efficienti, possono scatenare risposte immunitarie che possono portare a infiammazioni, cancro e persino alla morte. I metodi non virali offrono un’alternativa sicura, ma sino ad ora la loro mancanza d’efficienza è stato un ostacolo significativo”. Tra le malattie potenzialmente trattabili con la terapia genica con nanoparticelle sono da annoverare l’AMD (la cui forma secca è attualmente incurabile), che provoca la perdita della visione centrale dopo i 55-60 anni, e la retinite pigmentosa, che causa la perdita della visione periferica e cecità notturna.

Fonti: Tufts University , Molecular Therapy .